Smart working, ovvero lavoro agile, flessibile, per obiettivi, senza vincoli di orari e spazi, non semplicemente telelavoro. Il protrarsi della crisi sanitaria ha spinto molte organizzazioni ad adottare questo modello, con risultati decisamente positivi. Tra i trend del 2022 individuati dall’Economist, la modalità ibrida (in parte in ufficio, in parte da remoto) appare certa: negli Usa i colossi della finanza e della Silicon Valley come Goldman Sachs a Apple hanno invitato i lavoratori a stare lontani dagli uffici e in Francia sembra essere diventato un imperativo, con sanzioni per chi si oppone.
E in Italia? Dopo il dietrofront a fine estate, lo smart working ritorna in auge per tamponare gli effetti della nuova ondata di contagi invernali. Ma al di là degli stop and go e dei messaggi contradditori, è possibile realmente ipotizzare anche da noi l’affermazione del lavoro basato meno sul controllo delle persone e più sulla verifica dei risultati raggiunti? Il ruolo del management in tal senso risulta determinante, anche per favorire l’engagement.
Se nel settore pubblico gli attriti non mancano, con la presa di posizione del ministro Renato Brunetta, in quello privato lo scenario mostra segnali di apertura. Su Repubblica il presidente di Manageritalia Mario Mantovani prospetta uno scenario incoraggiante, affermando che «Al ritorno dalle vacanze aumenteranno le aziende che adottano in misura prevalente lo smart working. Chi ha già un’organizzazione flessibile e le attività digitalizzate non ha difficoltà a passare da quote del 20% al 50, 70 o 100%».
Secondo una recente indagine di Manageritalia, il lavoro a distanza sta prendendo piede con determinate caratteristiche. Solo per il 21,3% delle aziende la scelta di quali giorni della settimana fare in telelavoro sarà rigida, per l’ampia maggioranza sarà flessibile (78,7%). E a decidere i giorni saranno soprattutto l’azienda e il lavoratore insieme (73,2%) o il lavoratore stesso (11,3%). L’orario giornaliero sarà in prevalenza lo stesso di quello della sede (61,4%), ma ben il 38,6% apre alla flessibilità per il lavoratore, mentre nell’82,6% dei casi non ci sarà flessibilità circa la possibilità di scambiare il sabato con un altro giorno lavorativo della settimana.
Cosa ne pensate? Chi di voi lavora già in questo modo?