Legge di bilancio 2024: prime osservazioni

Una nota di commento alle misure sulle pensioni contenute nella manovra finanziaria per il 2024, basata su bozze provvisorie, in attesa della presentazione al Senato del disegno di legge di bilancio

Pur consapevoli della ristrettezza delle risorse a disposizione per il Paese, ci si augurava che questa manovra finanziaria fosse impostata non solo sui sussidi alle famiglie bisognose, ma anche su investimenti e crescita; ma, soprattutto, che i sacrifici richiesti dal rigore necessario fossero equamente distribuiti tra le diverse categorie di cittadini.

L’impressione generale è che invece il disegno di legge di bilancio si basi solo su una politica di sostegno a categorie in difficoltà, condizione però non sempre verificata, mantenendo una forte pressione fiscale concentrata sui contribuenti che dichiarano redditi medio-alti e continuando a drenare risorse dal blocco della perequazione, colpendo chi ha già sostenuto il welfare statale nella loro vita lavorativa con un copioso gettito contributivo e fiscale.

Le misure adottate dal Governo appaiono inique, anche perché rendono più difficile l’uscita anticipata dal lavoro per i lavoratori più giovani. In una prima bozza circolante la penalizzazione riguardava tutti i giovani, in una seconda bozza sono state salvaguardate le lavoratrici con figli. La scelta di contrastare le pensioni anticipate potrebbe anche essere in linea teorica condivisibile perché da sempre affermiamo che le quote, come tutte le forme di anticipazione non giustificate da regole contributive, creano squilibri al sistema pensionistico e comportano penalizzazioni per le giovani generazioni, favorendo solo classi di lavoratori per periodi limitati. In questo caso la misura ha colpito proprio i lavoratori più giovani, rendendo più difficile il raggiungimento di una delle pochissime concessioni che era stata fatta, con la riforma del 96, ai lavoratori che ricadono interamente nel regime contributivo, ovvero è stata peggiorata la condizione di poter andare anticipatamente in pensione a 64 anni.

Misure che vanno in controtendenza con le anticipazioni di questo Governo e soprattutto con le richieste di tutte le Parti Sociali, compresa Manageritalia.

Nel giro di 24 ore sono circolate due bozze: la prima molto più penalizzante, la seconda meno. 

Nella prima bozza addirittura si anticipava di un anno l’adeguamento della speranza di vita. Nella seconda bozza la norma è stata espunta. Non si esclude che il testo che sarà presentato dal Governo al Senato possa contenere altre novità. In ogni caso, Manageritalia plaude al ripensamento del Governo su due delicati aspetti della normativa e contribuirà per migliorare ulteriormente il testo.

PENSIONE PER CHI È IN REGIME CONTRIBUTIVO
Chi rientra completamente nel regime contributivo vede la propria aspettativa in parte migliorata, in parte peggiorata, anche in ragione al sesso di appartenenza. Attualmente la normativa stabilisce che chi ricade interamente nel sistema contributivo possa andare in pensione a 67 anni d’età e 20 di contributi, solo a condizione che l’assegno maturato sia pari ad almeno una volta e mezzo l’assegno sociale, cioè 755 euro nel 2023. Se la pensione non raggiunge questo requisito, il lavoratore potrà andare in pensione solo a 71 anni d’età.

Il disegno di legge di bilancio stabilisce ora che i lavoratori in regime contributivo dal prossimo anno potranno andare in pensione a 67 anni se avranno maturato un trattamento equivalente almeno all’assegno sociale, cioè 503,27 euro nel 2023. Quindi un beneficio per il lavoratore.

Di contro, la seconda bozza circolante della manovra di bilancio peggiora l’accesso alla pensione anticipata, ma solo per gli uomini, perché alza l’importo minimo da maturare per potere accedere alla pensione a 64 anni di età e 20 di contributi, da 2,8 a 3,0 volte l’assegno sociale, ma resta 2,8 per le donne con un figlio e, addirittura, cala a 2,6 per le donne con due o più figli. Il Governo quindi tiene conto del lavoro di cura e tutela le lavoratrici giovani.

Tuttavia, viene introdotta una nuova penalizzazione, pesantemente iniqua e irragionevole: il trattamento lordo non potrà essere superiore a 5 volte il trattamento minimo Inps fino a quando non si raggiungono i requisiti vigenti di accesso al sistema pensionistico. Nella bozza disponibile appare poi l’introduzione di una finestra di tre mesi tra la maturazione dei requisiti e la decorrenza della pensione anticipata.

Se la disposizione sarà confermata nella versione al Senato, Manageritalia contrasterà con ogni mezzo questa misura che penalizzerebbe fortemente chi ricade per intero nel regime contributivo.

Stigmatizziamo, infatti, questa scelta del Governo, che non riguarda solo i millennials, ma tutti coloro che sono contributivi puri e hanno già versato molto più di 20 anni di contributi.

CUNEO CONTRIBUTIVO
Viene prorogato a tutto il 2024 il taglio al cuneo contributivo: sette punti percentuali in meno ai redditi fino a 25 mila euro e sei punti percentuali ai redditi fino a 35 mila euro. Della misura, che costa 10 miliardi, beneficeranno 13,8 milioni di lavoratori.

Manageritalia da tempo chiede attenzione al Governo ai 5 milioni di cittadini con reddito superiore a 35.000 euro che sostengono il peso del welfare versando il 60% circa di tutto il gettito Irpef. Ma, soprattutto, ritiene l’intervento inadeguato per dare sostegno al reddito di chi oggi ha un salario insufficiente perché limitato nel tempo e, gravando sul debito, produce un danno ulteriore per le future generazioni, che vedono aumentati gli interessi sul debito oltre al suo importo complessivo.

FLESSIBILITÀ IN USCITA
Per il solo 2024 viene introdotta quota 104, i cui requisiti sono 63 anni e 41 di contributi, ma vengono ridotte le quote da calcolare con il sistema retributivo (che si applica ai contributi versati prima del 1996). Ci si chiede quanti saranno a usufruire di tale misura.

Chi avrà i requisiti per quota 104 ma resterà in servizio, si vedrà riconosciuto il “Bonus Maroni”, reintrodotto nel 2023 e confermato nel 2024: la quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore (9,19%) sarà quindi versata in busta paga.

INDICIZZAZIONE DELLE PENSIONI
Purtroppo la scelta del Governo è stata quella di perpetrate la rivalutazione delle pensioni per fasce di reddito, mentre avevamo chiesto a gran voce il ripristino del sistema a scaglioni di reddito. In ogni caso, si tratta di tratta di una perdita del potere di acquisto per tanti pensionati. L’indicizzazione all’inflazione viene in parte migliorata e in parte peggiorata. Migliora leggermente la rivalutazione della seconda fascia, che riguarda i trattamenti pensionistici tra quattro e cinque volte il trattamento minimo Inps (2.100-2.600 euro), che era all’85% nella legge di bilancio del 2023 e ora passa al 90%. Viene molto peggiorato il trattamento dell’ultima fascia, quella superiore a 10 volte: dal 32% l’indice di perequazione è stato ridotto al 22%. Anche per questa misura Manageritalia, insieme alla CIDA, attiverà numerose iniziative di protesta, oltre a quelle già in essere.

APE SOCIALE E OPZIONE DONNA
Il Governo ha abbandonato l’ipotesi iniziale di introdurre un’Ape speciale per le donne. Per accedere all’Ape sociale ora occorrerà avere 63 anni e 5 mesi (attualmente si ha diritto a 63 anni).

Anche la misura “Opzione donna” avrà requisiti più stringenti: le lavoratrici dovranno avere 61 anni per accedervi, con la riduzione di due anni in presenza di almeno due figli. Gli altri requisiti già in vigore vengono confermati.

SPERANZA DI VITA
In una prima stesura del disegno di legge si prevedeva che, nonostante l’Istat avesse certificato una diminuzione della speranza di vita, il prossimo adeguamento, applicato alla pensione anticipata (attualmente, 42 anni e dieci mesi per gli uomini, un anno di meno per le donne) si sarebbe fatto decorrere dal 1° gennaio 2025 anziché dal 2026. La norma al momento è stata cancellata.

PREMI DI PRODUTTIVITÀ E FRINGE BENEFIT
La detassazione dei premi di produttività nel 2024 sarà al 5% e questa è sicuramente una nota positiva, mentre i fringe benefit saranno riconosciuti pari a un massimo di 1.000 euro a tutti i lavoratori dipendenti e 2.000 euro per coloro che hanno figli a carico. Il canone Rai viene ridotto da 90 a 70 euro.

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