Busta arancione, timori e speranze

Ad aprile 7 milioni di lavoratori riceveranno la busta arancione. Molti di loro, rendendosi improvvisamente conto della ristrettezza delle proprie prospettive previdenziali, rischieranno di cadere nello sconforto. Qualcuno critica l’operazione voluta dall’Inps di Tito Boeri e sostenuta – da tempo – anche da noi, motivando che la diffusione della consapevolezza derivante dal leggere proiezioni statistiche nero su bianco possa provocare addirittura un disimpegno.

Si teme che molti, in particolare i giovani, siano indotti a contenere ulteriormente o rinunciare ai già limitati investimenti in previdenza complementare, ritenendoli fondamentalmente inutili, alla luce dei dati.
È forse anche per questo che, per molti anni, si è rinviato il “momento della verità”. Ritengo che lo shock, ormai improcrastinabile, sia invece salutare. La cultura previdenziale, ovvero la maturazione della consapevolezza degli scenari futuri, si basa infatti sulla trasparenza e sulla circolazione delle informazioni.

Solo una corretta conoscenza dei meccanismi generali su cui si fonda la previdenza e della propria specifica posizione, infatti, consentirà alle persone di agire in maniera più razionale di quanto accade oggi, senza cedere all’emotività fondata su generiche illazioni e strumentalizzazioni interessate. 
La certezza, anche crudele, di avere prospettive negative dovrebbe motivare le persone, in particolare i più giovani, che finora si sono disinteressate del proprio futuro pensionistico. Risvegliare le coscienze dal diffuso torpore è il primo passo per smetterla, una volta per tutte, di caricare sulle generazioni successive il costo delle necessarie riforme.

La previdenza non si improvvisa con politiche dell’ultimo minuto o con soluzioni miracolistiche imposte da governi a tempo per fare cassa, ma richiede prospettive ultradecennali. Necessita di una programmazione di lungo respiro per non cadere nella tentazione di penalizzare i soliti noti e del coinvolgimento dei vari attori della partita, per coinvolgere anche chi lavora precariamente e non ha né le risorse né l’interesse per pensare al dopodomani.

Solo se punteremo su questi fattori potremo elaborare strategie davvero efficaci e ridurre l’influenza negativa della ricerca del consenso elettorale sulle scelte previdenziali. L’auspicio è che la busta arancione sia colta come l’occasione per aprire un dibattito costruttivo e partecipato ed evitare che l’Italia continui a essere, in materia previdenziale, il Paese delle decisioni calate dall’alto e delle promesse non mantenute. 

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