Addio e grazie per tutto il Sarmesan

La Cina di oggi ha una grande necessità di essere globalista. La produzione cinese ha raggiunto un punto in cui non può permettersi di chiudere i confini alle esportazioni

Potrebbe essere questa la frase con cui il presidente cinese Xi Jinping saluterà Trump prima di lasciare il Wto. La frase originale (“Addio e grazie per tutto il pesce”) veniva pronunciata dai delfini della terra che abbandonavano il nostro pianeta prossimo alla distruzione (all’interno di una novella di fantascienza di Douglas Adam).
Il Wto ha vissuto decenni senza avere la Cina tra i suoi membri, riesce quindi difficile immaginare che possa essere distrutto anche se, tema non ancora menzionato apertamente, la Cina dovesse decidere di recedere il suo seggio.
A dire la verità, per assurdo, la Cina di oggi ha una grande necessità di essere globalista. La produzione cinese ha raggiunto un punto in cui non può permettersi di chiudere i confini alle esportazioni; detta in parole semplici l’intero sistema socio economico cinese imploderebbe.
In quest’ottica la necessità del dragone di tenere tutte le “vie aperte” si scontra con una serie di attori che devono evitare il brutale dumping commerciale asiatico.
La guerra commerciale tra Cina e Usa sta scalando ed è probabile che diventerà un cavallo di battaglia per entrambi i leader per riaffermare la loro credibilità presso i propri cittadini.
Non si dimentichi che anche l’Europa ha cominciato una guerra commerciale con la Cina.
Tuttavia, come dice un vecchio adagio, il nemico (commerciale) di un mio nemico è mio amico.

L’industria casearia e la Cina
Nella “guerra cino-americana”, tra i prodotti di cui, di recente, è stata vietata l’importazione in Cina vi sono tutti quelli legati alla industria casearia.
L’intera filiera dei latticini e formaggi americana è a rischio, già ora si registra tra i produttori un aumento di stock di magazzino.
Sia ben chiaro, l’America non è famosa per la sua produzione di formaggi, tuttavia  tra i produttori si registra un crescente preoccupazione. Come riporta il National post, l’anno scorso gli Usa hanno esportato verso Cina e Messico circa 341.000 mt di prodotti caseari.
Queste due realtà, per ragioni differenti, stanno riducendo (nel caso della Cina azzerando) l’importazione di prodotti caseari americani. Di fatto avremo un crollo dei prezzi (già registrato negli ultimi mesi) per tutta la filiera usa.
Se la guerra commerciale e i dazi relativi sono una brutta notizia per gli americani non si può dire lo stesso per i produttori di formaggi italiani.
Vi sono due vantaggi in questa guerra che prospettano una crescita di fatturati per le aziende delle filiera della processazione del latte.
Il primo è che i Cinesi hanno rimosso (con una coincidenza di tempi curiosa) il blocco alle importazioni di prodotti caseari italiani nella terra del dragone.
Il secondo vantaggio è che di recente una decisione della commissione Europa ha vietato l’utilizzo di nomi troppo “italianofili” per etichettare prodotti caseari americani.
Il famoso “Parmesan” è divenuto “Sarmesan”. Per un italiano già questo sarebbe abbastanza per evitare questo tipo di prodotto.

Il formaggio Made in Italy
La risposta caustica degli americani non si è fatta sentire, dalle colonne del prestigioso Wall Street Journal Joe Quenaan scrive letteralmente “gli europei dovrebbero smetterla di punirci (togliendoci l’utilizzo di termini come parmesan ndr) solo perché noi siamo favolosamente ricchi e infinitamente pieni di risorse e abbiamo ragazzi come Mark Zuckerberg che gioca nella nostra squadra” . Ora mi piace pensare che Quenaan fosse in modalità ironica, ma di certo il suo pensiero cosi schietto non deve essere molto distante da quello degli allevatori della corn belt americana.
Già nel 2014 si discuteva come questi falsi (nemmeno di autore) fossero presenti sul mercato a stelle strisce in quantità ben superiori al prodotto originale made in italy.
Con il blocco delle importazioni di prodotti italiani “falsi” la Cina diviene un mercato con una domanda crescente e una scarsa offerta di falsi.
L’italia si trova ad avvantaggiarsi di una serie di operazioni commerciali (branding) portate avanti dagli americani nel tempo, dove possiamo inserirci con i nostri prodotti “veri”.
Per dirla in parole semplici la spesa per educare e fare branding sopportata negli anni dagli americani per vendere il loro “formaggio” lascia un vuoto di offerta che può essere colmato da noi.
A tutto vantaggio dell’industria casearia italiana e del cittadino cinese che, finalmente si direbbe, mangerà un vero grana parmigiano.
Il punto di vista di Coldiretti, da sempre schierati a difendere la qualità made in Italy, offre una chiara visione dell’opportunità che si palesa per l’Italia. “Gli Stati Uniti,” ricorda la Coldiretti “sono i principali produttori delle imitazioni dei formaggi italiani nel mondo per un totale di 2,4 miliardi di chili nel 2017 tra mozzarella, parmesan, provolone, ricotta e romano. Si aprono interessanti opportunità per le esportazioni di cibo made in Italy nel paese asiatico, a partire dai prodotti lattiero caseari che nel 2017 hanno raggiunto il record delle vendite nel mondo, raggiungendo la quantità record di 412 milioni di chili e con una crescita a doppia cifra nella stessa Tigre asiatica. I dazi cinesi avranno l’effetto di riaprire alle specialità italiane spazi sugli scaffali sino ad oggi ingiustamente usurpati dalle imitazioni americane”.

Opportunità per altre produzioni e nazioni
È  bene ricordare che questo scenario positivo potrebbe estendersi ad altre produzioni alimentari italiane anche in altre nazioni. Osservando l’Europa si registra un incremento dell’import agroalimentare dall’Italia del 2,6% nel Regno Unito (rispetto ad un -2,4% a livello totale) mentre in Germania le importazioni dall’Italia sono cresciute del 5,8%. Infine il Giappone, con il quale si è appena chiuso l’Accordo di Partenariato Economico (Jefta) dove anche in questo caso l’import agroalimentare dal nostro paese è cresciuto del +1,6% contro una riduzione complessiva del 5,3%.
In buona sostanza “un’Italia in netta controtendenza che “fa meglio del mercato”, per usare un termine tanto caro ai trader di Borsa, e che invita a valutare con attenzione i possibili impatti per il settore agroalimentare italiano che potrebbero derivare da una riduzione della spinta propulsiva che il commercio internazionale ha impresso alla crescita delle nostre imprese”, spiega Denis Pantini, responsabile Area Agroalimentare di Nomisma.
“Spinta propulsiva che, in una comparazione tra top exporter in questa prima parte dell’anno, sta ponendo l’Italia al di sopra di tutti, eccezion fatta per la Francia che ci supera per pochi decimali in termini di crescita nell’export. Merito anche dei buoni risultati registrati al di fuori dei mercati tradizionali dell’Europa Occidentale o del Nord America come nel caso del Messico (dove l’export agroalimentare italiano cresce del 23%), della Corea del Sud (+20%), della Romania (+13%) o della Polonia (+8%), dove negli ultimi cinque anni le importazioni di food&beverage dal nostro paese sono aumentate del 46%, grazie anche a un consumatore locale che ha potuto godere di un maggior livello di benessere e che in prospettiva dovrebbe veder crescere ancora i propri redditi (+18% le previsioni di aumento del pil pro-capite in Polonia nel prossimo quinquennio)”.
Se questo scenario europeo si allinea con lo scenario cinese è bene ricordare che in Cina, oltre al vantaggio inaspettato generato dalla crisi cino-americana, altri prodotti italiani sono benvenuti.
La compagnia di consulenza italo cinese Daxue Consulting riporta che la domanda di olio di olive ed EVO è in crescita tra la classe media cinese.
Anche sul fronte carni e lavorati lo scenario appare roseo per la nostra filiera. Il recente divieto di importazione sul territorio cinese colpisce anche pollami, manzo e maiale prodotto in Usa.
Fermo restando che le guerre commerciali sono un evento molto negativo per il mondo libero e che i dazi sono il male assoluto per un’economia mondiale globalista, sembra che in uno scenario di guerra tra Cina e Usa l’Italia (all’interno dello scenario europeo) possa trarne vantaggio. Come dire, tra i due litiganti, il terzo esporta.

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