Il valore della diversità generazionale

Engagement e formazione per motivare e attrezzare le persone di gruppi generazionali differenziati. Sinergie vincenti

Parlare di digital divide significa sottolineare le differenze di valori, modelli cognitivi, stili di relazione e modelli di apprendimento tra i nativi digitali, cresciuti nell’era di internet, e gli immigrati digitali, formati nelle epoche precedenti. Sebbene le diversità tra generazioni siano sempre esistite, oggi sono più rilevanti per la velocità esponenziale del progresso tecnologico (la digital transformation) e l’allungamento della vita media. È la combinazione di questi due fattori che rende obsoleta l’idea tradizionale di staffetta tra generazioni, mentre rende necessario e urgente che gli esponenti delle differenti generazioni al lavoro imparino reciprocamente a riconoscere e valorizzare il proprio sapere distintivo. La diversità generazionale, se gestita opportunamente, mette a disposizione delle imprese un valore aggiunto fatto di capitale intellettuale e sociale frutto della combinazione di patrimoni di esperienze e competenze distintive differenziate.

Questo processo virtuoso, però, non avviene automaticamente. Al contrario, per potere utilizzare profittevolmente le differenze fra generazioni bisogna che siano sviluppate delle politiche attive di gestione delle risorse umane e di formazione mirate a fare sì che le persone di gruppi generazionali differenziati siano tutte motivate e attrezzate a lavorare assieme in maniera sinergica. Questo deve avvenire sulla base di rapporti di reciproca fiducia, così come accade in un team evoluto e in crescita. Si tratta insomma di costruire un “ponte intergenerazionale” che porti gli individui a conoscere e legittimare i punti di vista e il know-how di generazioni differenti.

Identikit delle generazioni
al lavoro e formazione esperienziale 

Progressivamente la popolazione al lavoro è diventata sempre più differenziata in termini di orientamenti e di valori di riferimento. Oggi nella maggior parte delle imprese lavorano assieme ben quattro generazioni. La generazione dei baby boomers, nati fra il 1943 e il 1960, che assume come prioritari fattori come l’identità istituzionale e organizzativa e la profusione dell’impegno personale per raggiungere obiettivi significativi. La generazione X, che comprende i nati tra il 1961 e il 1981 che tendono ad avere una minore fiducia nei valori e nelle istituzioni tradizionali e un ottimismo più ridotto nel futuro. La generazione Y (i Millennials) raggruppa gli individui nati dal 1982 fino al 2000 ed è caratterizzata dall’essere “nativa digitale”, poiché sperimenta, fin dalle prime fasi di crescita e di sviluppo personale e sociale, i social media e le tecnologie digitali.

I nativi digitali tendono ad avere fretta e un più scarso senso di appartenenza alle istituzioni e amano mettersi in gioco. Tuttavia risultano attenti ad ascoltare e a legittimare i feedback purché siano motivati e argomentati. La generazione Z comprende coloro che sono nati dopo il 2000. Si tratta di una popolazione che è appena o non ancora entrata nel mondo del lavoro e rappresenta la prima generazione di persone ad avere familiarizzato, fin da subito, con le tecnologie touch e la diffusione massiccia dei social media e del social networking. Comprende inoltre individui consapevoli delle difficoltà che dovranno affrontare ma che intendono comunque lottare per emergere.

Leggi anche: InterAGEing un patto tra generazioni in azienda 

Lo sviluppo del capitale sociale entro un contesto organizzativo che vede quattro generazioni differenti lavorare assieme e la diffusione di nuove tecnologie digitali deve puntare, in maniera particolare, sulla formazione esperienziale (il learning by doing), facilitata da metodi basati sul dialogo intergenerazionale inclusivo che puntino su un approccio capace di favorire il coinvolgimento e la collaborazione, in maniera da generare valore e poter mantenere e sviluppare il vantaggio competitivo dell’organizzazione.

Formazione e sviluppo organizzativo
nell’era della longevità  

Il progressivo aumento della longevità nel mondo dei paesi sviluppati, unito a un significativo declino della natalità e all’accelerazione del progresso tecnologico, fa sì che le persone debbano ripensare i propri modelli di riferimento, mentre le organizzazioni devono accogliere la sfida di far leva sulle sinergie prodotte dal capitale umano di generazioni differenti in maniera da assicurare il proprio sviluppo nel corso del tempo. Questa è la tesi sostenuta nel libro The 100 year life, living and working in an age of longevity, scritto da Lynda Gratton e Andrew Scott della London Business School (Bloombury, 2016). Secondo gli autori, l’accelerata crescita delle aspettative di vita rende attuale e sempre più necessaria la messa in discussione del modello tradizionale di vita in tre fasi: studio, lavoro, pensione. Questo sia sul versante delle persone che su quello delle organizzazioni. Tutto ciò richiede delle politiche di human resource capaci di aumentare le energie psicologiche vitali (vitality asset) e gli “asset trasformazionali” che implichino delle azioni rivolte all’empowerment delle persone e allo sviluppo di pratiche organizzative capaci di favorire il dialogo, lo scambio di conoscenze e il trasferimento di esperienze fra generazioni differenti.

Mutual mentoring: un’alleanza tra generazioni per crescere assieme

Nell’era della trasformazione digitale l’idea e le pratiche di mentoring tradizionale devono fare spazio a un’alleanza tra generazioni basata sulla condivisione delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze. Una modalità che va in questa direzione è il “mentoring reciproco” (mutual mentoring): una metodologia di formazione che prefigura un percorso di apprendimento guidato entro cui i senior possono fare da mentore verso i giovani e nel contempo i giovani possono farlo nei confronti dei senior. Più in particolare, il mentoring reciproco sottende l’idea che sia i senior che i junior dispongano di competenze, capacità, esperienze utili all’altra parte e inoltre che senior e junior insieme possano riuscire ad apprendere cose nuove e crescere assieme per riuscire ad affrontare congiuntamente sfide particolarmente complesse.

Quindi, il mutual mentoring si svolge attraverso la costruzione di un rapporto a due vie tra generazioni differenti orientato al passaggio reciproco di esperienze e competenze e anche di valori culturali. In questo modo si crea nelle organizzazioni una vera e propria comunità di apprendimento entro la quale i rappresentanti di generazioni differenti arrivano ad abbattere le barriere relazionali e i pregiudizi riuscendo ad assumere, a turno, il ruolo di mentor (insegnante) e di mentee (allievo) attraverso la legittimazione e l’incoraggiamento reciproco e lo scambio di feedback sul conseguimento degli obiettivi e l’adeguatezza dei comportamenti messi in campo.

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca