Il totale dei redditi prodotti nel 2021 e dichiarati nel 2022 ai fini Irpef è ammontato a 894,162 miliardi, per un gettito generato di 175,17 miliardi (157 per l’Irpef ordinaria; 12,83 per l’addizionale regionale e 5,35 per l’addizionale comunale), in crescita rispetto ai 164,36 miliardi dell’anno precedente. Aumentano anche i dichiaranti (41.497.318) e i contribuenti/versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di Irpef, che salgono a quota 31.365.535, valore più alto registrato dal 2008: a ciascun contribuente, corrispondono però di fatto 1,427 abitanti.
Sono queste alcune delle principali evidenze emerse, con particolare riferimento al focus dedicato all’analisi delle imposte dirette, dalla Settima Regionalizzazione sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentata martedì al Cnel in collaborazione con CIDA – Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità.
“Una fotografia in miglioramento rispetto al periodo pandemico, ma che – secondo il Prof. Alberto Brambilla, curatore della ricerca – sembrerebbe poco veritiera guardando invece a consumi e abitudini di spesa degli italiani. Mentre quasi la metà (il 47%) non dichiara redditi, tra i versanti il grosso del carico fiscale grava sulle spalle dei contribuenti che dichiarano redditi da 35mila euro in su”.
“I dati parlano chiaro. Siamo ormai in presenza di due forti disuguaglianze: da un lato abbiamo i contribuenti onesti, dall’altro mezzo paese dimenticato, che si pensa di aiutare con i sussidi, invece che con gli investimenti”, commenta Stefano Cuzzilla, presidente CIDA. “Non è accettabile che poco più del 13% della popolazione si faccia carico della quasi metà degli italiani che non dichiara redditi e trova benefici in un groviglio di agevolazioni e sostegni, spesso concessi senza verificarne l’effettivo bisogno.
Un 13% che guadagna da 35mila euro lordi in su, e che per questo non può beneficiare del taglio al cuneo fiscale perché è considerato troppo ricco e non può difendersi dall’inflazione nemmeno quando arriva alla pensione, sempre perché è considerato troppo ricco. Non commettiamo l’errore di pensare che le disparità che esistono in questo Paese facciano male solo a chi si trova sui gradini più bassi della scala reddituale. Fanno male al sistema. Se perdiamo il ceto medio perdiamo stabilità sociale e ipotechiamo il futuro”.
Scendendo nel dettaglio, per quanto riguarda la distribuzione geografica dei versamenti Irpef, l’analisi dei redditi riferiti all’anno di imposta 2021 e rese nel 2022 evidenzia che il Nord contribuisce per 100,6 miliardi, pari al 57,43% del totale, il Centro con 38,2 miliardi pari al 21,83% del totale, mentre il Sud porta in dote 36,3 miliardi, pari al 20,74% del gettito complessivo. Una situazione di disequilibrio che trova conferma anche analizzando le singole Regioni: con poco meno di 10 milioni di abitanti, la Lombardia versa 40,3 miliardi di Irpef, vale a dire un importo maggiore dell’intero Mezzogiorno, che ne conta almeno il doppio, e persino superiore a quello dell’intero Centro (11,8 milioni di abitanti).
Sul persistere di questa forte disomogeneità tra le varie zone del Paese Cuzzilla sottolinea che “se il sud riesce a farsi carico solo del 20% del gettito complessivo nazionale è a causa di politiche economiche poco incentivanti che si sono susseguite negli anni, di forti tendenze demografiche all’invecchiamento e allo spopolamento e una burocrazia fragile che ora sta mettendo in pericolo l’attuazione del Pnrr.
Ciò impone una drastica presa di coscienza. Il Mezzogiorno ha diritto ad alta velocità e infrastrutture di avanguardia, ad una transizione digitale ed ecologica del sistema produttivo. Deve rappresentare un volano di crescita a livello nazionale di un ceto produttivo capace di innescare una vera e strutturale crescita dell’economia. Per questo – conclude Cuzzilla – diciamo basta a questi interventi iniqui e chiediamo che si adottino provvedimenti strategici che non sottraggano altre risorse a chi rappresenta il pilastro del nostro sistema economico e gioca un ruolo rilevante nel rinnovamento sociale”.
Il documento prosegue con la scomposizione per fasce di reddito rivelando che da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 8.832.792 soggetti, il 21,29% del totale, che pagano in media 26 euro di Irpef l’anno. I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15mila euro lordi l’anno sono 7.819.493, cui corrispondono 11,16 milioni di cittadini (il 18,84%); al netto del TIR, l’Irpef media annua pagata è di 358 euro e si riduce a 251 euro nel calcolo per abitante. Nel complesso, i contribuenti delle prime due fasce di reddito, il 42,59% del totale, pagano solo l’1,73% dell’Irpef complessiva, ampiamente insufficiente a ripagarsi anche il solo costo della spesa sanitaria.
Considerando infatti che l’assistenza sanitaria nel 2021 è costata 2.144 euro pro capite, i cittadini di questi primi due scaglioni di reddito pagano in totale 3,029 miliardi di Irpef ma ricevono per la sola sanità 51,06 miliardi di euro, per i quali non restano che la fiscalità generale e la strada del debito pubblico: un enorme trasferimento di ricchezza che si ripete per tutte le principali funzioni dello Stato, dalla sicurezza all’istruzione passando per la spesa assistenziale, a discapito di sviluppo e produttività del Paese.
Tra 15mila e 20mila euro di reddito lordo dichiarato si collocano invece 5,459 milioni di contribuenti, con un’imposta media annua di 1.814 euro, che si riduce a 1.271 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 9.169.315 contribuenti versanti, che pagano un’imposta media annua di 3.506 euro, 2.456 euro per singolo abitante. Se si sommano tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia che il 77,84% dei contribuenti italiani versa soltanto il 25,74% di tutta l’Irpef, e probabilmente, una percentuale ancora minore di altre imposte.
A salire, la scomposizione mostra invece quei poco più di 5 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro che, nella sostanza, sostengono il peso del finanziamento del nostro welfare state. Più precisamente, sopra i 300mila euro di reddito dichiarato si colloca lo 0,12% dei contribuenti, 48.212 soggetti, che versano il 6,98% dell’imposta complessiva; tra 200 e 300mila euro lo 0,16% dei contribuenti che pagano il 3,45% dell’Irpef. Sopra i 100mila euro, il rapporto individua l’1,39% dei contribuenti che, tuttavia, versa il 22,26% delle imposte. Sommando a questi versanti anche i titolari di redditi lordi da 55mila a 100mila euro (che sono 1.503.886 e pagano il 18,43% del totale delle imposte), si ottiene che il 5,01% paga il 40,69% dell’Irpef. Includendo anche i redditi dai 35mila ai 55mila euro lordi, risulta infine che il 13,94% paga il 62,52% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
«Sono questi i dati su cui si dovrebbe riflettere quando si discute di revisione del sistema fiscale», ha spiegato nel corso del convegno di presentazione Alberto Brambilla, il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, rilevando una differenza tra le classi di reddito dichiarato troppo estrema per essere degna di un Paese membro del G7 e peraltro destinata ad acuirsi se non si interverrà su politiche assistenzialiste che continuano ad aumentare importo e platea dei destinatari di bonus e altre agevolazioni a sostegno del reddito.
«Giusto aiutare chi ha bisogno ma i nostri decisori politici tendono a dimenticare che queste percentuali dipendono in buona parte da fenomeni di economia sommersa ed evasione fiscale, per i quali primeggiamo in Europa», puntualizza Brambilla. Fenomeni che, in assenza di controlli adeguati, la continua elargizione di incentivi a pioggia a favore dei redditi più bassi, da una parte, e le “minacce” di abolizione delle tax expenditures per i redditi da 35mila euro in su, dall’altra, concorrono ad alimentare.
Il Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano. Entrate contributive e fiscali, spesa pubblica per welfare e tassi di copertura dal 1980 al 2021” è disponibile qui per la consultazione.