Il libro “Human-centered Work” di Edoardo Turelli (Egea editore) riporta al centro la persona e il lavoro in un’epoca dove crisi economica e automazione sempre più spinta sembrano avere relegato il lavoro umano a puro complemento. Le persone, quindi, prima di tutto perché c’è un bisogno sempre più diffuso di tornare a parlare di lavoro, di come si può lavorare, di cambiamento per adattarsi all’ambiente. Il saggio ci propone dieci spunti, riflessioni, metodi per riflettere sul nostro modo di lavorare, sulle competenze che abbiamo e quelle che invece dobbiamo ancora acquisire.
La prima di queste competenze deve essere la capacità di creare prodotti di successo in un mondo che cambia. Le aziende hanno capito che prodotti di alta qualità, a basso costo e differenziati, non bastano più per distinguersi sul mercato. Sono considerati ormai fattori dati per scontati, fondamentali ma inefficaci se non accompagnati da velocità e flessibilità nell’adattarsi a un mercato mutevole e iper-competitivo. Una metodologia illustrata in questo libro che aiuta a ridurre il time-to-market di lancio di nuovi prodotti e garantire allo stesso tempo le condizioni migliori nelle quali il team possa lavorare, è il principio Agile.
Nato in ambito sviluppo software, il metodo “agile” (pronunciato agiail) si è esteso a tutta l’organizzazione in quanto permette di innovare in “maniera iterativa” mettendo le persone al centro.
Tre sono i concetti alla base del metodo “agile”:
- il cambiamento è sempre benvenuto;
- fatti, non parole;
- creatività in autonomia.
Il primo punto è banale quanto rivoluzionario. Parliamo tutti di “cambiamento”, di quanto si debba essere pronti ad accoglierlo e di come applicarlo nel lavoro di tutti i giorni ma poi, alla prova dei fatti, siamo terrorizzati della modifica al piano di lavoro o dal cambio di specifica da parte del cliente all’ultimo minuto.
Lavorare in modo “agile” vuol dire accettare i feedback dalle parti coinvolte nel progetto, integrando le modifiche richieste in modo, appunto, agile. Inoltre niente più gerarchie complesse alle quali chiedere approvazione ma suddivisione del lavoro in piccoli gruppi auto-organizzati liberi di innovare, essere creativi, ricettivi, autonomi rispetto alle forme di controllo tradizionali.
Il vecchio “capo-controllore” che assicura l’esecuzione di una serie di attività dettagliate e assegnate a ognuno qui non serve più. Deve trasformarsi in un leader che condivide con il proprio team una “missione”. Missione che potrà riguardare lo sviluppo di una determinata funzionalità di prodotto oppure il miglioramento di un processo, di una “esperienza cliente”. Il successo di una missione sarà poi valutato mediante metriche precise intese non come strumento di controllo ma semmai di supporto all’obiettivo.
Oltre a quello di gerarchia, il metodo agile rielabora anche il concetto di team. I team devono essere autonomi, indipendenti e avere tutte le competenze necessarie al proprio interno che li renda autosufficienti, capaci di portare a termine il proprio lavoro senza dipendere da strutture, dipartimenti o fattori esterni. Si tratta quindi di team cross-funzionali composti da persone con competenze diverse ma necessarie al completamento del progetto. Primo effetto immediato sarà quello di evitare l’effetto “scaricabarile”: “ero in attesa di…”, “mi aspettavo la consegna del pezzo entro il…”, “necessito l’approvazione di…”. Tutto ruota al concetto di adattamento continuo e reciproco.
Lo so, è un concetto al quale non siete abituati, si allontana dal lavoro per competenze separate al quale siete abituati. Questo però è il cambiamento, vi conviene adattarvi.