Al giorno d’oggi, nell’esercizio di qualsiasi professione, il concetto di formazione continua risulta essere determinante. È chiaro per tutti che per crescere all’interno di un’azienda e nella professione è necessario un percorso di aggiornamento, che non deve essere concepito, come avveniva un tempo, come un momento di relax, ma deve assumere un valore concreto e utile. A supporto di questo devono esserci anche gli strumenti, a cominciare da quelli di lettura e studio.
“Ci siamo accorti ad esempio – sottolinea Giorgio Albonetti, presidente di LSWR – che sebbene possediamo tutti smartphone e tablet e ci muoviamo tra le nuove tecnologie con grande abilità, preferiamo ancora studiare sui libri cartacei tradizionali. Inoltre, è abitudine ancora stampare i contenuti che troviamo online. Un discorso diverso invece riguarda i database. Per esempio, i professionisti del settore medico-scientifico o giuridico prediligono una fruizione online, più comoda, efficace e veloce per rispondere a un mercato sempre più esigente e digitalizzato”.
Tenersi aggiornati ormai è un obbligo. Sicuramente approfittare della formazione offerta in azienda è una buona occasione per molti manager.
Dal mondo medico a quello manageriale il settore formazione non è mai stato così attivo.
“La formazione continua è un tema trasversale – continua Albonetti – e l’aggiornamento per tutte le categorie professionali è oggi qualcosa di fondamentale. Rispetto al passato molte cose sono cambiate. Un tempo la formazione era un investimento importante e oneroso e un momento di aggregazione. Noti sono i convegni medici che venivano spesso organizzati su navi da crociera e in luoghi esotici. Per certi aspetti potremmo dire che, con i budget ristretti e le necessità di molte aziende di valorizzare le loro risorse, oggi mantenersi aggiornati è un dovere. In particolare, penso a certe categorie che svolgono lavori altamente qualificati, come medici, farmacisti, avvocati, dove non si può prescindere dalla formazione”.
Dai corsi di strutture specializzate ai vari master, nati come funghi, è un momento d’oro per la formazione permanente. Tuttavia non è la quantità a preoccuparmi ma la qualità. Ci sono alcuni elementi basilari che, auspicabilmente, tutti i manager dovrebbe avere nel loro DNA.
“Penso all’importanza delle lingue,” continua Giorgio Albonetti. “Con la premessa che non si possono parlare tutte le lingue del mondo, ritengo che l’inglese sia, o meglio dire dovrebbe essere, comune a tutti i manager. Considerando anche il numero di abitanti che lo parlano, anche lo spagnolo, mentre sul cinese o il russo dipende molto dalle mansioni che si svolgono in azienda e l’orientamento stesso dell’azienda”, mi spiega Albonetti di LWSR.
E sul tema lingua già ci sarebbe da discutere per ore. Per quanto non esistano statistiche precise, si stima che l’abilità di parlare inglese correntemente (oltre “the cat is on the table”) non sia una dote cosi ampliamente diffusa. Sullo scrivere poi si apre un altro mondo. Le multinazionali straniere (la maggioranza di madre lingua anglo-americane) hanno sicuramente dato una spinta alla penetrazione della lingua inglese presso i propri dipendenti delle sedi italiane. Sicuramente il C level la parla, o la deve parlare, ma qualche dubbio sui quadri resta.
Se sul tema lingua straniera è meglio chiudere qui, c’è da discutere molto sulla forma o meglio gli strumenti con cui viene erogata la formazione continua.
Il mondo digitale può aiutare molto in questo senso. I webinar sono divenuti uno strumento mainstream per la formazione. L’approccio digitale ha numerosi vantaggi. Prima di tutto la ripetibilità, con costi di investimento iniziale piuttosto moderati. Una volta registrato può essere condiviso.
“Le soluzioni oggi disponibili portano un grande valore alla formazione permanente riducendo sensibilmente i costi. Come Gruppo di riferimento delle comunità medico-scientifiche e giuridico-legali in ambito marketing, education, professional update, consideriamo i webinar un elemento fondamentale per la formazione nelle aziende. A nostro avviso tuttavia è sempre importante mantenere un bilancio tra digitale e fisico. Se dovessi azzardare un equilibrio finale tra le due realtà credo che 70% digitale 30% fisico sarà il livello migliore. Un apporto anche fisico permette di socializzare e fare tutta una serie di attività che possono richiedere gamification e progetti di team”, conclude il presidente di LSWR.
Il tema gamification è una delle ultime linee di formazione emersi negli anni recenti.
Il fenomeno è nuovo per due ragioni. Il primo è che le nuove generazioni di dipendenti provengono da un’epoca in cui i giochi, e ancor più il videogioco (dai simulatori strategici e quelli aerei), sono divenuti una consuetudine nell’intrattenimento.
In quest’ottica la gamification è divenuta una parte integrante. Se vogliamo considerare alcuni esempi in ambienti estremi possiamo osservare quello che succede nel settore del militainment (military entertainment) e degli studi storici.
Nel primo caso il pentagono ha creato già un decennio fa una serie di video giochi disponibili gratuitamente a chiunque. I vantaggi di questo progetto erano (e sono) due. Il primo era un percorso di corporate branding (in questo caso il Pentagono possiamo associarlo ad un’azienda) per attrarre talenti. Il secondo aspetto era che giocando molte potenziali reclute acquisivano già una serie di standard comunicativi, logiche di teoria strategica, teoria degli armamenti leggeri che poi erano parte delle nozioni insegnate durante il percorso delle reclute.
Sul tema universitario la declinazione, con opportunità e adattamenti come simulatori storici o urbani, è un altro esempio notevole di quello che, in secoli passati, Tommaso Campanella definì giocando si impara. Giochi come Civilization o Simcity sono stati adottati da vari istituti per spiegare, giocando, una serie di variabili quali investimenti, espansione, ricerca, urbanizzazione ecc.
All’interno del tema della gamification va inserito un aspetto molto importante: la curiosità. C’è da considerare che la curiosità è, fortunatamente, insita nell’essere umano. Ma la curiosità di cui parlo deve portarci a uno scenario dove il manager (o il dipendente), che deve mantenersi informato e formato, diventa un prosumer. Il termine prosumer è emerso alcuni anni fa ed è un neologismo crasi derivato da Producer e consumer. Nel mondo attuale, supportati anche dalla evoluzione digitale, i manager possono diventare essi stessi produttori di contenuti (potremmo definire un distillato della loro vita) e consumatori di esperienze/formazione altrui. Un caso tipico da manuale è la presenza sempre più crescente di manager che si inventano video-blogger su Linkedin, per spiegare ai loro colleghi come funziona il mondo. Non entro nel merito della validità dei contenuti di ogni singolo vlog, ma sicuramente il tema dei prosumer deve rientrare nel futuro dell’evoluzione della formazione continua.
Ovviamente la gamification e il fenomeno prosumer non possono essere utilizzati in tutti gli ambienti ma, come spiegava prima Giorgio Albonetti di LSWR, il percorso digitale permette grandi risparmi di tempo, risorse economiche e, nel contempo, aiuta i formatori ad acquisire e seguire passo dopo passo gli alunni (siano essi manager o dipendenti cambia ben poco) nel loro percorso di formazione continua.