Epidemia di selfie: narcisismo e deformazione della realtà

Sembrava che Narciso fosse rimasto confinato nelle palestre di body building degli anni Ottanta o sui primi palchi mediatici dedicati alle persone comuni, come il Karaoke di Fiorello e la trasmissione televisiva Non è la Rai di Gianni Boncompagni degli anni Novanta. Invece, il mitico contemplatore di se stesso è tornato, più bello che mai. E ormai vive nelle persone come nelle organizzazioni e nelle istituzioni. Ognuno si specchia nel suo dispositivo digitale e non può fare a meno di farsi un selfie.
Che sia una serie infinita di foto e video postati sui social network, di pose e commenti sparati sul web o addirittura uno stile di vita ben caratterizzato, Narciselfie è il recente web-neologismo che simbolicamente li sintetizza tutti nel nuovo paradigma della continua spettacolarizzazione del proprio Io in chiave social e digitale. Quindi dobbiamo proprio prenderne atto: viviamo in un’epoca in cui il narcisismo riguarda da vicino ognuno di noi. Ostentare se stessi è diventato una condizione “normale” e “normalizzata” – accettata, condivisa, diffusa – della nostra esistenza nell’era digitale. Chi più, chi meno, certamente. Ma, con le nuove tecnologie, siamo tutti impegnati a esibirci per celebrare il nostro Ego come mai prima nella storia. Non soltanto persone, ma anche istituzioni, governi e aziende possono manifestare il loro narcisismo esponenziale. Perché Narciselfie rappresenta uno dei tratti distintivi del nostro tempo e genera anche una vera mutazione antropologica. Abbiamo raddoppiato la vita: ne abbiamo una online e un’altra offline. I confini tra le due sono sempre più sfumati o molto marcati, a seconda delle circostanze, ma ancora non abbiamo imparato come muoverci con disinvoltura tra le due senza rimetterci in salute mentale o in brand reputation, nel caso di istituzioni o aziende.

Ego-dipendenti


A proposito di queste ultime, il Narciselfie si dimostra attraverso un’autoreferenzialità spinta, che si concretizza in una totale mancanza di etica e di empatia, con atteggiamenti di arroganza nei confronti dei cittadini o dei clienti, nella non volontà dichiarata di gestire le figuracce (epic fail), da quelle più clamorose fino alle singole recensioni negative sul web.
In ogni caso, il vero antidoto al Narciselfie sta nel maturare una forte consapevolezza delle sue “conseguenze”: snaturamento di se stessi, artificiosità della vita e dei rapporti, deformazione della personalità, perdita di autenticità e di umanità. Ma attenzione a etichettare le tecnologie digitali come la causa diretta dei comportamenti Narciselfie. Sarebbe una risposta semplicistica e troppo comoda, perché siamo sempre e comunque noi a scegliere come e quando viverle. Da qui, la necessità improrogabile (per tutti) di un’educazione ai social media e al saper vivere lo spirito del tempo con grande equilibrio. Che vuol dire con buon senso. E intelligenza. Significa quindi attrezzarsi per modellare uno stato mentale “igienico”, senza ego-dipendenza: un obiettivo per nulla facile da raggiungere. I social network sono quella specie di “magia” che consente a tutti coloro che hanno sempre voluto esporsi pubblicamente, oppure “sofferto” l’anonimato, di uscire finalmente allo scoperto e di poterlo fare “alla grande”. Rispetto alla piramide dei bisogni di Maslow, questi ambienti digitali fanno leva contemporaneamente sui tre livelli superiori (appartenenza – stima – autorealizzazione) facendoti credere di soddisfarli ma in realtà spesso è soltanto pura autoillusione, una magia appunto.

Fusione tra reale e virtuale

Se penso di “guadagnare cento”, attraverso il social network, in termini di ritorni attesi o sperati (conoscenze, relazioni, lavoro, divertimento, affermazione personale) quando pubblico, posto e mi espongo, in realtà, per il mio equilibrio mentale, devo sapere che guadagno solo “dieci” (se tutto va bene, ovvero se dedico molto tempo a intessere trame sui social). Fino al 2004 (anno di nascita di Facebook), tutto questo non era tecnologicamente possibile. Come già molte volte nella storia umana, è stata la tecnologia a segnare un punto di svolta e di non ritorno rispetto al contesto precedente. Ora il mondo è un intreccio indissolubile di online e offline e già questa stessa distinzione sta diventando obsoleta. Questo “disorientamento istantaneo” ci sembra proprio il punto di non ritorno: tutto diventa obsoleto nel momento in cui nasce, mentre invece noi umani abbiamo bisogno di tempo per capire ciò che sta succedendo. Che peccato! Eppure siamo proprio fatti così: abbiamo l’esigenza di trovare significati nelle cose che accadono e assumerli come punti di riferimento per un periodo che si spera più lungo possibile. È così che impariamo a crescere, per diventare migliori e fare quei passi avanti che danno sostanza alla nostra vita.

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