Perché imparare a sviluppare software non salverà il tuo lavoro

Qualche tempo fa ho partecipato al workshop “Il mondo delle applicazioni mobili” presso il Politecnico di Milano. L’incontro, guidato dal prof. Luciano Baresi del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria è stato l’occasione per fare il punto sui numeri che girano intorno al mondo delle applicazioni mobili e più in generale per riflettere sulle opportunità di lavoro in questo mercato. Mercato che ha visto una vera e propria esplosione negli ultimi anni, i numeri dei download di app dai marketplace Apple e Google hanno generato un fatturato di 41.1 miliardi di dollari solo nel 2015, con una previsione al raddoppio entro il 2020. D’altronde il numero dei download è conseguenza diretta della massiva diffusione di smartphone a livello mondiale, come evidenziato dai dati presentati durante il convegno. A fronte di una popolazione mondiale di circa 7.3 miliardi:
•    il 51% possiede uno smartphone;
•    il 46% ha accesso a internet da postazione fissa o mobile;
•    il 27% utilizza i social media da mobile.

Restringendo il focus all’Italia e andando ad analizzare  il comportamento dei possessori di smartphone, vediamo come:
•    il 43% utilizza regolarmente sistemi di messaggistica;
•    il 30% guarda film in streaming;
•    il 24% gioca con qualche applicazione (Candy Crush docet);
•    il 21% accede alla propria banca online;
•    il 34% utilizza mappe e strumenti di navigazione.

Numeri che lasciano quindi prevedere un futuro più che roseo per chi si occupa di sviluppo software di applicazioni per mobile, come confermato anche dallo stesso professor Baresi: tutti gli studenti dei suoi corsi d’ingegneria del software ricevono diverse proposte di lavoro ancor prima di discutere la tesi. Quindi? Facciamo in modo che le nuove generazioni si spostino in massa verso scelte professionali in ambito dello sviluppo software? A guardare il trend nel medio-breve sembrerebbe proprio di sì, anche se un articolo comparso su FastCompany qualche dubbio lo suscita. Douglass Rushkoff, autore dell’articolo e di un libro dal titolo curioso (“Throwing rocks at the Google bus. How growth became the enemy of prosperity”) sostiene infatti che acquisire competenze in ambito Tech potrà garantire posti di lavoro solo temporaneamente, nella migliore delle ipotesi.

La programmazione non ti salverà
Avete investito tempo e denaro per imparare Java, l’HTML o il CSS? Non siete i soli, l’offerta di corsi universitari, scuole e seminari dove s’insegna a programmare, soprattutto in ambito web, è in forte espansione. Peccato però che lo stesso stia succedendo all’estero, soprattutto in paesi in via di sviluppo come l’India. Il risultato a breve? Un eccesso di offerta di competenze tecniche da parte di lavoratori che costano meno di voi, molto meno. Cosa fare quindi? Potreste sfruttare le vostre competenze tecniche per diventare imprenditori di voi stessi e sviluppare un’app da lanciare sul mercato, una di quelle destinate a diventare la prossima killer application. Questo vi permetterebbe di comparire sulla prossima copertina di Wired e di diventare miliardari. Prima però dovrete affrontare una competizione spietata e combattere per guadagnare una minima visibilità tra le centinaia di migliaia di applicazioni esistenti sul mercato, dove solo alcune di queste riusciranno a entrare nella classifica delle più scaricate. Non dimentichiamo inoltre che lo sviluppo software non è una cosa banale da imparare, soprattutto se non siete giovanissimi e i vostri ricordi di algebra e algoritmi risalgono a tempi lontani.
Detto questo, è corretto che in un mondo e in un’economia sempre più digitale sia fondamentale acquisire competenze legate alle nuove tecnologie, è una questione di pura sopravvivenza. Ricordiamoci però che imparare a programmare non ci garantirà un posto di lavoro sicuro, così come il saper leggere e scrivere non ha garantito a nessuno la piena occupazione al mondo dell’editoria e della carta stampata.

Un messaggio paradossale? Troppo forte rispetto a quello che le offerte di lavoro e i cacciatori di teste stanno cercando? Guardiamo i fatti, un singolo programma per computer sviluppato da forse una dozzina di sviluppatori può portare all’eliminazione di centinaia di lavoratori, è evidente inoltre come le compagnie digitali impieghino mediamente un decimo delle persone impiegate nelle aziende più tradizionali. Che cosa dire poi del nuovo mantra in ambito tech? La nuova parola d’ordine è “Cloud”. Ogni volta che un’azienda decide di utilizzare la “nuvola” per archiviare documenti, far girare applicazioni, gestire i propri clienti, almeno un gruppetto di impiegati dell’area IT va a casa oppure viene esternalizzato.
Questo è un processo inarrestabile e inevitabile: la maggior parte delle nuove tecnologie sostituirà o renderà obsoleta parte del personale impiegato. Attenzione però: sostituirà o renderà. A oggi la domanda di sviluppatori di codice è ancora alta e le “competenze umane” da affiancare all’utilizzo delle macchine sono ancora necessarie, almeno per adesso.

Pensate al lavoro della cassiera, sempre più minacciato dalle casse self-service, dove in autonomia collochiamo la merce sulla bilancia, la imbustiamo e paghiamo con bancomat o carta di credito. Il lavoro della cassiera viene meno ma subentra quello dell’assistente per chi è in difficoltà nel districarsi tra pagamenti elettronici e ordini impartiti da una voce metallica proveniente dal computer che ci arringa dicendoci cosa fare e in quale sequenza. Assistenti “umani” che serviranno ancora per poco tempo, le macchine stanno “imparando a imparare”, diventano sempre più intelligenti e molto presto renderanno l’esperienza del fare la spesa e del pagamento alle casse facile come quando c’era la cassiera, anzi forse più facile grazie ai sistemi di rilevamento del contenuto nel nostro carrello e ai pagamenti automatici.

Fino a quel momento le offerte di lavoro per sviluppatori software di macchine intelligenti saranno in forte crescita per poi cadere in modo drastico, verticale. Pensiamo alla Cina, dove la diffusione delle stampanti 3D sta già minacciando centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’ambito della manifattura high-tech, molti dei quali esistenti da decenni. Se pensavamo che questi scenari appartenessero alla sola fantasia di qualche scrittore visionario, ci dobbiamo ricredere. La fantascienza sta diventando molto reale.

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