Cosa vuol dire oggi essere direttore centrale in un mercato che ha esigenze sempre più mutevoli?
«Oggi nelle aziende si è attenuato il concetto di “gerarchia” quasi di stampo “militare”. L’autorevolezza del dirigente deriva da ciò che fa e come lo fa. Da come si mette al servizio della sua struttura guidandola verso obiettivi di crescita. Anche la pandemia ci ha obbligato quotidianamente a ripensare alle nostre azioni; è il concetto di “presente perfetto”, perché è dal presente che si costruisce il futuro ed è osservandolo attentamente e con curiosità che abbiamo quegli stimoli per costruirne uno migliore. Certo, occorre poi aggiungere l’ingrediente segreto: la volontà di agire».
Quali le azioni da mettere in campo?
«Una volta la pianificazione si svolgeva su un arco temporale di 3-5 anni. Ora già 12 mesi è un orizzonte considerato lungo. Occorre quindi innovare continuamente. Formare e formarsi, fertilizzare le persone a fare cose nuove o fare in modo nuovo prodotti e servizi esistenti. Il tutto con un concetto di inclusione e con l’obiettivo di “fare le cose meglio”. Occorre facilitare processi virtuosi, semplificando la realtà e supportando e facendo crescere i più giovani nel loro percorso, perché le aziende, i progetti di lunga portata, proseguiranno oltre noi, ma sta a noi impostarli e fare in modo che accadano in futuro.
Come un manager può dare contributo e valore a un’azienda come la sua?
«Restando sempre vigile sulle tendenze di mercato, anche di altri settori, per proporre nuove soluzioni e facilitarne la realizzazione. Questo vuol dire anche fare le cose in modo diverso per colmare sacche di inefficienza».
Lei è un manager della mobilità. Come sta cambiando il presente e il futuro in questo ambito?
«Della mobilità si parla ormai tanto accompagnandola con l’aggettivo “sostenibile”. La sostenibilità ambientale è fortunatamente nell’agenda di tutti. L’elettrico, sia full che hybrid, sta attirando investimenti e interessi, ma l’Italia ha uno dei parchi auto circolanti più vetusti d’Europa: più di 1 auto su 2 è di categoria inferiore o eguale a Euro 4 e quindi a forte impatto ambientale. Lo sforzo attuale è quello di ridurre le emissioni di Co2 scegliendo per la nostra mobilità motorizzazioni alternative, meno inquinanti, nuove soluzioni di mobilità come il noleggio a lungo termine, che ha di per sé un impatto concreto in termini di sostenibilità ambientale, in quanto contribuisce al rinnovo del parco circolante, e formule di mobilità condivisa come il car sharing e il car pooling. Il cambiamento però deve essere “sostenibile” per tutti, quindi sia per i cittadini che per gli operatori economici e le imprese, dunque gli incentivi governativi devono essere concepiti in una logica di medio-lungo periodo, premiando le pratiche virtuose. La sostenibilità non è soltanto un rimedio ma è la strada che percorreremo per i prossimi decenni».
Qual è la vostra filosofia aziendale?
«SIFÀ è una società del Gruppo BPER Banca che ora, dopo poco più di 5 anni, gestisce un parco circolante di circa 25.000 veicoli. La nostra filosofia prevede un approccio consulenziale, quasi sartoriale ai clienti nella costruzione della propria “car policy”. Siamo nativi green, una sorta di generazione Z della mobilità. Nostro è il paradigma della Circular mobility, il nuovo modello ispirato ai principi dell’economia circolare che prevede il coinvolgimento di tutti gli attori interessati lungo la catena del valore automobilistico, con lo scopo di favorire la transizione a una mobilità più moderna, innovativa ed etica».
Cosa fare per crescere professionalmente?
«Studiare, osservare, uscire dalla propria zona di comfort e prendere il largo senza paura, gettando il cuore oltre l’ostacolo. Il coraggio genera coraggio».
Lei ha ricoperto nella sua vita professionale diversi incarichi in diversi settori, quali punti di forza di business e manageriali ha colto nel suo percorso?
«In ogni azienda e in ogni settore tre sono gli elementi a mio avviso fra i più importanti: comprendere appieno il business del proprio settore e della propria azienda; promuovere l’innovazione in azienda lavorando affinché diventi velocemente realizzazioni concrete; tenere le “antenne dritte”, coltivando relazioni anche con operatori di altri settori».
Dal punto di vista manageriale, Bologna e la sua regione come sono messi, che ambiente professionale c’è e come sfruttarlo?
«Abbiamo tutti gli ingredienti della ricetta della buona gestione delle imprese e in più le istituzioni e le università sono molto proattive e vicine alle aziende. Condividiamo con l’Università gli stessi obiettivi di percorsi formativi mirati, di supporto alle eccellenze del territorio, di innovazione tecnologica, di attenzione alla mobilità del futuro e alle nuove generazioni imprenditoriali. Dobbiamo forse lavorare di più assieme e concentrarci sulla messa a terra delle idee e dei progetti, metodologia ben conosciuta dai dirigenti, spesso però poco ingaggiati dal nostro tessuto imprenditoriale».
Come fare networking in modo efficace con vantaggi per sé e l’azienda, magari anche divertendosi?
«Creare occasioni di confronto fra dirigenti è importante. Già nel 2007 ideai dall’interno di Manageritalia Emilia Romagna il MIT Club: in un ambiente informale i manager si potevano incontrare e conoscere, condividendo esperienze professionali e cogliendo opportunità derivanti da nuove relazioni. Occorre che i manager siano meno individualisti e mettano a fattor comune le proprie esperienze e relazioni. Come dice Simon Sinek: il business è un gioco infinito e spesso non possiamo scegliere il gioco e nemmeno le regole, ma possiamo scegliere come giocare».
Lei è associato a Manageritalia Emilia Romagna: che rapporto e quali vantaggi ha?
«Sono iscritto a Manageritalia da quasi 25 anni. In passato ho ricoperto anche cariche all’interno dell’associazione e ho quindi potuto conoscere e collaborare con professionisti di livello elevato, anche umano. Anche nei momenti di minore presenza, ho mantenuto le relazioni e posso testimoniare che in qualunque momento abbia avuto bisogno dell’organizzazione lei c’è stata, con le sue persone capaci e attente. Ma non dobbiamo dimenticare che anche l’Associazione ha bisogno di noi».