Life after sale

Gli autori del libro "Mind the change. Capire il cambiamento per progettare il business del futuro" (Guerini Next) spiegano perché con la vendita di un nostro prodotto l'obiettivo non può dirsi raggiunto. Dopo l'acquisto, il rapporto con i nostri clienti è tutto da costruire, a partire dalla user experience e dalle informazioni che siamo in grado di tracciare e raccogliere

Ogni volta che concludiamo una vendita, perdiamo qualcosa. Non è una affermazione astratta: questo concetto ha implicazioni profonde sui nostri modelli di business, soprattutto in ottica digitale.

Ogni volta che si effettua la vendita di un prodotto, se ne perde il controllo. Il prodotto passa sotto il controllo del cliente, che lo utilizza per le finalità per cui è stato realizzato. Solo attraverso l’utilizzo (user experience) il cliente può estrarre i benefici per i quali il prodotto è stato progettato; il tipo di utilizzo che egli ne fa, condiziona il valore che ne ricava. Ad esempio: per quanta percentuale delle sue potenzialità state utilizzando il vostro computer? la vostra autovettura? il vostro televisore?

Chi produce oggetti si sforza di migliorarne le performance, di aggiungere funzioni, immaginando (talvolta indagando tramite ricerche di mercato) il modo in cui il prodotto verrà utilizzato. Ma poi quando il prodotto viene effettivamente usato, chi lo ha prodotto lo perde di vista e non sa nulla (o sa veramente poco) delle modalità con cui viene realmente impiegato.

Seguire il prodotto dopo la vendita: dati e informazioni utili

Ora poniamoci a un’altra domanda: sarebbe davvero importante raccogliere informazioni su come il nostro prodotto viene utilizzato dai nostri clienti?: quando, dove, come, con quali altri prodotti, per quanto tempo, per quali attività, con quali risultati, e così via. Cosa potremmo fare con questi dati? Sicuramente conoscere il modo in cui il singolo utilizzatore fa uso del nostro prodotto ci permetterebbe di mettere a punto versioni migliori, più vicine alle reali modalità d’impiego. Disponendo di quella conoscenza, potremmo personalizzare il prodotto, oppure insegnare al cliente come usarlo in modo più efficace per rispondere alle proprie esigenze, accrescendone la soddisfazione. Se è vero che i benefici per i quali il prodotto è stato progettato vengono ottenuti attraverso il suo utilizzo, il modo migliore per progettare quel prodotto sarebbe dal suo utilizzo.

Questa prospettiva cambia radicalmente la relazione con il mercato. Sebbene essa coincida con l’impostazione di marketing, che afferma l’importanza di muovere dal cliente per costruire la value proposition, fino ad oggi tutto questo si è limitato ad un uso intenso delle ricerche di mercato e dei dati raccolti in modo più o meno sistematico ogni volta che il prodotto faceva ritorno al produttore vuoi per difetti o per semplice manutenzione; diversamente, il produttore perdeva traccia dei suoi prodotti. Oggi, la tecnologia digitale permette di rendere il prodotto il tramite reale della relazione con l’utilizzatore. Grazie alle possibilità di connessione, il prodotto può diventare la piattaforma relazionale che permette al produttore di entrare nella vita del cliente. Vediamo come e quali sono le conseguenze.

Nell’articolo sulla Digital First Phylosophy abbiamo illustrato le caratteristiche del prodotto digitale, definendo otto vettori di sviluppo che possono essere visti come altrettante dimensioni per trasformare un prodotto tradizionale in uno digitale. Ora è giunto il momento di approfondire le ricadute di un prodotto divenuto digitale sulla relazione con il mercato. La ragione risiede nel fatto che per sfruttare le potenzialità di un prodotto digital first occorre occorre un cambiamento di prospettiva radicale non solamente sul prodotto, ma anche e soprattutto sulla relazione che abbiamo con il mercato (e poi sui processi interni all’azienda e sui modelli di business, ma lo vedremo in un prossimo articolo).

Come entrare nella vita del nostro cliente

Un prodotto digitale può raccogliere dati (sensing), elaborarli (thinking) e trasmetterli a un centro o ad altri prodotti circostanti (connecting). Questo consente di entrare nella vita del nostro cliente, osservandolo (=raccogliendo dati) esattamente mentre utilizza il prodotto che abbiamo pensato per lui: esattamente nel momento in cui ne ottiene i benefici, che sono la ragione per cui lo ha acquistato.

Entrare nella vita del cliente osservandolo (attraverso i dati raccolti dal prodotto digitale) nel momento in cui estrae benefici dal nostro prodotto significa poter spostare l’obiettivo dalla vendita alla gestione dell’intera vita del prodotto nelle mani del cliente. La vendita diventa semplicemente un elemento che abilita la relazione fra produttore e cliente, perché introduce il prodotto all’interno delle attività del cliente. Ma è dalla vendita in avanti che si crea il valore sia per il cliente sia per l’impresa.

copyright Mind the Change 2017, Baban, Cirrincione, Mattiello

Come cambia il rapporto impresa-cliente quando il prodotto diventa connesso? La user experience si trasforma nel momento centrale della relazione, perché in quel momento si generano i dati che l’impresa raccoglie e può usare per migliorare le performance del prodotto. I dati grezzi necessiteranno poi di una elaborazione che li trasformi in insights sui modelli di comportamento dei clienti, sulle preferenze di utilizzo, sugli ostacoli che incontrano e così via.

Grazie ai sistemi di analisi si aprono due possibilità:

  • lo sviluppo di nuove generazioni di prodotti, sulla base di ciò che l’impresa apprende sull’utilizzo di quelli attualmente disponibili al mercato;
  • il miglioramento delle performance del prodotto, attraverso l’upgrade del software, oppure l’affiancamento di servizi in grado di accrescere i benefici per il cliente, o ancora la condivisione dei dati con altri operatori che creano ecosistemi di valore intorno al prodotto (ad esempio attraverso APIs).

Il secondo punto è quello che maggiormente rappresenta una rivoluzione rispetto al passato. Prodotti digitali presidiati da un software possono migliorare e adeguarsi progressivamente a ciascun singolo utilizzatore, come fanno ad esempio le vetture Tesla o i nostri smartphone. Ogni difetto originario viene superato da nuovi aggiornamenti di software, mentre le opzioni di personalizzazione rispondono ai modelli di utilizzo dei singoli. Ogni volta che il sistema si aggiorna l’esperienza di utilizzo migliora, accrescendo la soddisfazione e approfondendo il lock-in del cliente. Si innesca un loop, che chiamiamo digital value loop: a mano a mano che il prodotto viene utilizzato migliorano le performance del prodotto e cresce la sua capacità di generare soddisfazione. La metafora della relazione passa da un “se ti sei trovato bene torni a comprare da me” ad un “più ti conosco più posso migliorare la tua esperienza di utilizzo del mio prodotto”.

Oltre alla possibilità di migliorare le performance del prodotto, la disponibilità di dati sul suo utilizzo abilita anche la possibilità di creare nuovi servizi a valore aggiunto. I dati permettono di anticipare (forecasting) e quindi predisporre soluzioni che anticipano il problema oppure sfruttano ciò che ci si attende avverrà: dai servizi di maintainance ad hoc, ai suggerimenti per migliorare l’utilizzo del prodotto, e così via. Questi dati possono anche essere ceduti a terze parti affinché queste offrano servizi utili al verificarsi di certe condizioni: si possono così costruire ecosistemi di valore in cui imprese diverse partecipano alla realizzazione di benefici per il cliente in un certo contesto di utilizzo.

Accanto ai nuovi servizi, i dati generati durante la user experience possono anche essere condivisi con altri utilizzatori per accrescere l’esperienza oppure condividere un apprendimento che in questo modo diventa ancora più veloce. Se il cliente può giovarsi delle esperienze fatte da altri utilizzatori, il suo apprendimento diventa più rapido e ancora più product specific. Questo ha ricadute importanti sia sulla sua soddisfazione sia sul lock-in competitivo.

Infine il prodotto connesso può abilitare gli utilizzatori a contribuire con propri suggerimenti e intuizioni nello sviluppo di nuovi prodotti e soluzioni, secondo logiche di co-creazione, come tipicamente avviene con i software rilasciati in versione beta.

Questo cambio di prospettiva, che introduce il produttore dentro il momento dell’utilizzo, rendendo il prodotto lo strumento della relazione, offre la possibilità di creare nuovi e più duraturi modelli di business, basati non tanto (o finanche non più) sulla vendita, bensì su tutto il valore che si può estrarre durante l’intera vita utile del prodotto. In quest’ottica la vendita diventa l’elemento abilitante per occupare una posizione specifica all’interno del contesto di utilizzo del cliente, senza la quale non sarà mai possibile raccogliere alcun tipo di dato. Occupare quella posizione diventa un imperativo anche competitivo, perché spesso ciascuna categoria di prodotto vede un solo brand essere acquistato e usato. Quanti di voi hanno più di un frigorifero? Più di una macchina del caffè? Più di un computer? Più di un materasso? e nel prossimo futuro: più di un assistente virtuale? Vendere il prodotto significa occupare quello spazio e quindi da quel momento in avanti disporre dei dati sull’utilizzo del prodotto ma anche della categoria di prodotto. Su quei dati si costruisce poi il sistema di offerta, o digital value proposition. A questo punto, se la vendita diventa il momento abilitante, ci si può anche domandare se è dalla vendita che si deve ottenere il margine di profitto, oppure se da essa in avanti si può realizzare il profitto; in altre parole, se la vendita deve richiedere un prezzo o se addirittura non potremmo cedere il prodotto ad un prezzo prossimo a zero.

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