#inclusionedonna

Il progetto delle principali community professionali in rosa per uguaglianza ed equità di genere

Cosa significa essere donne manager oggi? In una parola “inclusione”.
Molti direbbero sfida, diversity o gender gap. Noi preferiamo dire inclusione. È dal concetto d’inclusione che nasce il progetto, unico nel suo genere nel panorama italiano, di unire sotto un unico hashtag tutte le maggiori associazioni professionali femminili della penisola.



Bene chiarire che il progetto non ha un’ambizione politica, non ci sono partiti o candidati da supportare.



La visione di queste donne che, con il duro lavoro e il loro merito, hanno scalato i vertici di grandi aziende, fondato compagnie di successo, professionisti brillanti o sono parte del tessuto della nostra burocrazia, è semplice.

#inclusionedonna si prefigge di far comprendere al governo, rappresentanza della società civile, che donne e uomini sono uguali. Per uguali si parla di stesso trattamento economico e opportunità lavorative. Nel mondo del lavoro, come riporta purtroppo un recente articolo di Fortune, solo il 17% dei ruoli apicali sono occupati da donne.



Ancora più disarmante lo scenario del gender gap. La distanza media, a parità di mansioni e livello, tra un manager uomo e una donna è del 14% (a sfavore della donna).

Per comprendere meglio la situazione, il punto di vista di Maria Claudia Torlasco Mastelli, presidente di Aidda, rende l’idea:


“È un circolo vizioso, una donna svolge due lavori: gestisce la casa (inclusi eventuali figli, animali domestici ecc.) e la sua attività professionale. In un mondo ideale questo doppio ruolo dovrebbe avere doppio stipendio. In realtà la sua attività familiare, dove il tempo dedicato ai figli non è un mero tempo tecnico ma implica affetto, attenzioni, impegno mentale oltre che fisico, empatia ecc. è un tempo che
può influenzare il tempo lavorativo.



Mi domando quante donne, mentre lavorano, non pensano al proprio figlio che ha il primo giorno di inserimento nella nuova scuola, oppure ha un nuovo corso sportivo da cominciare. A questo ruolo di per sé fondante si aggiunge quello lavorativo. Un ruolo lavorativo che da soddisfazione economica e personale, bene inteso, ma che può essere influenzato dal primo ruolo. Pensiamo alla capacità della donna/madre di muoversi per lunghi periodi (trasferte di lavoro), l’opportunità di effettuare straordinari sul lavoro e, infine, un lieve decremento di produttività a causa dei permessi che può chiedere per ragioni familiari (figli malati, eventi sportivi da attendere ecc.).”


Tenendo presente questi elementi, oggettivi ma non per questo da considerarsi come pietre inamovibili, le aziende hanno riconosciuto al ruolo maschile una maggiore affidabilità e quindi maggiori ragioni per investire negli uomini: strutturare sull’uomo un percorso di carriera, relegando le donne a sparring partner e funzioni di supporto.



Il nuovo progetto (come riporta il precedente citato articolo di Fortune) che vede Claudia in prima linea è qualcosa che, in Italia, non si è mai visto prima. Un’alleanza di tutte le principali associazioni professionali femminili che, riunite dietro l’hashtag #inclusionedonna ha cominciato a muoversi sinergicamente, per definire una strategia comune di dialogo con il governo attuale.



“È cominciato tutto con una chiamata di Sila Mocchi: mi ha chiesto di sviluppare un progetto condiviso. L’attuale governo ha azzerato molti Cda e non li ha ricostituiti secondo la legge Golfo-Mosca”.


La legge avrà fine nel 2020 e allo stato attuale non è chiaro comprendere se sarà rinnovata o ignorata. La sfida dei Cda, con una partecipazione femminile, è un elemento fondamentale per creare migliori sinergie e equilibri.



Sotto l’ombrello di quest’alleanza trovano il loro posto associazioni, fondazioni consulte, onlus, ognuna con la sua forza, nata dal volere, il desiderio e l’ambizione di molte donne professioniste di vedere riconosciuta la loro abilità, il loro ingegno e le loro competenze, in un mondo sin troppo maschile.

“Non siamo ancora alla parità – dice Luisa Quarta, coordinatrice Gruppo Donne Manager Manageritalia Lombardia –, ma stiamo migliorando. Anche se qui e in tanti altri ambiti economici e sociali c’è tanto da fare non solo per le donne, ma in genere per tutte quelle diversità che da sempre, ma ancor più oggi, sono un valore da mettere a fattor comune. E questo possiamo farlo con progetti come #inclusionedonna e comunque puntando solo e veramente sul merito, che deve essere l’unico parametro con il quale valutare e far crescere chi lavora, con vantaggi veri per tutti, persone e aziende. Oggi, infatti, serve un’organizzazione del lavoro capace di valorizzare i talenti di tutti per rispondere alle quotidiane e pressanti sfide dei mercati, un’organizzazione che deve puntare su collaborazione, valorizzazione delle persone e del lavoro in team e su una flessibilità capace di rispondere alle richieste dei mercati e delle persone. Solo così le persone saranno spronate a dare il meglio di sé dentro e fuori dalle aziende. Questo è quello che serve per competere. E prima lo faremo, prima riprenderemo la via dello sviluppo”.



L’alleanza di #inclusionedonna ha creato un programma sottoscritto da tutte le associazioni aderenti. Ovviamente anche Manageritalia con il gruppo Donne Manager ha aderito a questo valido progetto. In numeri si parla di quasi 50.000 donne professioniste. Se consideriamo la loro sfera d’influenza, il loro network e i supporter di questa iniziativa (sia donne che uomini), si parla di circa 1 milione di persone che considerano normale (non un evento eccezionale) che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini, quando si parla di carriera e posizioni manageriali basate sul merito.

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