Welfare: uno e trino

Tra pubblico e privato (familiare, aziendale e terzo settore), uno scenario su cui riflettere. La politica di Manageritalia per i suoi associati e la recente novità introdotta nel ccnl: la Piattaforma Welfare Dirigenti del Terziario

Il welfare state italiano, di cui come paese siamo stati per tanti anni orgogliosi, ha una funzione precisa: garantire tutele uniformi alla popolazione e sostegno in caso di difficoltà, con particolare attenzione agli strati più indigenti. Il legislatore ha inteso assicurare servizi essenziali (basti pensare alla salute) e opportunità, anche in termini di istruzione e formazione, che non tutti con i propri mezzi potrebbero avere. Un investimento fatto per poter mettere pienamente a frutto il capitale umano di una nazione utilizzando la solidarietà di chi è in grado, con tasse e contributi, di sostenere chi non è in grado di aiutarsi. Questo impegno si è tradotto nel Servizio sanitario nazionale universale, in pensioni inizialmente anche generose, congedi parentali, assegni familiari e assistenziali, sussidi di disoccupazione e di povertà.

A partire dagli anni ‘90 i sistemi di welfare sono entrati in crisi per ragioni economiche, politiche, sociali, demografiche e da allora con sempre maggiore convinzione ci stiamo rendendo conto quanto sia necessario intervenire con profonde revisioni, fino ad immaginare, anzi ad auspicare, un partecipato tavolo di discussione per un nuovo patto sociale che ridisegni i bisogni e predisponga dei servizi più vicini agli interessi dello stato. 

Ripensare il welfare all’italiana
Da riequilibrare è la struttura stessa del welfare all’italiana, caratterizzata da una parte pubblica (uno) e una parte privata nata anche per supplire alle lacune del pubblico, divisa in tre grandi pilastri (trino): familiare, aziendale e terzo settore. Un welfare privato che ha bisogno di sostegno se pensiamo alle reti familiari, su cui storicamente si sono scaricati i maggiori effetti della mancanza dei servizi pubblici, che sono entrate in grande crisi. Si pensi solo alle trasformazioni strutturali delle famiglie italiane che si sono ridotte nei componenti, magari anche più a lungo impegnati nel lavoro dunque impossibilitati a prestare quella attività di supporto alla famiglia, e alla crescita delle famiglie unipersonali diventate ormai circa 8 milioni. Famiglie meno numerose e più individui soli hanno aumentato evidentemente i rischi di fragilità, marginalità o esclusione sociale a cui corre in soccorso proprio un crescente impegno del terzo settore.

Contestualmente per dare risposte nuove anche all’invecchiamento attivo nel lavoro, alla non autosufficienza, alla precarizzazione, al maggiore impoverimento anche degli anziani, ai nuovi disagi fisici e psicologici si è evoluto, dove è stato possibile, il welfare aziendale, di cui ci occuperemo maggiormente in questo articolo. 

Grande evoluzione dell’impegno delle aziende lo abbiamo registrato con gli esordi che ormai possiamo chiamare di avanguardia con il caso più noto rappresentato dalle intuizioni di Adriano Olivetti, ma anche molte esperienze contrattuali in alcune categorie, tra queste quelle dei dirigenti rappresentati da Manageritalia che ha fondato un ampio welfare contrattuale con le sue controparti datoriali, in particolare Confcommercio, utilizzando la bilateralità in materie ormai giudicate “classiche” quali previdenza complementare, assistenza sanitaria, formazione e prodotti assicurativi per la professione. Citato anche perché è stato il primo caso in Italia in cui da un contratto collettivo nazionale di lavoro si è giunti alla creazione di Fondi ed Enti che avevano lo scopo di realizzare tutele integrative negli ambiti sopra citati.

L’intervento dei fringe benefit
Possiamo poi ricordare una seconda fase di sviluppo del welfare aziendale sfruttando le opportunità di una legislazione sempre più favorevole ai cd fringe benefit, compensi sotto forma di beni e servizi che si aggiungono alla retribuzione in denaro, come il PC, il telefono cellulare, l’autovettura aziendale e i buoni pasto. Ma è con le leggi di stabilità a partire dal 2016 che si è aperta una fase matura regolamentando l’uso di tutti quei servizi, i cd flexible benefit, finalizzati a rispondere ai bisogni di natura sociale quali salute, spese per l’educazione, la conciliazione cura-lavoro, la non autosufficienza e alle quali si è aggiunta poi l’area del tempo libero come viaggi, intrattenimento e palestre, interessando non più solo la sfera del singolo lavoratore ma tutta la famiglia allargata. Via via il processo si è semplificato grazie ai cd provider, ma ancora grazie alle associazioni di rappresentanza dei lavoratori e datoriali che hanno sfruttato la possibilità di sviluppare le forme di welfare tramite la contrattazione, piuttosto che assecondare la diffusione di forme unilaterali promosse dalle imprese.

Secondo l’Indagine di Manpower, “Uno sguardo allo scenario del mondo del lavoro nel 2022 – Report Italia”, oggi i lavoratori vogliono che le aziende offrano di più, mettendo al primo posto benessere e motivazione, oltre a benefit come flessibilità, stipendio competitivo, buone condizioni di lavoro e sviluppo delle competenze, percependo l’importanza di far parte di una vera e propria “comunità aziendale”. Molti si aspettano anche una posizione più netta in merito a questioni socioeconomiche, perché la condivisione dei valori è importante.

La centralità delle persone
Ciò che emerge come risultato principale di questi cambiamenti è la centralità guadagnata dalle esigenze delle persone che esigono di più sia in termini di benessere che dal punto di vista motivazionale. Anche per i manager, la cui parte retributiva assume importanza crescente all’aumentare della responsabilità, assume sempre di più importanza il benessere.

Per questo il Ccnl per i dirigenti del terziario di Manageritalia rinnovato con la Confcommercio il 16 giugno del 2021, nell’art. 21 bis ha risposto con una prima introduzione nel contratto della possibilità per le aziende di usare per tutti i dirigenti la leva del welfare aziendale, certamente con un incentivo volontario ma introducendo nuove opportunità di risposta ai nuovi bisogni rappresentati dai manager Il rinnovo del Ccnl del 12 aprile 2023, è la logica prosecuzione e completamento dell’intesa del giugno 2021 che, tra le altre, ha introdotto un obbligo di welfare aziendale, prevedendo, per i prossimi 2 anni, un contributo welfare obbligatorio di almeno 1.000 euro per ogni dirigente, da destinare alla Piattaforma Welfare Dirigenti del Terziario e spendibile esclusivamente nel perimetro degli enti contrattuali.

Attraverso la Piattaforma è così possibile arricchire individualmente la previdenza complementare del Fondo Mario Negri; usufruire di specifici pacchetti di prevenzione studiati dal Fondo di assistenza sanitaria integrativa Fasdac, anche riferiti al più esteso nucleo familiare oggi non coperto dal Fondo (fino ai genitori del coniuge); usufruire di servizi costruiti su misura dall’Associazione Antonio Pastore; acquistare piani formativi ostruiti dal Cfmt per i propri familiari. Il welfare è sicuramente uno strumento per mettere al centro le persone ma, grazie soprattutto alla spinta normativa e fiscale, questa iniziativa garantisce numerosi benefici anche alle aziende.

L’interesse di aziende e dirigenti
Le reazioni da parte di aziende e dirigenti alle nuove opportunità, all’incremento delle prestazioni fornite dai fondi contrattuali sono state di forte interesse. In particolare, è gradita la possibilità di personalizzare il proprio welfare, scegliendo i servizi ai quali dedicare più risorse, anche in base all’età, al nucleo familiare, alle prospettive di lavoro e carriera. Anche i dirigenti che già conoscevano e utilizzavano il welfare aziendale hanno colto il senso dell’innovazione, che fa leva sulla solidità e sulla convenienza del welfare contrattuale, integrando due sistemi finora separati. I punti cardine di questo accordo innovativo sono quindi certamente quelli di promuovere e semplificare il welfare come fonte di benessere per il singolo e la sua famiglia.

L’integrazione con le piattaforme più diffuse sul mercato, anche cogliendo le opportunità del rinnovo del 2021 consente inoltre con facilità di accedere all’ampia offerta di servizi per il benessere proprio e dei familiari richiamati nella più ampia sfera dei flexible benefit.

Si conferma dunque la forza della contrattazione collettiva nel fare cultura e favorire cambiamenti positivi in vari ambiti sfruttando i grandi numeri di adesione, per facilitare i processi, contrattare condizioni migliori, integrare le diverse forme di welfare senza sprechi. Il tutto senza limitare le possibilità di scelta e personalizzazione.

Il rapporto Generali
Anche per questo secondo il Rapporto 2022 – Welfare Index Pmi di Generali giunto alla sua settima edizione, il welfare aziendale, nella forma nuova e tradizionale, continua a crescere: oltre il 68% delle Pmi italiane supera il livello base. Raddoppia inoltre il numero di Pmi con livello molto alto e alto, passando dal 10,3% del 2016 al 24,7% del 2022. È interessante considerare come le Pmi con welfare più evoluto ottengano un maggiore impatto sociale sui propri stakeholder: lavoratori e famiglie, fornitori, clienti e comunità. Inoltre, contribuiscono molto di più della media alla crescita dell’occupazione. Ma non solo le grandi aziende, anche le microimprese puntano a raggiungere obiettivi di welfare, raggiungendo nel 2022 il 15,1% di donne e giovani.

Per la prima volta il rapporto dimostra come il welfare aziendale sia un fattore di resilienza. Lo studio, infatti, approfondisce anche la correlazione tra livelli di welfare aziendale e i risultati economici. Le Pmi con un welfare più evoluto hanno resistito meglio alla pandemia e dimostrato maggiore slancio nella ripresa.

Il report Bocconi
Anche un recente Report del Corporate Welfare Lab della Sda Bocconi che ha monitorato le iniziative delle imprese italiane in questo campo ha evidenziato che gli investimenti nelle politiche sociali in favore dei dipendenti non sono solo uno strumento di responsabilità sociale ma spingono i ricavi e la competitività e che le politiche di welfare aziendale ben congeniate aumentano in misura considerevole la probabilità di conseguire un incremento dei ricavi superiore al 10%. Inoltre, è stato evidenziato che una migliore conciliazione della vita lavorativa con quella privata favorisce anche la parità di genere sul posto di lavoro. Nelle aziende dove il welfare è più evoluto, infatti, si registra un numero più alto di donne in posizione di responsabilità, nonché aumenta significativamente la probabilità che un dipendente decida di diventare genitore.

Per tutto questo, proprio mentre ci accingiamo a riflettere sulla “riequilibratura” del futuro welfare, immaginando la ridefinizione di un nuovo Patto Sociale, il welfare aziendale deve essere considerato come elemento sussidiario al welfare pubblico imprescindibile, in particolare per rispondere ai nuovi bisogni della società. Un elemento nuovo che porta soluzioni anche al difficile esercizio di sostenibilità a lungo termine per l’Inps e per il Ssn, che non può più prescindere dalle risorse del welfare privato.

Articolo tratto da L’Annuario del lavoro. La logica di welfare differenziato guida da anni la politica contrattuale di Manageritalia e i servizi fuori dal contratto per dirigenti, quadri ed executive professional. Come ultima novità, la Piattaforma Welfare Dirigenti del Terziario, che partirà il 15 gennaio. 


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