Quattro passaggi per introdurre (bene!) l’IA in azienda

La matrice sviluppata da Yellow Tech demistifica l’intelligenza artificiale e fornisce ai manager la visione necessaria per guidare dall’alto la trasformazione digitale delle proprie imprese
AI in azienda

Antonio Pisante, founder di Yellow Tech e Aifia

Fino a poco tempo fa, era impensabile vedere un amministratore delegato alle prese con ChatGPT. Oggi, invece, è quasi la normalità. Anche perché l’adozione dell’IA è anzitutto una questione di leadership: se i vertici non ne comprendono opportunità e rischi, l’innovazione difficilmente filtrerà al resto dell’organizzazione.

Dalla consapevolezza alla strategia

Ma come possono i manager introdurre in azienda l’IA facendo andare d’accordo le iniziative top-down strutturate e “normate” con le sperimentazioni bottom-up (a volte quasi naïf) dei collaboratori? Secondo Yellow Tech, startup italiana specializzata in formazione sull’IA generativa, bastano quattro step: quelli illustrati nel framework denominato Yellow Matrix (vedi sotto).

<1> Regole chiare: linee guida per il suo uso

Il primo passo è definire politiche chiare sull’utilizzo degli strumenti di IA generativa. Senza linee guida, i dipendenti navigano a vista: chi sperimenta lo fa di nascosto e molti rinunciano per timore. Un recente sondaggio condotto da Ethan Mollick indica che solo circa il 20% dei lavoratori usa i chatbot approvati dall’azienda, mentre oltre il 40% utilizza tool come ChatGPT senza dichiararlo. Questa adozione “ombra” segnala un potenziale inespresso dovuto a incertezza e mancanza di indirizzo.

In passato, molte aziende hanno persino vietato l’uso dell’IA generativa per motivi di sicurezza. Ma questa strategia è controproducente: oggi esistono versioni enterprise sicure, inoltre l’uso ufficioso dell’IA è già dilagante e vietarlo significa perdere il controllo di un fenomeno che i dipendenti sviluppano in segreto.

Meglio dunque guidare l’adozione invece di sopprimerla. Ciò implica emanare linee guida dettagliate su quali strumenti sono consentiti, per quali attività e con quali cautele (ad esempio, evitare dati sensibili su piattaforme pubbliche), creando al contempo un clima di fiducia. Delineare zone franche per la sperimentazione e, dove possibile, privilegiare politiche aperte è meglio che imporre divieti generalizzati.

Ad esempio, una compagnia assicurativa ha introdotto una policy IA interna dopo un workshop con i dirigenti: ChatGPT, prima usato di nascosto nel reparto sinistri, ora è impiegato apertamente dagli analisti per stendere bozze di perizie, seguendo le linee guida aziendali.

<2> Strumenti di produttività per tutti

Il secondo step riguarda la diffusione capillare dell’IA nella produttività individuale: l’obiettivo è far entrare l’IA nella cassetta degli attrezzi quotidiana di ogni dipendente, al pari di email e fogli di calcolo. Le applicazioni sono trasversali: si va dalla genera zione di bozze di testi o report alla traduzione automatica di documenti. Ad esempio, l’IA ha dimezzato i tempi di quasi metà delle attività analizzate e in alcuni casi ne ha triplicato la produttività.

Per diffondere queste pratiche, sono consigliati micro-corsi mirati e la creazione di community interne in cui i “pionieri” condividono i prompt e i trucchi più efficaci. Ad esempio, una pmi manifatturiera ha scoperto che alcuni ingegneri usavano già ChatGPT per redigere in inglese parti di manuali tecnici: formalizzando la prassi, l’azienda ha dimezzato i tempi di stesura dei manuali bilingui; allo stesso modo, una rete di cliniche private ha adottato un assistente generativo per lettere ai pazienti e report medici, risparmiando ore di lavoro ogni settimana.

<3> Power user e innovazione dal basso

La terza fase valorizza l’innovazione dal basso e coinvolge i power user: dipendenti esperti del proprio la voro e appassionati di tecnologia, capaci di creare piccole automazioni IA su misura per esigenze specifiche.

Un analista finanziario può, ad esempio, collegare ChatGPT a un foglio di calcolo per generare report automatici. Questi agenti “fatti in casa” stanno di ventando realtà: sistemi semi-autonomi che svolgo no in pochi minuti compiti prima onerosi, setacciando dati e producendo analisi con minima su pervisione umana.

Molte aziende stanno capitalizzando su questi talenti interni: un’azienda della mobilità ha lanciato un programma “AI Pioneer” e nel giro di pochi mesi i dipendenti hanno sviluppato decine di prototipi di soluzioni IA (chatbot per l’helpdesk, modelli di manutenzione predittiva), poi valorizzati dall’It

<4> L’azienda AI-driven

Eccoci finalmente alla fase della piena maturità, con progetti di trasformazione IA che investono l’intera organizzazione. Si tratta di iniziative guida te dal top management e da team dedicati. Parliamo di implementazioni personalizzate: ad esempio, modelli generativi addestrati sui dati aziendali e integrati nei sistemi core, oppure assistenti virtuali che supportano i dipendenti rispondendo su procedure, policy e documentazione interna.

Ecco perché molte aziende creano un AI Lab dedicato, con il compito di esplorare le nuove tecnologie e sviluppare soluzioni personalizzate. Questi team, composti da esperti It e di business, adottano metodologie agili per trasformare i migliori spunti raccolti dalla “crowd” in applicazioni pilota da testare sul campo.

Un grande gruppo bancario italiano sta seguendo questa strada, sviluppando un chatbot interno basato su un modello generativo addestrato sul proprio patrimonio informativo (procedure, normative, faq). Ora ogni dipendente può interrogare l’IA e ottenere in pochi secondi risposte precise e aggiornate, laddove prima doveva cercarle per ore in documenti o chiedere a un ufficio dedicato.

Progetti di tale portata richiedono investimenti, governance dei dati e competenze avanzate, ma i benefici sono enormi. In definitiva, l’IA è innanzitutto una sfida di apprendimento organizzativo: non è una soluzione plug-and-play, ma un cammino evolutivo.

IA Yellow Matrix

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