Ripartiamo da… l’organizzazione del lavoro

In questa nuova fase della gestione dell’emergenza coronavirus, vogliamo proporvi una serie di contributi da parte di manager e professionisti di settori specifici che possono fare la differenza nella ripartenza.

In questa nuova fase della gestione dell’emergenza coronavirus, vogliamo proporvi una serie di contributi da parte di manager e professionisti di settori specifici che possono fare la differenza nella ripartenza. Oggi “ripartiamo da” l’organizzazione del lavoro, attraverso le parole Maura Nespoli, Vp Global talent acquisition, Talent management & People development di Prysmian Group. 


Come è stato da punto di vista dell’organizzazione aziendale questo periodo di emergenza?

«Questo è stato indubbiamente un periodo complicato sia per l’inusualità della situazione, sia per la complessità che ne è derivata. L’organizzazione si è trovata in brevissimo tempo a dover coniugare salute dei propri dipendenti, produttività e nuove modalità di lavoro che permettessero, per quanto possibile una certa continuità. E’ stato un grande momento di stretch e di resilience per tutte le organizzazioni a livello globale, credo, in cui trasparenza comunicativa, decisionalità e vicinanza alla persone, seppure virtuale, hanno costituito elementi chiave e di successo per superare questo dura sfida».


Cosa ne hanno tratto le aziende in termini di opportunità da sfruttare nella fase di ripresa, anche per cambiarla e ridisegnarla?

«Ritengo che questa esperienza abbia portato due importanti riflessioni. La prima in termini di leadership. Non credo che sia appropriato parlare di una leadership diversa durante il Covid, come spesso ho sentito, ma credo sia giusto riferirsi alla leadership agita nella sua essenza. Quindi decisioni, anche coraggiose, prese velocemente; visione di insieme con un occhio proiettato sempre al futuro e abilità di mantenere tutti orientati al risultato con il giusto livello di ingaggio. Un leader ha già insiti questi tratti, ma certamente questo è stato un momento in cui alcune fragilità o forze distintive sono state ancora più evidenti. La seconda riflessione è, invece, legata alla flessibilità correlata alla digitalizzazione. C’è stata una forte spinta, ove possibile, a un costante collegamento da remoto, portando anche i più diffidenti a doversi ricredere sull’efficienza ed efficacia anche in remote working. Non parlo di un “nuovo” modo di lavorare meglio del “vecchio”, ma di un’alternanza di modalità lavorativa che offre una diversa soluzione per il futuro senza compromettere risultati, solamente adattando organizzazione e processi».


Cosa cambierà a livello di organizzazione aziendale e tutto quello che ne consegue?

«Difficile rispondere. Da filosofa di matrice quale sono, mi vengono in mente le parole di Eraclito e il suo Panta rei “Tutto scorre”. Vero, quindi, che tutto passa, ma anche altrettanto vero che nulla rimane come era. Credo che la scelta stia a noi e alle aziende nello specifico visto che stiamo parlando di questo. Scegliere quanto vogliamo che rimanga di questo momento di cambiamento e soprattutto cosa. Pensando ai valori aziendali e alla struttura organizzativa, l’aspetto di empowerment e di agility, credo rimarrà un importante punto di evoluzione. Questo significa più velocità e delega nei processi. L’altra opportunità sarà invece legata alla strategia e alla vision. Ci sono due dimensioni che sono state chiamate in causa: l’abilità di gestire l’emergenza e, allo stesso tempo, la capacità di guardare al futuro, non perdendo le opportunità che un momento di crisi offre. Il talent management è indubbiamente un esempio, poiché è il momento giusto per mettere alla prova i propri talenti per farli crescere. Lo stesso vale per le assunzioni. Le aziende che riescono a continuare ad assumere arricchendo la propria organizzazione con competenze ulteriori, sono di certo quelle più lungimiranti».


Digitale uber alles o non basta?

«“Digitale per tutti”, questa credo sia corretta come definizione, compatibilmente con i diversi ruoli, e non “Digitale su tutto”. Mi spiego. Vedo la digitalizzazione come partner cruciale nella trasformazione che questo momento sta offrendo, non come il maggiore driver. C’è un elemento di socialità che non può essere sottovalutato, così come la completezza esperienziale del potersi vedere di persona con una certa frequenza. Nella trasformazione, l’elemento chiave è e sarà il mindset digitale, dal mio punto di vista, e quindi la flessibilità di poter, ove necessario, essere ugualmente efficaci ed efficienti anche da remoto. Questo significa connessione, strumenti e capacità di poter usare questi tools al meglio, ma non solo. Richiede un’evoluzione di mentalità e maturità organizzativa non di immediata realizzazione. Deve essere un percorso dove questa esperienza di pandemia, interiorizzata nella sua totalità, rappresenti un punto di partenza e non solo un evento che è passato».


Quali modelli di organizzazione aziendale dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro?


«Mi aspetto modelli organizzativi agili e flessibili. Il più possibile lean e semplici, proprio per agevolare un mercato che cambia velocemente e che richiede adattabilità di cambiamento e di risposta. Questo vale, dal mio punto di vista, per tutte le tipologie di aziende, in termini di business e dimensioni, sebbene con intensità diverse. Ovviamente non penso a un approccio organizzativo che funzioni per tutti, ma ad aspetti organizzativi che secondo me saranno sempre più richiesti. Le organizzazioni matriciali, ad esempio, dovranno sempre più snellirsi e definire processi con chiare responsabilità e perimetri che agevolino l’efficacia. MI aspetto anche livelli organizzativi sempre più lean, con una condivisone di responsabilità e sempre meno rinforzo dell’aspetto gerarchico, che a tendere diventerà meno rilevante».


Come lo sviluppo delle persone e dei talenti dovranno aiutare le aziende che saranno di fronte alla necessità impellente di adeguare le competenze alle nuove sfide?

«Lo sviluppo delle persone rappresenta un incredibile asset nei momenti di cambiamento, sia che si parli di talent acquisition che di talent management. L’opportunità di far crescere o assumere persone in grado di garantire inclusività, diversità di pensiero e varietà di competenze, oltre a stili di leadership variegati, è fondamentale per l’evoluzione delle aziende e per essere pronti a nuove sfide. Insisto sulla varietà e sull’inclusion, poiché credo che la diversità a vari livelli possa contribuire a garantire una prontezza di riposta e investimento in qualsiasi situazione esterna. Lo stesso vale per una diversità anche di generazioni. E’ dimostrato che il connubio dei diversi approcci porta un reale valore e prospettive più ampie, importanti ancora di più su mercati molto competitivi».


Un aiuto ancor più necessario per le tante pmi che in pochi mesi dovranno giocarsi il futuro?

«Si parla di un rischio d’impatto, se non ben gestito, che potrebbe toccare circa il 50% delle pmi, quindi decisamente significativo. Di certo gli interventi governativi e la modalità con la quale verranno erogati, giocheranno un ruolo cruciale, dal momento che lentezza e burocrazia costituiscono un grosso elemento di ostacolo per le aziende. Lo stesso vale per agevolazioni che permettano una riduzione o un posticipo di pagamento di imposte o contributi previdenziali che potrebbero mettere molto in difficoltà. Mi riferisco a medie aziende, ma anche a startup che ancora non hanno raggiunto il breakeven. L’obiettivo deve essere la compensazione di mancati guadagni, avendo un tempo di recupero adeguato che permetta a tutte le pmi uno sguardo a lungo termine e l’opportunità di pianificare il futuro».


E le persone? Come dovrà cambiare l’approccio di chi lavora e vuole guardare alla sua crescita e a quella dell’azienda?

«Ritengo che le persone e i lavoratori, almeno un certo cluster di questi, continueranno ad avere almeno una parte del proprio sviluppo e della loro crescita nelle proprie mani. Ci sono vari elementi che intervengono nella crescita di una persona indubbiamente, ma c’è anche una componente di spinta e di rischio che dipende dalle persone stesse. Questo periodo credo abbia offerto a tutti noi opportunità di riflessioni e di confronto. Sempre di più credo si debba pensare a un ruolo attivo dei dipendenti che INSIEME all’azienda costruiscono la propria carriera. Così come alle aziende è richiesto di essere dinamiche e in continuo cambiamento, lo stesso vale, in termini di attitudini, per il dipendente».


Basterà fare formazione? E a proposito di soft skill?

«Ho recentemente fatto un’intervista condividendo che in questo periodo più che mai, quello che generalmente viene definito Soft, in realtà è Hard. L’abilità di agire comportamenti e di lavorare sulla leadership è fondamentale per riuscire a garantire continuità e fare la differenza. I comportamenti devono essere sperimentati e agiti, non solo compresi. La formazione rappresenta un ottimo punto di partenza, fornisce le basi, ma poi sta ai dipendenti e all’azienda creare un contesto nel quale agirli, premiarli e renderli parte della cultura. In effetti, e questa esperienza l’ha reso ancora più evidente, l’avere interiorizzati alcuni comportamenti e attitudini è ciò che garantisce la velocità e sicurezza di saperli agire velocemente da parte di tutta l’organizzazione, oltre a ridurre la disruption».


Cosa dovrebbe cambiare a livello di normativa per agevolare questa indispensabile evoluzione anche per quanto riguarda la possibilità di forgiare l’organizzazione aziendale che serve?

«Non rappresenta la mia area di expertise, ma condivido volentieri il mio punto di vista. Vedo, soprattutto in Italia, una grande rigidità che contrasta il bisogno di flessibilità e agilità che in questi momenti sono ancora più necessari. Il contesto di mercato cambia velocemente, il mercato del lavoro allo stesso tempo, e quindi ritengo che la normativa dovrebbe supportare più che ostacolare flessibilità. Nel rispetto dei diritti di tutti ovviamente, ma avendo chiaro che non è nell’ingessare organizzazioni o ostacolando il cambiamento che si riuscirà ad agevolare il futuro. Flessibilità crea mobilità, rigidità crea stasi, che poco agevola una evoluzione del mondo del lavoro ed economica in generale».

Quale ruolo hanno i manager nel cambiamento, in generale e per quanto riguarda il miglior utilizzo della leva dell’organizzazione? 
«Devono essere role model per tutta l’organizzazione. Giocano un ruolo fondamentale sia nell’empowerment che nel trust delle proprie persone. Lo stesso vale per l’abilità, che deve diventare sempre più forte, di lavoro per obiettivi indipendentemente da dove si è seduti. I manager devono saper gestire i team da remoto, lasciando autonomia ma mantenendo ingaggio e fiducia. La vicinanza e la fluidità di informazioni rappresenta un aspetto che in una dimensione digitale, diventa ancora più necessario. I manager sono la leva del successo dell’organizzazione, da loro dipendono le coordinate per mantenere la rotta e arrivare a destinazione, indipendentemente dal contesto esterno che può favorire o ostacolare».

Quale futuro per l’organizzazione aziendale e quale organizzazione aziendale per il futuro? 
«Mi aspetto un’organizzazione che andrà oltre i confini di team specifici e che sempre di più farà leva sulla diversità e il pensiero laterale; lo stesso vale per la gerarchia. Ci si sta muovendo sempre di più in una logica di cooperazione più che di gerarchia. Si sta sviluppando una necessità di co-responsabilità e di networking di team. Qualcuno ipotizza anche in futuro una self-governance, dove il capo formale non sarà più necessario. Io personalmente al momento non riesco a spingermi fino a questo, ma di certo mi aspetto un’evoluzione dei manager a leader volti più all’influencing e alla delega, agevolando molto la collaborazione e il networking. Questo mi porta anche a fare qualche considerazione sul tema informazioni e loro accessibilità. Nella vita di tutti i giorni le persone sono sempre più abituate a disporre liberamente di informazioni e decisioni nel loro perimetro. Questo impatterà il modo di lavorare portando a filtri di accesso sempre più bassi. La semplificazione sarà un altro aspetto cruciale. Prima facevo riferimento a strutture lean e agili; in quest’ottica quindi mi aspetto un’estrema riduzione di burocrazia nei processi e una accessibilità data dagli strumenti digitali. Vedo organizzazioni che tratteranno sempre di più tutti i principali stakeholders come clienti, sebbene l’accezione per ognuno di loro sia diversa. La logica sarà di client centricity, ognuno per l’area specifica di interesse. Questo porterà un uplift della qualità del servizio e una esperienza più efficace e “customizzata” da parte di tutti gli stakeholders. Questo nuovo modello organizzativo e la conseguente modalità di lavoro, porterà anche un’agevolazione di feedback continuo che andrà a sostituire i tradizionali momenti di valutazione della performance, rispondendo anche in questo caso a un più rapido change management dove e quando necessario». 

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