Manager, benessere organizzativo e personale

Stare bene per fare bene e per cambiare nella complessità. L’importanza della consapevolezza del benessere psicologico per le persone, che fanno le aziende. Ne parliamo al prossimo Friday’s Manager, venerdì 22 marzo.
salute mentale e benessere psicologico

Vivere e lavorare in un contesto complesso e in cambiamento continuo non è facile per gli esseri umani: in passato ci è stato chiesto di performare in scenari stabili e raggiungere obiettivi chiari, oggi stiamo scoprendo che per farlo in questa fase non è più solo quello che facciamo a essere importante, ma anche il come.

Un come che si espande a tantissime aree del nostro essere e agire: come facciamo le cose, come svolgiamo il nostro lavoro, come svolgiamo il nostro ruolo, come comunichiamo con gli altri, come guardiamo il mondo, come collaboriamo con gli altri. Tutto strettamente collegato a come stiamo come persone, prima ancora che come professionisti.

In un mondo complesso come quello attuale, stare bene non è certo un punto di partenza ma piuttosto un processo dinamico che ci coinvolge come singoli e come organizzazioni e che possiamo imparare ad attivare con riflessioni, strategie, azioni concrete che ci facciano stare bene per fare bene.

Di questi temi cruciale parleremo nel corso del prossimo Friday’s Manager, venerdì 22 marzo dalle 12 alle 13, intitolato il Benessere organizzativo e personale: quant’è importante nella vita manageriale, con Gloria Bevilacqua, psicologa e psicoterapeuta delle organizzazioni, organizzato da XLabor, la divisione del mercato del lavoro di Manageritalia. REGISTRATI QUI.

Le abbiamo posto alcune domande.

Cos’è e come si concretizza il benessere organizzativo? 

«Viviamo in un momento estremamente complesso e in rapido mutamento, proprio per questo stare bene è un fattore essenziale per funzionare al meglio, per le persone e le organizzazioni.

Quando stiamo bene lo sentiamo e lo sappiamo, il nostro organismo può svolgere le sue funzioni, possiamo fare ed essere il nostro meglio e contemporaneamente imparare cose nuove. Allo stesso modo un’organizzazione sta bene quando il fare fluisce con impegno e la fatica fatta porta risultati e senso.

Anche la definizione di benessere è in continua evoluzione e se, fino a prima del 2000, il focus era prevalentemente sulla tutela della sicurezza fisica, oggi ci si riferisce a molti altri fattori che spaziano dal grado di soddisfazione, felicità e benessere dei dipendenti all’interno di un’organizzazione. In estrema sintesi a tutto quello che fa stare bene per fare il proprio meglio».

Viene prima il benessere collettivo o quello personale e quanto l’uno determina l’altro?

«L’organizzazione è spesso stata vista in passato come una macchina, dove ogni settore può programmare e prevedere cosa accadrà. Se questa metafora era calzante nella realtà lineare che abbiamo vissuto in passato oggi che sperimentiamo una multiforme “modernità liquida” diventa perlomeno poco realistico.

È molto più sensato pensare alle organizzazioni come organismi viventi, sistemi aperti che scambiano informazioni con il contesto economico e con le persone con cui entrano in contatto, in una serie di scambi interattivi.

Questo ovviamente riguarda anche il benessere del sistema e delle persone che sono strettamente interconnessi e strategici per il successo di un’organizzazione e delle persone che vi lavorano. Entrambi sono essenziali e si influenzano reciprocamente».

Cosa vuol dire e cosa fare per star bene con noi stessi e quindi con gli altri?

Stare bene con noi stessi significa prenderci cura del nostro benessere emotivo, fisico, mentale e spirituale: non un compito semplice in un’epoca che ci vede spesso immersi in attività che richiedono prestazioni con standard che percepiamo essere molto elevati e continui, a prescindere dal ruolo che ricopriamo.

Tutti questi stimoli in cui siamo immersi spesso ci allontanano dai nostri bisogni e li modificano se non siamo abbastanza allenati da portarci la giusta attenzione e le giuste azioni: mi riferisco a cose semplici come il ritmo sonno-veglia, alla quantità di tempo dedicato al lavoro mentale e all’attività fisica, all’acqua, al cibo, alla respirazione ma anche alle relazioni con gli altri esseri umani, la qualità delle azioni che compiamo e il senso della nostra fatica.

Oggi stare bene non è un punto di partenza o di arrivo ma un processo di cui è necessario prenderci cura in cui dobbiamo essere presenti, a livello mentale, emotivo, corporeo e relazionale».

È vero che se non sto bene con me stesso non potrò star bene con gli altri?

«Come stiamo condiziona profondamente la percezione della realtà che non solo è complessa ma per di più è in cambiamento continuo e poco prevedibile: stare bene oggi non è più un lusso ma semmai una base per scegliere, di volta in volta, cosa è meglio fare per raggiungere i nostri obiettivi.

Siamo tutti consapevoli di vivere in una realtà ricca e abbondante di possibilità, talmente tante e talmente interessanti da non poter essere accantonate facilmente o con regole che ci danno altri: semplicemente oggi questo non funziona più.

Solo costruendo il nostro personale modo di metterci e rimetterci “in bolla” possiamo pensare di aprirci alle possibilità, ai problemi da risolvere, alle relazioni con altri esseri umani in modo costruttivo e non distruttivo».

Il benessere di un’organizzazione può migliorare quello dei singoli? E come? 

«Ci sono tanti modi in cui entrare in un sistema può attivare un processo di benessere anche nei singoli che ne entrano in contatto: lo sappiamo bene ogni volta che scegliamo di ritornare in un certo bar per bere il nostro caffè ma anche per sentirci di nuovo come ci siamo sentiti l’ultima volta che ci siamo stati.

Forse può sembrare una magia impalpabile ma in realtà oggi abbiamo a disposizione numerosi indicatori che sappiamo migliorano la vita delle persone all’interno delle organizzazioni, dei veri e propri kpi del benessere organizzativo, che se possono essere misurati possono anche essere migliorati.

Cito ad esempio il comfort dell’ambiente, la chiarezza degli obiettivi e coerenza organizzativa, il riconoscimento, valorizzazione e stimolo delle competenze, l’ascolto dei collaboratori, la comunicazione, dei livelli di stress accettabili, la soddisfazione riposta nell’organizzazione, la voglia di impegnarsi, la sensazione di far parte di un team, la voglia di andare al lavoro, un elevato coinvolgimento, la percezione di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, delle gradevoli relazioni interpersonali instaurate sul posto di lavoro, la fiducia e la stima nel management».

Escludiamo o recuperiamo chi ha problemi? Perché e per avere quali vantaggi per la collettività?

«Da quello che vedo dal mio osservatorio il sistema in cui viviamo produce una tale quantità di problemi da non essere più un’anomalia ma una caratteristica propria del momento.

Considerata la quantità di sofferenza conviene semmai iniziare a valorizzare davvero le diversità delle persone che sono presenti nel sistema e superare il concetto di giudizio e omologazione che tanto abbiamo usato nel passato e che oggi – semplicemente- non funziona più.

In un mondo che cambia di continuo siamo sicuri che sia un problema avere caratteristiche precise e magari aver imparato qualcosa dalla propria difficoltà? Semmai una vulnerabilità accolta e affrontata può diventare un alleato e un punto di forza, per sé e per l’organizzazione in cui operiamo.

Dal punto di vista organizzativa promuovere un ambiente inclusivo che accoglie le differenze e offre supporto alle persone in difficoltà contribuisce a creare una cultura organizzativa più diversificata e rispettosa, può ridurre il rischio di turnover, consentendo all’organizzazione di trattenere il talento e risparmiare sui costi di assunzione, creare un clima organizzativo più positivo e solidale, migliorando la soddisfazione sul lavoro e la produttività complessiva.

Direi che ci guadagnano tutti, la difficoltà è capire come farlo con azioni concrete».

Il benessere come incide su performance e senso del lavoro?

«Il benessere delle persone ha un impatto significativo sulla loro performance e sul senso del lavoro: oggi abbiamo davvero numerosi indicatori quantitativi e qualitativi che possiamo imparare a valutare con attenzione.

Investire nel benessere dei dipendenti può portare a una serie di benefici, tra cui una maggiore produttività, un maggiore impegno, una riduzione dell’assenteismo e del turnover e un miglioramento complessivo della soddisfazione sul lavoro».

Qual è il ruolo dei manager nel cercare e determinare il benessere di organizzazioni e persone che vi appartengono?

«Le persone con ruoli di responsabilità hanno davvero un ruolo cruciale nel cercare e determinare il benessere delle organizzazioni e delle persone che vi appartengono, in un mondo complesso e così differente da quello di solo una manciata di anni fa.

Siamo abituati a parlare di responsabili come manager, cioè di persone che hanno come focus primario l’obiettivo il  lavoro e la sua efficacia: oggi però questo sembra non essere più sufficiente e i manager stessi rischiano di agire nel modo corretto senza ottenere i risultati attesi.

In un mondo complesso non è più solo importante cosa fare ma anche come farlo, abbiamo bisogno di modificare anche le parole e iniziare a mettere nel ruolo dei responsabili dei leader, che sappiano guidare le persone a dare il proprio contributo alla crescita dell’organizzazione. È un ruolo determinante per le organizzazioni, che attira e attiva le persone a dare il proprio meglio.

Passare dalla managerialità alla leadership non è certamente un passaggio automatico e facile ma ritengo che sia possibile, grazie anche alle ricerche delle neuroscienze che confermano la nostra plasticità cerebrale, a prescindere dall’età che abbiamo. Possiamo imparare a prenderci cura del benessere della nostra organizzazione cominciando dal prenderci cura di noi e delle altre persone che sono con noi, un passo per volta con poche declamazioni e molte azioni concrete: quelle funzionano!».

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