La manovra finanziaria 2023 colpisce, purtroppo e sempre più, il management. Lo fa con misure che ampliano il solco tra lavoro dipendente e autonomo, favorendo maggiormente l’evasione e colpendo più del solito chi ha una dignitosa pensione guadagnata con lavoro di qualità e cospicui contributi. Per questo, oltre a immediati contatti e azioni pianificati a livello politico e istituzionale da Manageritalia insieme a Cida, stiamo sviluppando una serie di iniziative e azioni che facciano sentire a tutto il Paese, governo e istituzioni in primo luogo, il forte scontento che anima la componente manageriale produttiva, attiva e in pensione, dell’Italia.
Al netto dell’evidente urgenza dettata dalla questione energetica e dalle poche risorse disponibili, la legge di bilancio avrebbe dovuto potenziare gli investimenti in quei settori che potrebbero servire da volano per aumentare produttività e crescita, in modo da prospettare e costruire il futuro delle imprese e dei lavoratori. Si sarebbero dovute approntare, dunque, delle risposte a quelle questioni strutturali che, inevitabilmente, si protrarranno per i prossimi anni, uscendo così dai confini emergenziali con riferimento ai quali, per definizione, si prospettano soluzioni solo di breve periodo.
Manca una visione di sviluppo
L’ampiezza e la gravità dei problemi che il Paese dovrà affrontare nel prossimo anno avrebbero richiesto una mobilitazione imponente di competenze, di cui nella bozza del disegno di legge non si intravedono le prospettive. Non si rileva alcun sostegno alla managerialità delle pmi né sulle politiche del lavoro rivolte a quelle figure di alto profilo fondamentali per rilanciare la nostra economia.
Non mette risorse su sanità, non affronta temi organizzativi della scuola e parla di investimenti tecnici, ma non formativi, sulle persone.
Distorsione della realtà del lavoro e dei lavori
Resta poi il problema della flat tax, che determina un meccanismo distorcente che va combattuto e non fa convergere lavoro e lavori, ma li ingabbia in distinzioni obsolete. La critichiamo fortemente perché si basa su un principio di difformità tra lavoro dipendente e autonomo incentrato su tassazione e welfare che va cambiato.
Creerà inevitabilmente scontenti e ingiustizie. Tutto questo infatti favorisce, invece di combattere, l’evasione, penalizzando come sempre chi contribuisce con le tasse al funzionamento dello Stato. Infatti, le dichiarazioni dei redditi degli italiani offrono una fotografia anomala e lontana dalla realtà, come ben evidenziato anche nell’ultimo report dell’Osservatorio Cida e Itinerari Previdenziali dedicato a entrate fiscali e finanziamento del sistema di protezione sociale (vedi articolo a seguire).
Colpite come e più del solito le pensioni
Poi, per l’ennesima volta, vengono penalizzate le pensioni di chi ha versato ingenti contributi e da anni si ritrova a perdere potere d’acquisto.
Per quanto riguarda il sistema pensionistico, in attesa di una revisione complessiva, rinviata per ora al 2024, da sempre sosteniamo la necessità di ripristinare un criterio di maggiore flessibilità all’interno del sistema previdenziale, ma occorre tuttavia mantenere ferma la sostenibilità finanziaria del sistema, alla base del patto generazionale su cui si fonda la previdenza pubblica. Invece, anche questo governo decide di puntare su un aumento della spesa pensionistica introducendo Quota 103.
La revisione del meccanismo di indicizzazione, ancora una volta, introduce delle vere e proprie “sanzioni” a carico di pensionati che hanno maturato dei diritti esigibili per favorire l’uscita anticipata di alcune coorti di lavoratori. Vengono penalizzati tutti quei pensionati che ricevono un trattamento superiore a quattro volte il minimo, vale a dire almeno 2.101,52 euro lordi al mese. Da questo importo in su, il dazio pagato cresce con l’importo della pensione. In base agli ultimi censimenti dell’Inps, i colpiti sono circa tre milioni, cioè quasi un pensionato su cinque.
La mossa è tutt’altro che inedita, ma a differenziare la nuova puntata del taglio alle rivalutazioni sono due fattori concomitanti: un tasso di inflazione che non si vedeva da anni e l’entità della stretta progressiva con tagli più profondi rispetto al passato.
La tagliola sulle indicizzazioni è biennale e agirà, quindi, nel 2023 e nel 2024. Ma, come sempre accade in questi casi, l’effetto vero si cumula nel tempo, dal momento che anche le rivalutazioni successive, se torneranno piene dal 2025, saranno comunque calcolate su un assegno il cui valore reale è stato decurtato per due anni consecutivi (non volendo in questa sede tener conto delle riduzioni dovute ai blocchi degli anni precedenti, che ovviamente si sommano a quello prospettato nella bozza del disegno di legge di bilancio). La perdita per i pensionati interessati, quindi, è strutturale e crescente.
Pensioni medio-alte per fare cassa
I documenti che accompagnano la manovra evidenziano come le pensioni vengano trattate come una vera e propria copertura per il bilancio: l’effetto combinato degli interventi previdenziali e, fra questi, soprattutto la revisione dell’indicizzazione, porta a un risparmio di circa 1,5 miliardi. La sforbiciata alle rivalutazioni riduce la spesa previdenziale di 36,8 miliardi in dieci anni. È iniquo che i nostri pensionati non solo vengano colpiti dalla riduzione delle rivalutazioni per finanziare Quota 103, di cui, fra l’altro, i nostri rappresentati non potranno usufruire, ma consentiranno allo Stato di avere delle entrate extra da spendere altrove.
Cida e le federazioni aderenti, come dicevamo, si stanno muovendo con la massima rapidità e incisività per riuscire a rappresentare al meglio gli interessi delle nostre categorie.