Retail: vademecum in 3 punti sull’accoglienza

Alcuni atteggiamenti verbali, paraverbali e non verbali per non far scappare i clienti dal proprio punto vendita

Sarà capitato anche a te di entrare in un punto vendita, o in un qualsiasi altro luogo pubblico, e uscirne con la spiacevole sensazione di non essere stato accolto. Purtroppo capita.
Adesso non mi soffermerò sulle dinamiche psicologiche che spingono “l’addetto” a essere poco gentile, poco sorridente, per dirla in un’unica parola, poco accogliente. Non è questo l’argomento che desidero approfondire.

In questo breve articolo vorrei invece soffermarmi su alcuni atteggiamenti verbali, paraverbali e non verbali, che possono favorire l’accoglienza, o al contrario, avere il potere di far scappare i clienti dal proprio punto vendita.

Iniziamo dall’etimologia del termine accoglienza, che deriva dal latino collĭgĕre, il cui significato è cogliere, raccogliere, accogliere una persona presso di sé con dimostrazioni di affetto. Con quest’ultima accezione direi che in alcuni casi siamo abbastanza lontani dal concetto di “accogliere con a-f-f-e-t-t-o” un Prospect: può capitare infatti all’ingresso di un negozio di trovare venditori disinteressati, annoiati e demotivati, con atteggiamenti contrari all’amorevolezza, all’attenzione, alla gentilezza o alla premura.
Oggi il termine accoglienza sta tornando in auge, forse perché se ne sente tanto la mancanza.
In questo breve articolo desidero proporre un piccolo vademecum dell’accoglienza in 3 punti.

  1. Per prima cosa, per esprimere accoglienza è importante dimostrare vicinanza verso il Cliente. Si può esprimere la vicinanza affettiva attraverso il contatto oculare. L’operatore di vendita è, in primis, tenuto a ricercare il contatto oculare con il suo Prospect. Ma non è sufficiente guardare… il come fa sempre la differenza. Uno sguardo infatti può esprimere diverse sfumature di vicinanza. Ad esempio, lo sguardo freddo e distaccato, che si esprime con una fugace sbirciatina disinteressata, non è certo il contatto oculare di vicinanza affettiva. E non lo è nemmeno lo sguardo scocciato che si manifesta con un’occhiata accigliata e un po’ burbera. Lo sguardo amorevole, invece, è quello che arriva diritto al cuore e di solito è accompagnato da un altro importante ingrediente dell’accoglienza: il sorriso.
  2. Sorridere è un comportamento tipicamente umano che non s’impara attraverso un processo di imitazione, ovvero non impariamo a sorridere perché vediamo i nostri genitori farlo, bensì si tratta di un atteggiamento completamente spontaneo, riflesso, che si manifesta già a due mesi dalla nascita. In pratica ce l’abbiamo tutti in dotazione fin dai primissimi mesi di vita. Ricapitolando, i primi elementi dell’accoglienza  sono quindi lo sguardo e il sorriso, due modalità di comunicazione non verbale.
  3. Vediamo ora le prime parole dell’accoglienza. Ovviamente il saluto: “Buongiorno!” o “Buonasera!” o “Buon pomeriggio!”. Nulla di nuovo sotto il sole. Ciò che non è scontato è ancora il COME si pronunciano le parole, che può afferire alla gentilezza o meno. Un bel buongiorno, detto con voce sonora, corposa, avvolgente e calorosa è in grado di comunicare autentica accoglienza. Il buongiorno detto con voce flebile, svogliata, annaspata, quale vicinanza affettiva potrà mai comunicare?

Nei primi istanti di una conoscenza la parte del cervello specializzata nell’elaborazione delle emozioni, il sistema limbico, invia subito dei segnali alla corteccia cerebrale, in particolare alla corteccia prefrontale deputata alle funzioni esecutive (il discernere i pensieri, il giudicare, determinare bene e male, determinare le conseguenze, fissare obiettivi, predire dei risultati, fare aspettative e altro ancora). In caso di un’accoglienza tiepida o ancora peggio fredda e distaccata, in pochi secondi il nostro sistema cerebrale ha già fatto scattare l’allarme e da lì a pochissimo vi sarà la fuga dal punto vendita.

Basta davvero così poco per compromettere le vendite? Altro che sì! Viviamo in un mondo sempre più complesso, precario, informato, sensibile a qualsiasi turbolenza emotiva ci sfiori. Nessuno è più disposto a tollerare la frettolosità di un cameriere, la grossolanità o la sgarbataggine di un commesso.
Come recita il detto “Non avrai più una seconda occasione per fare una prima buona impressione”, la scortesia resta impressa come un marchio di fabbrica nelle nostre sinapsi.

La customer experience comincia proprio dall’abc, e sarebbe un errore dare l’accoglienza per scontata, come se fosse un mero dovere dell’operatore di vendita, senza pensare ad esempio alla motivazione che lo muove nella sua giornata lavorativa. Certamente l’acquisizione di tecniche di comunicazione efficaci possono favorire il “viaggio del cliente” all’interno di un punto vendita e renderlo ancor più emozionante, ma oggi è fondamentale comprendere anche i bisogni degli addetti alle vendite e cercare di rendere piacevole anche il loro “viaggio”.
Se si vuole rilanciare il mercato retail si deve partire da qui. Del resto “l’uomo che sposta le montagne comincia portando via i sassi più piccoli”.

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