I manager per l’Europa

Manageritalia, nella casa comune di Cida e quindi in rappresentanza dei manager italiani, apre una discussione in vista del voto europeo.
Sessant’anni di governo democratico europeo hanno portato prosperità, pace e gettato le basi su cui crescere insieme
. Il prossimo 26 maggio dovremo rinnovare la nostra governance europea, tenendo ben presente un modello sociale incontestabilmente riuscito e unico nel suo genere.

In vista di questo appuntamento Cida, con tutte le organizzazioni che la compongono, propone una visione inclusiva e sostenibile per un futuro più desiderabile, guidata da leader responsabili: nelle aziende, nella politica e nella società civile.
Per questo mette a disposizione di tutti alcuni documenti che possono essere utili al dibattito e alla scelta.

Riportiamo qui il messaggio del presidente Cida, e vicepresidente Manageritalia, Mario Mantovani.

“L’Europa che conosciamo, quella in cui viviamo ogni giorno, non è solo una costruzione giuridica. È quella dei nostri figli e nipoti che non hanno mai visto una frontiera interna, che hanno sempre usato euro e che forse ricordano le lire come i giocattoli dell’infanzia. È quella delle nostre vacanze in Spagna o in Sardegna, come tante altre famiglie europee, conversando in italiano, spagnolo, inglese lontani dalla perfezione, è quella di sport, cucina, amicizie. Parla la lingua delle nostre vite e di un’economia quotidiana, non appresa nelle business school. I nostri figli che lavorano a Londra o a Parigi non sono diversi da quelli di noi che da Bologna o da Bari sono andati a lavorare a Milano o a Roma: se c’è una differenza sta nelle migliori capacità d’adattamento e nella minore attenzione al guadagno immediato. La nostra Europa quotidiana non è nata per caso, né ci è stata imposta dalla volontà di politici o burocrati. L’abbiamo costruita noi, manager e imprenditori grandi e piccoli, medici e docenti universitari, che più o meno consapevolmente abbiamo intrapreso la via dell’integrazione, senza attendere che fossero i governi a imporla. È stato sufficiente eliminare alcuni vincoli (e tanti pure ne rimangono), il resto lo abbiamo fatto con scelte organizzative, produttive, commerciali, finanziarie, culturali e di ricerca, che progressivamente hanno fatto emergere ciò che abbiamo in comune. Oggi in Europa abbiamo organizzazioni, lingua, metodi, interessi geopolitici, impianto normativo largamente comuni. I sistemi di welfare nei nostri paesi sono sempre più simili. Gli effetti non sono stati solo positivi, ma è ben difficile pensare che una politica di chiusura, particolarismo, lotte monetarie e commerciali avrebbe fatto di meglio. Abbiamo costruito questa Europa nella libertà che i nostri governi ci hanno concessa. E non è stata poca. In altre parti del mondo la crescita, più impetuosa per il ritardo accumulato dalle generazioni precedenti, è avvenuta a prezzo della libertà. Tutti gli europei, a tutti i livelli sociali, si sono ormai abituati a vivere in una terra libera, talvolta dimenticando che occorre difenderla. Noi manager, con i nostri limiti, amministriamo un continente ricco di valori e di storia, senza pretenderne la proprietà. Non abbiamo perduto le nostre radici: ogni angolo d’Europa mantiene la sua orgogliosa identità e con un po’ d’impegno potremmo ridare vita anche a luoghi e comunità periferici e massificati, che oggi ci mostrano il volto problematico di chi si sente dimenticato. Rimaniamo e rimarremo orgogliosamente campanilisti nello sport, nella cucina, negli stili di comunicazione. Ma l’integrazione non è completa e da ciò derivano i principali problemi che rendono critici molti europei verso l’Unione. Sono ancora troppo carenti i meccanismi solidaristici, non genericamente tra paesi ma tra le persone, a dispetto di un welfare ricco e abbondante, che in qualche caso ha creato però squilibri inattesi. La difficile soluzione non sta nel concedere ulteriore spazio e potere di veto agli stati nazionali, ma nel recupero di legami di comunità in ambiti più limitati, più vicini alle persone, in un quadro comune di regole, strumenti e istituzioni. La comunità manageriale include molti di coloro che vivono tutto sommato bene nella Casa Europa. Abbiamo perciò maggiori responsabilità: per il modo in cui l’abbiamo costruita e anche per come potremmo restaurarla e ammodernarla. Alla chiamata di chi vuole migliorarla – evitando una nuova epoca di lotte tra stati sovrani (anche se legittimati dal popolo) – possiamo rispondere con entusiasmo, per costruire insieme consapevolmente il nostro futuro. Quando tra pochi giorni voteremo, proviamo a guardare avanti: dimentichiamo per una volta le legittime differenze di visione socio-economica e mettiamo al primo posto l’idea di un’Europa dei cittadini, più unita, più coesa, definitivamente avviata verso l’integrazione”.

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