In questa nuova fase della gestione dell’emergenza coronavirus, vogliamo proporvi una serie di contributi da parte di manager e professionisti di settori specifici che possono fare la differenza nella ripartenza. Oggi “ripartiamo da” Lavoro, attraverso le parole e i contributi di Mario Mantovani, presidente CIDA, vicepresidente Manageritalia e autore del libro Il lavoro ha un futuro, anzi tre.
Come è stato per il lavoro degli italiani dal punto di vista normativo, contrattuale e operativo questo periodo di emergenza coronavirus?
«Se mai ci fossero stati dubbi, il valore della contrattazione collettiva ha trovato pieno risalto, consentendo di evitare, per la maggior parte dei lavoratori italiani, la spirale della disoccupazione e della mancanza di redditi, con provvedimenti semplici e immediati, quali il blocco dei licenziamenti. Purtroppo la disparità, ormai pericolosa e anacronistica, tra lavoro “dipendente” e lavoro “autonomo”, si è palesata soprattutto nella gestione dei sussidi: cassa integrazione in deroga da un lato e reddito d’emergenza dall’altro, entrambi peraltro varati tra dubbi e complessità realizzative. Il lavoro generalizzato da remoto, il nuovo concetto di attività “indispensabili” e i vincoli d’accesso alle sedi fisiche hanno poi aperto nuovi filoni organizzativi e contrattuali, introducendo nuove variabili, la cui portata nei prossimi accordi sarà probabilmente elevata».
Cosa trarne in termini di opportunità da sfruttare e/o minacce da evitare nella fase di ripresa?
«Dell’opportunità di rendere strutturale lo smart working stiamo tutti parlando: è reale, ma richiede un’opera approfondita di messa a punto organizzativa, normativa, e anche personale. È una sfida anche per le famiglie, le nostre case non sono progettate per consentirci di lavorare con continuità, ogni giorno. La vera minaccia è invece rappresentata dalla contrazione di alcuni settori, come il turismo e gli spettacoli, e di conseguenza delle professionalità che li caratterizzano. È poi probabile che si acceleri la transizione, ovunque sia possibile, verso forme di lavoro robotico o comunque privo di apporto umano».
Cambierà tutto o niente?
«Le aziende più organizzate e dotate di capitali, sia finanziari che umani, potranno accelerare cambiamenti già intrapresi e introdurre nuove modalità di servizio. Per contro, molte altre cercheranno di ricreare il più rapidamente possibile le condizioni precedenti. Non dobbiamo quindi esagerare la portata dei cambiamenti indotti dallo shock epidemico, ma servirà sviluppare nuove capacità d’adattamento».
E i contratti, le leggi sul lavoro e gli accordi aziendali come dovranno cambiare? Sarà il trionfo dello smart working o emergeranno anche altre richieste?
«È l’occasione giusta per aprire una nuova stagione contrattuale, che superi la distinzione tra lavoro dipendente e autonomo, entrambi in evoluzione verso il lavoro “organizzato”. Se viene meno la centralità del luogo e dell’orario di lavoro, perché dovrebbero rimanere disparità così profonde nel welfare e nella flessibilità organizzativa? Regolando compiutamente lo smart working dobbiamo provare a superare alcune rigidità del mondo del lavoro e, soprattutto, la “concorrenza” contrattuale, fiscale e previdenziale tra categorie e professioni».
Quale mondo e mercato del lavoro vi aspettate nel prossimo futuro?
«Un mercato del lavoro purtroppo indebolito dalla crisi di domanda, mentre l’offerta di beni e servizi dovrebbe riprendere quota più rapidamente. La tendenza a un ruolo più invasivo degli stati, solo parzialmente giustificato da necessità di giustizia sociale. L’accelerazione verso modalità di vendita, acquisto, informazione a distanza, che richiedono un deciso cambiamento di organizzazione e di cultura nelle aziende. In definitiva molte opportunità per chi sviluppa competenze digitali e innovative, molti rischi per chi non riesce a trarre beneficio da questo tipo di evoluzione del business».
Come il sindacato può aiutare il mondo del lavoro (lavoratori, aziende, istituzioni ecc.) ad adeguare il lavoro italiano alle nuove sfide?
«Il sindacato ha un ruolo fondamentale in questa fase di trasformazione. Occorre però trovare le idee guida che ne rendano visibile la leadership. Il lavoro organizzato può essere una di queste, ma anche l’estensione del welfare contrattuale e un’attività di supporto molto vicina agli iscritti. È il momento di realizzare il vero “sindacato a km.0”, anche attraverso l’uso di tecnologie di connessione a distanza».
Un aiuto ancor più necessario per le tante aziende che in pochi mesi dovranno giocarsi il futuro?
«La solidarietà e la coesione sociale sono valori necessari per ripartire e guardare al futuro con speranza. Il sindacato, senza rinunciare alla difesa degli interessi, può aprire una fase propositiva e di riforma, vera, del mondo del lavoro».
E i manager? Se e come deve cambiare il ruolo dei manager sia quello che agiscono, ma ancor più quello che devono lasciargli agire gli altri attori del mondo del lavoro e dell’economia?
«I manager sono figure fondamentali per la ripartenza. Pensare che siano sufficienti i protocolli o i provvedimenti basati su codici Ateco è illusorio e pericoloso. Servono persone capaci di declinare in modo operativo e specifico norme generali, dettate dalla necessaria convivenza con il rischio epidemico. Serve un approccio diffuso di risk management, servono competenze e persone capaci di assumere responsabilità nuove e crescenti. Serve molta più managerialità e servono molti più manager, in altre parole».
E le istituzioni non sarebbe ora che ascoltassero di più chi guida quotidianamente le aziende e vive sulla sua pelle e competenza quello che avviene e serve sul mercato?
«Non ascoltare abbastanza e soprattutto non mettere nelle condizioni di agire responsabilmente chi guida le aziende e le organizzazioni pubbliche è uno degli errori più gravi che il governo italiano sta compiendo. Una carenza che non si colma con la crescente produzione normativa, né con la costituzione di task force di esperti eterogenei, né con la firma di protocolli con i sindacati di operai e impiegati».
Cosa dovrebbe, potrebbe cambiare a livello di dialogo e collaborazione tra tutti gli attori del mondo del lavoro?
«In realtà stiamo vivendo una fase di bassa conflittualità tra i diversi attori, agevolata dal comune riconoscimento dell’emergenza. Ma le differenti visioni riemergeranno a breve, serve quindi una comune visione del futuro del lavoro. Occorre guardare ai diversi orizzonti del futuro e agire di conseguenza, in modo condiviso».
Quale ruolo hanno i manager e chi come voi li rappresenta nel cambiamento in generale e, soprattutto, per quanto riguarda il lavoro?
«Il lavoro manageriale è già profondamente cambiato negli ultimi anni e in epoca di smart working si è forse completata una lunga fase di trasformazione. Ma i veri cambiamenti del lavoro si estendono a tutti i settori e a tutte le categorie: sono sempre i manager, pubblici e privati, che sono chiamati a realizzarli».
Quale futuro per il sindacato in termini di servizio e di relazioni con iscritti e controparti? Quale futuro per il sindacato e quale sindacato per il futuro?
«Purtroppo le tante vertenze e le nuove che verranno porteranno in prima fila il ruolo antagonista delle parti sociali coinvolte. Il sindacato non può perdere la sua natura di rappresentanza e difesa degli interessi dei lavoratori. Ma non è più sufficiente. Il futuro, anzi i tre futuri (immediato, contemporaneo e di lungo termine) offriranno ancora un ruolo centrale per i sindacati capaci d’interpretare un ruolo progettuale e propositivo, centrato sul welfare contrattuale e sulle politiche attive, ma anche su una visione del lavoro (e della società) del futuro che metta al centro la persona, l’essere umano».
E visto che lo Statuto dei lavoratori compie 50 anni, serve cambiarlo e/o declinarlo e applicarlo meglio?
«Potrebbe essere il momento, dopo 50 anni, di riscrivere uno Statuto per i lavoratori. Serve una visione altrettanto di largo respiro e prospettiva, come ebbero i nostri predecessori. Una norma quadro generale che faccia piazza pulita delle troppe leggi proliferate nel frattempo e affidi alla capacità contrattuale delle parti sociali un ruolo centrale nella regolazione del lavoro».
E quale senso, quale idea centrale dovrebbe ispirare questo lavoro di riscrittura?
«L’idea del lavoro come vero contratto sociale, come strumento per la crescita delle persone e delle comunità. Dovrebbe mettere al centro lo sviluppo delle competenze, il diritto all’istruzione e alla formazione, in un continuum tra scuola, istruzione superiore e azienda. Dovrebbe riconoscere diritti realmente comuni a tutti i lavoratori, combattere il dumping sociale, superare l’idea del sussidio e puntare alla crescita qualitativa del lavoro. L’uscita da un periodo di grave crisi è il momento giusto per affrontare questi nodi irrisolti nel nostro Paese».