The Founder: la nascita dei McDonald’s

“Come fa uno di cinquantadue anni, attempato, che vende frullatori a diventare il fondatore di un impero dei fast-food con 1.600 ristoranti e un fatturato di 700 milioni di dollari?”. Questa è la storia di Ray Kroc, il piazzista che fece grande il marchio McDonald’s (togliendolo ai suoi fondatori.)

Non tutti sanno che la celebre catena di fast-food McDonald deve il suo successo a uno sconosciuto venditore di frullatori dell’Illinois, Ray Kroc. Questo ambizioso “commesso viaggiatore” riuscì infatti a intravedere e sfruttare le potenzialità del piccolo chiosco di hamburger gestito in California dai fratelli Mac e Dick McDonald fino a farlo diventare la multinazionale che tutti conosciamo.

Multinazionale che dei fratelli fondatori mantiene solo il nome, dopo che l’abile Ray Kroc, intraviste le possibilità di realizzare un franchising di successo, estromise di fatto Mac e Dick dalla società considerandoli troppo conservativi rispetto alle sue mire espansionistiche. Conservativi ma rivoluzionari, avendo inventato il sistema del fast-food, passando dai 30 minuti necessari a preparare un hamburger a 30 secondi.

La storia di questo venditore visionario, capace di trasformare un chiosco di hamburger in un impero presente in tutto il mondo, è raccontata nel film “The Founder” del regista John Lee Hancock. Michael Keaton interpreta il ruolo di Ray Kroc al quale i fratelli McDonald affidano inizialmente il compito di espandere commercialmente l’attività. Operazione però che, come abbiamo visto, sfugge presto di mano ai suoi fondatori.

Il film ha il pregio di portare per la prima volta sul grande schermo questa vicenda mediante una valida operazione di ricostruzione storica e di ambientazione negli anni ’60. Lo stesso attore protagonista, Michael Keaton, interpreta bene il ruolo di Ray Kroc, esaltandone la capacità imprenditoriale, anche se infarcita della solita retorica sul “sogno americano”. Come scrive però il critico cinematografico Paolo Mereghetti nella sua recensione per il “Corriere della Sera”, è proprio quando il film abbandona l’agiografica patriottico-commerciale che ci “fa capire un po’ meglio cosa si nasconde dietro il luccichio del sogno americano”. 

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