Riforme: partiamo dal riformare il metodo?

Dopo anni di riforme promesse, mancate… forse serve ripartire dal metodo con cui affrontiamo le riforme, mai come oggi sono indispensabili per il Paese, e dare certezza ed efficacia al Pnrr

Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) è principalmente associato ai molti progetti destinati a cambiare volto all’Italia, affrontandone i limiti infrastrutturali con l’impiego di risorse finanziarie straordinarie, mai a disposizione negli ultimi decenni. Minore attenzione viene riservata alle competenze necessarie per realizzare, e in seguito gestire e valorizzare, le infrastrutture: su questi aspetti Cida e Manageritalia hanno posto da tempo l’attenzione, certe che potrebbero rappresentare un limite decisivo al raggiungimento dei risultati.

Ma il Pnrr implica anche un percorso di riforme ampio e profondo, anch’esso orientato a un’efficacia mai riscontrata da molti decenni nel nostro Paese. Il problema è che la storia dei tentativi di “riforma” è lungo e costellato d’insuccessi: basterà l’autorevolezza del presidente Draghi e dei suoi ministri per ottenere il risultato? La prima esperienza – la riforma giudiziaria – lascia spazio a ragionevoli dubbi. Ogni governo precedente ha esordito con volontà “riformista”, pur utilizzando spesso questo termine per interventi mirati a soddisfare le categorie sociali di riferimento, anche “controriformando” i provvedimenti del governo precedente.

Vediamo alcuni esempi di mancate riforme:

Giustizia. Il dibattito è stato sempre polarizzato (e anche oggi lo è) su bandiere politiche: la prescrizione, il conflitto d’interessi, il ruolo dei Pm e la carriera dei magistrati. Un vero approfondimento dei temi organizzativi e degli strumenti informatici in grado di modificare alla radice alcune logiche processuali è sempre mancato.

Mezzogiorno. Dopo lo smantellamento della Cassa per il Mezzogiorno – emblema d’interventi a pioggia e d’interessi clientelari – abbiamo assistito alla nascita di Svimez, Agensud, ministero per il Mezzogiorno, varie ipotesi di Banca per il Mezzogiorno. I rilevanti fondi europei destinati alle regioni del Sud sono stati spesi male, spesso recuperando i ritardi alla fine del ciclo di spesa. Il divario con il nord in termini economici, di occupazione e di qualità della vita non è stato colmato e in alcuni casi si è ampliato.

Fisco. Si parla da sempre di spostare la pressione fiscale dal lavoro ai consumi e ai capitali, ma il tema è stato sempre affrontato in una logica di categorie da favorire. Rimangono inaccettabili differenze di fatto anche nell’ambito della tassazione del lavoro e ambiti di tolleranza che alimentano l’idea di un’evasione fiscale che, se ridotta, potrebbe da sé risolvere ogni problema. L’accelerazione verso la tracciabilità è stata spesso rallentata da provvedimenti frammentari e troppo graduali.

Spending review. Da oltre un decennio sembra la parola magica in grado di trovare risorse nascoste e inutilizzate. Ci hanno provato commissioni presiedute da Bondi, Canzio, Cottarelli, Giarda, Giovannini, Gutgeld e infine Castelli e Garavaglia nel 2019. La spesa pubblica è costantemente aumentata. Nessuno ha mai voluto affrontare il vero presupposto di una spending review, che è dare priorità agli obiettivi e orientare di conseguenza la spesa, in base alla sua efficacia. Ciò significa “togliere” qualcosa a qualcuno (o a tutti), operazione quasi impossibile per la politica. Il caso più eclatante sono le cosiddette tax expenditures, la cui eliminazione parrebbe portare equità e benefici straordinari. Si pone l’accento sul numero, sorvolando sul fatto che quelle di peso rilevante sono destinate alla casa e al welfare. Un’operazione di riordino sarebbe auspicabile, ma chi è disposto ad aumentare le tasse su casa e welfare?

Separazione tra indirizzo e amministrazione nella Pa. Prevista dalla Riforma Bassanini, molto proclamata, mai attuata fino in fondo. Parliamo di spoil system “all’italiana” perché il sistema attuale associa i difetti della discontinuità a amministrativa a quelli della dipendenza dai partiti politici. Sembra una questione per addetti ai lavori, ma incide pesantemente sulla debolezza delle nostre pubbliche amministrazioni.

Pensioni e previdenza complementare. Si voleva assicurare un futuro pensionistico dignitoso a tutti i lavoratori, migliorando il secondo pilastro. Al contrario, è aumentata la tassazione dei rendimenti dall’11,5 % al 20%. Per i dipendenti pubblici esistono solo un paio di fondi complementari; di fatto il secondo pilastro non è mai stato incentivato. In compenso ogni governo si cimenta con nuove misure riguardanti l’età pensionabile.

Lavoro. Da decenni si vuole introdurre un nucleo di norme universali valido per tutti i lavoratori (dipendenti, autonomi, professionisti), superando lo Statuto dei lavoratori. Qualche passo avanti si è fatto con il riconoscimento del welfare per gli autonomi e ora dell’Iscro per questo ultimi, ma su congedi di maternità, familiari, assegni, permessi, ferie, tutela reale del posto di lavoro, esistono ancora stabilizzati e precari, contrattualizzati e partita Iva e molte altre distinzioni, sempre meno giustificate da diverse condizioni e modalità di lavoro.

E infine, la madre di tutte le riforme, quella della Costituzione. Dopo le Commissioni Bicamerali, la riforma “federalista” e il tentativo troppo strettamente collegato ai destini politici di Matteo Renzi, le carenze della nostra Carta – alcune già individuate pochi anni dopo la sua promulgazione – attendono ancora una soluzione.

Pur ottimisti, nella speranza di un cambio di passo abilitato da risorse mai prima d’ora disponibili, ci chiediamo: forse occorre cambiare il metodo con cui si affrontano le riforme?

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