Politiche attive: cosa abbiamo e cosa manca

Riformare il sistema degli ammortizzatori sociali non significa assistenzialismo a tutti i costi: significa migliorare l’occupabilità del lavoratore e accompagnarlo verso il reinserimento nel mercato. Quindi un sistema di vasi comunicanti tra sostegno al reddito, politiche di attivazione del lavoratore e riforma dei servizi per l’impiego.

Proteggere un lavoratore non deve più significare “mantenerlo economicamente”, se non per un brevissimo periodo, ma deve tradursi nel migliorare il capitale umano e favorire il giusto reskilling del lavoratore coerente con le richieste delle aziende nel breve-medio periodo e nell’accompagnamento al lavoro. Per le politiche attive auspichiamo un ruolo centrale più incisivo da parte dello Stato, un maggior coordinamento dei servizi per l’impiego a livello nazionale da parte di Anpal, una forte integrazione tra strutture pubbliche e private (centri per l’impiego e agenzie del lavoro private).
Cosa manca? Introdurre un unico strumento nazionale valido per tutti i lavoratori disoccupati (percettori di Naspi e di Cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga del reddito di cittadinanza e per lavoratori autonomi, in sostituzione dell’Iscro e per i liberi professionisti). Ma anche dare la possibilità alle parti sociali di provvedere in via sussidiaria attraverso gli enti bilaterali.

La revisione degli ammortizzatori sociali dovrà essere basata sul principio che a una maggiore libertà delle imprese nella gestione della forza lavoro devono corrispondere tutele adeguate per chi rimane senza lavoro. Tutele adeguate non significa assistenzialismo: riteniamo infatti necessaria una riforma del sistema mirante a dare maggiori garanzie del lavoro, soprattutto per i giovani e non del posto fisso, mediante politiche attive a favore della ricollocazione e della mobilità professionale verso le reali richieste del mercato del lavoro, più che attraverso misure meramente assistenziali.
Tale materia andrebbe coordinata con gli strumenti del welfare di categoria messi a disposizione attraverso gli enti bilaterali.

La Governance
Per il prossimo futuro prioritariamente si dovrebbe riformare il Titolo V e avere il coraggio di riportare il diritto al lavoro e alla formazione tra le competenze esclusive dello Stato. Subito dopo occorrerà, come si è detto, rimodulare il sistema di protezione sociale in chiave di politica attiva del lavoro. Al momento manca una visione basata su una logica di servizio alle imprese, in grado di agevolare effettivamente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, partendo proprio dall’analisi delle richieste delle imprese e non viceversa, in modo da intercettare le reali esigenze di un mercato del lavoro dinamico e in continua evoluzione.

La riforma del sistema degli ammortizzatori sociali deve andare in parallelo con la riforma delle politiche attive del lavoro e con la revisione del sistema dei servizi per il lavoro, normalmente composto dal binomio pubblico-privato, che oggi soffre della presenza di venti sistemi regionali di governance delle politiche per il lavoro diversi, con evidenti difficoltà di indirizzo da parte dello Stato.
Ecco perché auspichiamo che venga riassegnata allo Stato la competenza su lavoro, sanità e formazione.

I servizi per l’impiego a livello regionale dovrebbero uniformarsi e omogeneizzare le loro prestazioni sulla base delle linee di indirizzo triennali, degli obiettivi di lungo termine e dei livelli essenziali delle prestazioni definiti, con decreto ministeriale, in maniera univoca, a livello nazionale. Superato il livello macro della ripartizione delle competenze, se si guarda invece al piano operativo – agli attori coinvolti – si deve puntare a un modello efficiente di integrazione pubblico-privato, mettendo a fattor comune le risorse e ottimizzandone la collaborazione e la complementarietà dei due sistemi pubblico e privato al fine di agevolare la circolazione, lo scambio reciproco di informazioni e implementare le politiche attive per il lavoro.
Occorre quindi migliorare e qualificare le collaborazioni Stato/Regione e pubblico/privato finalizzandole al raggiungimento di obiettivi comuni, superando le dispute sulle competenze e spostando l’attenzione su una progettazione congiunta di programmi, misure e servizi con obiettivi condivisi, concreti e misurabili, sull’intero territorio nazionale, garantendo diritti ed opportunità per tutti i lavoratori. Questo aiuterebbe a risolvere il raccordo tra strumenti statali, come per esempio l’assegno di ricollocazione, con le misure regionali. Stato e Regioni devono lavorare insieme e condividere strumenti, sulla base delle indicazioni rese a livello nazionale.

Riguardo al raccordo pubblico-privato, il soggetto pubblico si potrebbe focalizzare sulla definizione dello status della persona con riferimenti allo stato di disoccupazione, ai carichi familiari, all’esistenza di sussidi temporanei, etc., mentre il privato dovrebbe puntare a svolgere attività di orientamento e formazione, indirizzandole verso i singoli individui, con l’obiettivo di definire percorsi congrui e mirati ad ognuno di essi, capaci di portare ad un deciso miglioramento del proprio “capitale umano” in modo da favorirne l’occupabilità e l’inserimento al lavoro.

La proposta di un unico strumento di politica attiva e passiva
Concretamente, crediamo sia opportuno introdurre un unico strumento nazionale valido per tutti i lavoratori disoccupati. Per quanto riguarda le politiche pubbliche, un buon sistema del lavoro è quello che coniuga politiche di supporto, con la formazione e con politiche di attivazione del lavoro, in un sistema unico di vasi comunicanti. Occorre che il Paese investa nella formazione di base, nell’alta formazione, nella formazione continua e nel sistema di gestione del mercato del lavoro. I Fondi europei dovrebbero essere destinati non al sostegno al reddito ma a politiche formative e di attivazione al lavoro.

Per i lavoratori in costanza di rapporto un’ottima occasione è rappresentata ora dal Fondo Nuove Competenze, una misura universale, che si applica a tutte le categorie; ma occorre che lo strumento sia più duraturo, se non addirittura reso strutturale. Per questo motivo abbiamo chiesto che venga prorogato almeno a tutto il 2021 e che sia ammessa l’attestazione delle competenze, quando non è possibile la certificazione, per allargare il numero di enti che possono collaborare alla formazione. Per quel che riguarda invece i lavoratori disoccupati auspichiamo l’adozione di uno strumento unico a livello nazionale per tutti i percettori di Naspi e di Cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga e per coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza. Per esempio la proposta del senatore Tommaso Nannicini del “reddito di formazione” va in questo senso: abbandonare la logica dei sussidi con “condizionalità che nessuno controlla” e avviare un percorso fatto di “bilancio e certificazione delle competenze, orientamento, formazione e sostegno alla mobilità”.

Riteniamo opportuno, affinché il modello sia veramente universalistico, che siano ricomprese anche le categorie dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti iscritti alle casse autonome previdenziali. Un’unica misura che coniughi supporto al reddito, formazione e ricerca attiva di nuova occupazione. Adottare uno strumento unico significa superare l’attuale frammentarietà degli interventi. Un percorso fatto di bilancio e certificazione delle competenze, orientamento, formazione e sostegno alla mobilità. Tale proposta potrebbe essere un modello di attuazione del nuovo Programma GOL previsto dalla legge di bilancio 2021.

Il 31 marzo cesserà il blocco dei licenziamenti e per quella data, in previsione di una ondata di licenziamenti, occorre che il sistema delle politiche attive sia riformato. Un decreto interministeriale dovrà definire le modalità di attuazione del Programma GOL: ebbene, la proposta Nannicini da noi sostenuta potrebbe costituire un modello possibile per dare attuazione al nuovo Programma GOL definendo i soggetti destinatari, le modalità di prestazioni che i servizi per l’impiego possono offrire, la durata, gli strumenti gestionali etc.
Accanto allo strumento unico universale occorrerebbe anche dare la possibilità alle parti sociali di provvedere alla rioccupazione attraverso strumenti di origine contrattuale in via sussidiaria. Non un ammortizzatore sociale ad hoc, nessuna richiesta di supporto al reddito, ma solo la creazione di un soggetto unico di riferimento (una Agenzia) per la piena occupazione dei manager, uno strumento di politica attiva categoriale.
L’Agenzia sarebbe finanziata dalla contribuzione delle parti sociali interessate, quindi dirigenti e loro datori di lavoro: lo scenario di riferimento nel settore è la francese APEC – Association pour l’emploi des cadres che, pur essendo un’entità privata, svolge un servizio pubblico nel recruitment dei manager.

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