Corte Costituzionale: morbidezza e risultati

In questi giorni quasi ovunque si scrive e si discute della sentenza della Corte Costituzionale. Capita di leggere e di ascoltare davvero di tutto: interpretazioni strampalate in diritto, inviti ad avviare subito ipotetiche azioni legali quali che siano (l’una vale l’altra basta agire subito!…), ricette e soluzioni semplicistiche.


Un caos spesso alimentato da invitanti occasioni di strumentalizzazione a fini politici che ci coinvolge direttamente. Oltre agli apprezzamenti e ai riconoscimenti per l’impegno speso, infatti, riceviamo anche critiche e suggerimenti che ascoltiamo, valutiamo e dibattiamo al nostro interno.

Fra questi c’è quella di essere troppo “morbidi”, sottintendendo che sarebbe auspicabile assumere posizioni più “dure”: sono opinioni sulle quali vorremmo condividere con i lettori alcune considerazioni.

Seguire una presunta linea “morbida”, piaccia o no, è quanto di meglio si sia potuto fare fin’ora, nel rispetto delle istituzioni e della democrazia.

Abbiamo chiesto il massimo: il dubbio di legittimità di una norma; abbiamo ottenuto ascolto da un giudice ordinario e poi, finalmente, ottenuto ragione dall’organo Collegiale al quale la Repubblica Italiana affida il ruolo di arbitro, in posizione autorevole di terzietà, per la valutazione del rispetto – da parte del legislatore – dei principi costituzionali.

Una linea che ci ha permesso, per primi e “in solitaria”, di sollevare le questioni di legittimità da cui sono scaturiti i pronunciamenti della Corte Costituzionale.

I milioni di pensionati che avranno 2 miliardi di euro di rimborso non credo ci giudichino “timidi”. Certo, è solo una parte di quello che chiedevamo e molti, specialmente dirigenti in pensione e nostri associati (come alcuni di voi che commentate qui), restano esclusi. Ma noi non siamo il Governo: noi abbiamo posto il problema, ad altri spettano le decisioni e le conseguenze politiche delle stesse.

Siamo quindi convinti che, dopo esser riusciti, con un lungo lavoro, a mettere al centro del dibattito una questione fin’ora ignorata da gran parte della politica, dei media e dell’opinione pubblica, non si debba adesso agire d’impulso con il rischio di peggiorare la situazione, come accade per esempio nei dibattiti televisivi dove è difficile contrastare l’imperante populismo.


Vogliamo tenerci lontani dalle strumentalizzazioni ed evitare di essere strumentalizzati. Sia come associazione sia come singoli. Ci sono politici che si ergono a difensori della categoria ma fino a un mese fa non conoscevano nemmeno l’argomento o addirittura votarono nel 2012 a favore del blocco della perequazione. C’è chi propone cause legali e class action per ottenere visibilità e già raccoglie adesioni (e denari) da singoli pensionati. Noi no.

Noi valutiamo ogni opzione: studiamo come tutelare i pensionati, facendo tesoro dell’esperienza delle battaglie degli ultimi anni.

Proseguiamo il nostro lavoro di lobbing, tenendo a mente il quadro generale (politico, economico, sociale, delle finanze pubbliche ecc.) in cui ci troviamo. Ci confrontiamo con gli associati per definire qual è il modo migliore per mobilitarci e come farci sentire. Sta accadendo nei dibattiti delle assemblee territoriali: incontri vivaci e sentiti dove colleghi in pensione e colleghi in attività si confrontano sui problemi della categoria.

Ascolto della base associativa, dunque; condivisione delle informazioni; ragionamenti partecipati e decisioni razionali.

Questa è la linea che ci permette di mantenere gli impegni che ci siamo assunti con gli associati.

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