Nel business ci vuole coraggio: intervista a Federico Kluzer

Crisi internazionale, mercati altalentanti, consumi in calo, dazi, muri, insicurezza: fare business oggi richiede a imprenditori, manager, giovani e startupper competenza, dedizione, flessibilità ma anche e soprattutto una grandissima dose di coraggio. Così come richiede coraggio cambiare il proprio percorso di carriera, sia per scelta che per necessità. Su questi temi si è svolto lo scorso 10 aprile il secondo appuntamento #Aliulm | Open Talks organizzato insieme a Manageritalia Milano.

Federico Kluzer, Fondatore e Managing Director di One.Tray, è stato uno dei relatori. Gli abbiamo posto qualche domanda.

Cosa vuol dire oggi avere coraggio nel business?
Nel business, che nel mio caso rappresenta anche un progetto di vita – per un imprenditore le due cose si fondono – avere coraggio significa agire, prendere delle decisioni e fare delle scelte rischiose. Se penso alla mia personale storia, significa anche avere il coraggio di distinguersi dai propri coetanei e da percorsi di carriera ben definiti e avere il coraggio di incoraggiare chi intraprende la tua stessa avventura.

Velocità del business richiedono delega e persone capaci di prendere decisioni e rischi a tutti i livelli. Come dare il coraggio e gli strumenti per rischiare ai collaboratori?
La chiave del successo risiede nella capacità di responsabilizzare i propri collaboratori, oltre che di trasmettere loro la passione per tutto quello che si fa. Fondamentale è che gli obiettivi di business siano ben definiti e chiaramente condivisi a tutti i livelli; altrettanto importante è che vi siano dialogo e confronto continuo per favorire lo scambio di informazioni, utili a prendere le decisioni migliori.

Il coraggio di rischiare implica quello di sbagliare. Come lo si sviluppa e gestisce?
Coraggio, che deriva dal latino “cor habeo”, ossia “ho cuore”, non può esistere senza paura, perché la paura produce in noi una reazione che ci porta a trovare una soluzione positiva. Ovviamente questo processo può portare con sé degli errori, è inevitabile, ma l’importante è minimizzarne l’impatto ed imparare da questi, per evitare di commetterli nuovamente in futuro.

In una fase in cui l’individualismo non paga più, quanto conta la capacità dei manager di valorizzare i talenti e fare squadra nelle organizzazioni, oggi sempre meno gerarchiche?
Questa capacità conta tantissimo: soprattutto in una realtà imprenditoriale ‘saper fare squadra’, in particolare nei momenti difficili, risulta fondamentale. Il funzionamento della squadra ha un peso maggiore nella realizzazione di un’idea, nel 100% dei casi.

Il mondo del lavoro è in costante evoluzione e richiede scelte repentine e a volte impopolari: occorre essere un po’ “folli”? L’eccesso di razionalità uccide i cambiamenti?
Sì credo che un pizzico di ‘sana follia’ sia necessario, anche all’interno di aziende grandi e ben strutturate. Ritengo che sia importante per le aziende incentivare i propri manager ad osare di più, a sperimentare nuovi percorsi, a trovare soluzioni alternative. Il tutto mettendo a loro disposizione strumenti adeguati (ad esempio ‘contingency budget, ridefinizione degli obiettivi in progress, flessibilità ecc.), per minimizzare l’impatto negativo degli errori, incentivando la creatività. Mi rendo conto che sia un fatto culturale: alcune imprese lo fanno da sempre, altre invece faticano a cogliere la sfida. Ed è un peccato.

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