Siamo un grande team, anche da remoto

Lavorare insieme senza essere presenti in uno stesso ufficio. Skill, tecnologia, sfide e opportunità: ne parliamo con Kevin Eikenberry, autore di The long-distance teammate

La pandemia ha accelerato la rivoluzione nel mondo del lavoro, ma secondo lei cosa abbiamo imparato durante questa crisi sanitaria?
«Mi auguro che la pandemia abbia permesso a tutti di imparare qualcosa di importante. In primo luogo, abbiamo capito che le persone possono far fronte a problemi di portata enorme adattandosi rapidamente. Abbiamo tutti iniziato a lavorare da casa in maniera continuativa durante una pandemia e in uno scenario globale caratterizzato da profonda incertezza. Eppure, siamo riusciti a portare avanti il nostro lavoro, completare compiti e raggiungere i nostri obiettivi. Questo insieme di eventi ha dimostrato definitivamente che il lavoro a distanza è possibile, anche quando non è l’opzione preferita.
Va detto, tuttavia, che se siamo stati bravi nell’ondata iniziale del lavoro da casa, più a lungo questo è durato, più le persone si sono rese conto che è difficile e richiede che alcune competenze siano migliorate e altre aggiunte.
Un altro aspetto che abbiamo imparato è che le interazioni sul posto di lavoro sono importanti per soddisfare i nostri bisogni sociali. I leader devono rendersi conto che molte persone del loro team oggi si sentono isolate e sole. Questo sta diventando un importante problema sociale e di produttività che i manager devono comprendere e aiutare a superare».

Il suo nuovo libro è incentrato sul passaggio dall’essere elemento di un team all’essere compagno di squadra: può chiarire questa differenza concettuale?
«È facile essere inseriti in un team di lavoro e sentirsi un elemento del gruppo, ma quando vedi te stesso come un compagno di squadra sei più coinvolto nel successo e nel benessere delle persone con cui lavori. C’è un maggiore senso di cura reciproca. Essere un compagno di squadra presuppone una visione più connessa del nostro lavoro e dà anche un maggiore significato a quello che facciamo».


Il coinvolgimento e la motivazione sono fondamentali per il lavoro a distanza: qual è il ruolo dei manager nel potenziare questi due aspetti?
«I manager sono fondamentali per dare senso agli obiettivi e un purpose al lavoro, creando una cultura inclusiva e produttiva. Tuttavia, non ritengo che questo sia l’aspetto più importante del lavoro di un team. Troppo spesso ci concentriamo su ciò che i manager devono fare per creare coinvolgimento, ma alla fine il coinvolgimento appartiene all’individuo. Le persone devono scegliere di impegnarsi e prendersi cura del loro lavoro, dei loro compagni di squadra e molto altro. Insomma, basta scaricare sulle spalle dei manager quello che dipende in primo luogo da ognuno di noi».


Cosa dovrebbe contenere una cassetta degli attrezzi per il lavoro di team a distanza?
«Se dovessi costruire una cassetta degli attrezzi del genere direi che dovrebbe contenere: un mindset di responsabilità personale, un’attitudine alla proattività, un impegno per il lavoro di team e non solo per la lista personale di cose da fare, strumenti di comunicazione e collaborazione che funzionano e che le persone sanno usare bene, l’attrezzatura giusta, sia dal punto di vista tecnico che ergonomico, una banda larga, illuminazione decente e una buona webcam».

La mancanza di concentrazione, obiettivi e feedback sono i principali ostacoli del lavoro a distanza: qual è il suo consiglio per affrontare questi problemi?
«Questa è una domanda chiave. In breve, dico che occorre essere proattivi: assumersi la responsabilità di questi aspetti da soli. Fare quello che si deve per mantenere la concentrazione e rimuovere le distrazioni. Porsi le domande necessarie per comprendere il nostro ruolo e come creare uno scopo per noi stessi e il nostro lavoro. E se abbiamo bisogno di più feedback, non aspettiamoli, chiediamoli».

Appunto… ma i “teammates” come dovrebbero fornire i feedback?
«La domanda implica che i compagni di team debbano dare un feedback, il che è corretto. Se il feedback arriva sempre e solo dai manager, ci saranno prospettive e intuizioni che mancheranno. Chi lavora con noi da remoto dovrebbe iniziare a chiedersi se le persone vogliono un feedback, come mi auguro, quindi occorre essere specifici con le proprie osservazioni e avviare una conversazione».

Lo stesso vale per i feedback negativi?
«Questi non sono più accettabili se unidirezionali. Se abbiamo il timore di dare un feedback a un nostro compagno di lavoro e a un nostro manager o, se da manager, ci facciamo scrupoli nel dare feedback negativi e non li tolleriamo dai nostri collaboratori, l’idea stessa di feedback viene meno. Quando la cultura aziendale consente e incoraggia il feedback tra pari, possono accadere solo cose buone: le prestazioni migliorano, ma anche la fiducia e le relazioni possono crescere».

Lei ha ideato un modello chiamato “Modello 3P” per i team che lavorano da remoto. Di cosa si tratta?
«Questo modello ci aiuta a vedere cosa è richiesto per essere compagni in un team da remoto, aiutandoci a vedere cosa dobbiamo fare per avere successo. Si sviluppa su tre concetti.
Produttività: anche se stiamo lavorando da remoto, il lavoro deve ancora essere svolto e quindi la produttività è fondamentale per il successo di una situazione di lavoro a distanza.
Proattivitàquando lavoriamo lontano da un ambiente di lavoro tradizionale dobbiamo essere più proattivi se vogliamo che le cose accadano. Le situazioni non si verificheranno nello stesso modo di quando eravamo in ufficio perché non siamo insieme e non ci ricordiamo naturalmente di chiedere, interagire e altro ancora.
Potenzialeper prestazioni elevate, personali, professionali e di carriera. Esiste un potenziale di successo o fallimento in ogni interazione. Quando affrontiamo il nostro lavoro con una visione sia a breve che a lungo termine, avremo molto più successo. Da remoto dobbiamo riflettere sulle potenzialità di una relazione, di un cambiamento adottato, di un nuovo obiettivo e così via».

In che modo, da remoto, possiamo influenzare i nostri colleghi per massimizzare la produttività dell’intero team?
«Se vogliamo essere compagni di lavoro dobbiamo aiutarci a vicenda per essere più produttivi. Semplice? Per niente. Dobbiamo confrontarci anche su aspetti tecnici, come usiamo i nostri calendari elettronici, come possiamo ridurre al minimo le interruzioni e altro ancora. E poi, essere proattivi per far crescere la conversazione: un ottimo primo passo per aiutare tutti a essere più produttivi».

Crede che i teammates possano influenzare e motivare i loro manager?
«Credo al 100% che questo sia possibile. La domanda è: come possono avere una maggiore influenza? Man mano che le singole persone costruiscono livelli più elevati di fiducia e relazioni più solide con il loro manager, avranno maggiore influenza. Ricordiamoci che influenziamo meglio con le nostre azioni che con le nostre parole. Quindi, comportiamoci e comunichiamo a seconda dell’influenza che vogliamo esercitare».

Il mercato del lavoro americano è stato scosso come altri da questa pandemia, alcune imprese sono state letteralmente distrutte e alcuni modelli organizzativi sono stati abbandonati: cosa prevede che accadrà nel prossimo futuro?
«Le previsioni sono sempre pericolose pericolose. Alcuni settori saranno più duramente colpiti dalle conseguenze e dai tempi degli eventi collegati alla pandemia. La storia mostra che le aziende che ottengono risultati migliori in qualsiasi momento di crisi, indipendentemente dal settore, sono quelle con le culture organizzative più forti. Detto questo, ecco una previsione che mi sento di fare: le organizzazioni che supportano e sviluppano i loro individui e i loro team – anche virtualmente – saranno vincitrici».

Quali sono le nuove skill per essere un efficace compagno di squadra da remoto?
«Ci sono alcune competenze che assumono maggiore importanza per essere un efficace compagno di squadra da remoto. Queste includono: la capacità di comunicazione; la capacità di mantenere e creare fiducia; la capacità di essere produttivi in qualsiasi situazione; la disponibilità ad affrontare le avversità e l’incertezza; il desiderio e l’abitudine di costruire migliori rapporti di lavoro; stabilire limiti e aspettative con tutti (compresi i manager) con cui lavoriamo».

Perché quella che lei definisce “visibilità etica” è importante?
«Per visibilità etica intendo essere visibili al nostro manager e ai nostri compagni di team senza apparire come vanitosi o egocentrici. Essere visti e apprezzati è importante per lo sviluppo della nostra carriera e farlo in un modo che non abbia un impatto negativo sul lavoro con i nostri compagni sparsi qua e là oggi è fondamentale per il nostro successo a lungo e a breve termine. L’azione di equilibrio che supporta i risultati sia a breve che a lungo termine consiste nell’assicurarsi che il proprio lavoro sia riconosciuto nel contesto generale dell’organizzazione e dei risultati del team».

Come si dovrebbe conciliare il lavoro individuale e di team?
«Prima di poterli bilanciare, dobbiamo comprendere chiaramente entrambe le realtà. Assicurarci che le aspettative dei manager e dei nostri compagni siano chiare. Dobbiamo poi confrontarci con tutti per trovare il giusto equilibrio nella nostra situazione specifica».

Ritiene che pianificare un percorso di carriera da remoto richieda qualcosa in più rispetto a quando lo si fa in presenza in azienda?
«Ci sono molti fattori da considerare, tra cui la cultura aziendale, le relazioni e la reputazione dell’individuo, ancora prima che le persone inizino a lavorare da casa. Oltre a ciò, le differenze chiave sono che gli individui devono essere più intenzionali nel condividere i loro obiettivi e le loro aspirazioni e forse più proattivi nella ricerca di mentori ed esperienze lavorative che li aiutino a raggiungere i loro obiettivi di carriera. Se tutte queste azioni sono utili in un posto di lavoro faccia a faccia, ora sono molto più importanti».

Come dovremmo gestire l’apprendimento e la crescita come compagni di squadra a vantaggio dell’intero team?
«In primo luogo, dobbiamo continuare a favorire l’apprendimento continuo e lo sviluppo professionale dei nostri compagni, superando ogni possibile competizione. In effetti, ora più che mai dobbiamo aiutare le persone ad acquisire le skill per lavorare in queste nuove modalità di lavoro. Il lavoro a distanza, soprattutto ora, potrebbe non consentire il tipo di esperienze di apprendimento faccia a faccia a cui eravamo abituati. 
Dobbiamo cercare fornitori in grado di offrire virtualmente preziose esperienze di apprendimento e individuare altri approcci come micro apprendimento, e-learning e quello che in termini tecnici si definisce just-intime learning, ovvero quell’approccio all’apprendimento e allo sviluppo individuale o organizzativo che promuove la formazione correlata ai bisogni, immediatamente disponibile quando è necessaria e nelle modalità migliori.
Non dimentichiamo il potere della formazione e della condivisione tra pari, con tutor e attraverso il coaching. Dobbiamo ancora imparare molto, tutti, e lungo l’intera nostra carriera. Il modo in cui apprendiamo non è cambiato, occorre solo cercare modalità nuove che soddisfino le nuove esigenze specifiche legate a quello che noi facciamo, insieme agli altri».

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