La parola d’ordine dell’organizzazione del lavoro nella fase post-pandemica sembra essere “great compromise” (grande compromesso). Non è uno dei tanti slogan coniati oltreoceano, ma oggi la sfida numero uno per i manager.
In tutto il mondo le aziende stanno di fatto negoziando con i loro staff quando, come e dove applicare la flessibilità, tra ufficio, casa o senza alcun vincolo di luogo per la prestazione lavorativa.
Non si tratta più di un’opzione facoltativa: l’autonomia per la gestione del tempo dedicato al lavoro e la scelta del luogo dove svolgere le proprie mansioni sono diventate una richiesta pressante che non può essere ignorata.
Per chi fa orecchie da mercante, il prezzo è salato: scontento, calo della motivazione e della produttività, fino alle dimissioni volontarie.
La strada migliore sembra essere quella “ibrida”: l’obiettivo tuttavia non è quello di stabilire quanti e quali giorni recarsi in ufficio e quanto e come lavorare da remoto, bensì gestire i team in modo profondamente diverso rispetto al passato.
L’ultima ricerca di Jabra su questi temi ha mostrato che il 66% dei lavoratori intervistati con piena autonomia nella scelta di dove e quando lavorare ha indicato il modello ibrido per la propria settimana lavorativa ideale. Eppure, solo il 57% lo stava seguendo. Se questi lavoratori hanno piena autonomia, perché non stanno lavorando nel modo giudicato ideale? Perché lavorano a tempo pieno a casa o a tempo pieno in ufficio quando potrebbero scegliere diversamente?
Uno dei motivi per cui le persone possono lavorare a tempo pieno in ufficio più di quanto desiderano è una sorta di pressione sociale. Nonostante si offra ai propri collaboratori la completa libertà di lavorare dove vogliono, una cultura che dice “è necessario essere visibili in ufficio per progredire”, in modo esplicito o implicito, annulla qualsiasi grado di autonomia concesso.
L’indagine di Jabra ha rilevato che il 55% ha affermato di temere che la propria carriera ne risentirebbe se non si andasse in ufficio regolarmente. Di quel 55%, quasi la metà (49%) ha citato come principale fonte di preoccupazione la mancanza di trasparenza nel modo in cui vengono valutate le prestazioni professionali.
Allo stesso tempo, il lavoro 100% da remoto non è una passeggiata, soprattutto se non viene gestito con efficacia: come dimostrano numerose indagini, come quelle di McKinsey, le criticità non mancano: in testa, il possibile sgretolamento della coesione sociale, burnout e il conseguente calo della produttività.
E allora, come essere leader guidando il cambiamento in questa fase di profonda trasformazione? Sembrano essere 5 le competenze chiave per i manager in un mondo del lavoro ibrido:
– saper costruire fiducia e inclusione;
– comunicare di più e meglio;
– guidare il focus delle persone sul proprio lavoro e le responsabilità individuali;
– creare una forte cultura di squadra;
– evitare il burnout con l’empatia.
Come ben sottolinea su Forbes Matt Laukaitis, executive vice president and global general manager SAP’s Consumer Industries, lo stile manageriale a cui riferirsi dovrebbe essere quello dell’Intentional management: definire le regole dell’ingaggio per il nostro team è dunque un vero must. Così come le aspettative, gli obiettivi e le loro scadenze, assumendo un ruolo proattivo nella gestione di un mondo del lavoro flessibile in cui ci si può vedere in ufficio, solo alcuni giorni alla settimana o, prevalentemente, in videoconferenza. Nello stesso team, le modalità possono cambiare.
Occorre allora guardare in faccia la realtà e fare i manager in modo profondamente diverso rispetto al passato.
Per navigare nelle acque del lavoro ibrido, XLabor, la divisione dedicata al lavoro manageriale di Manageritalia, ha organizzato un appuntamento del ciclo Friday’s Manager venerdì 28 ottobre dalle 12 alle 13, con Elena Panzera, presidente AIDP Lombardia, senior Hr vice president Sas Emea&AP.