L’approccio agile per dare un senso al lavoro

Una nuova sfida per l'employee empowerment. Ne parliamo con Antonio Di Stefano, socio fondatore di Peoplerise, società di consulenza nei processi di trasformazione organizzativa che ha curato l'edizione italiana del libro Agile People di Pia-Maria Thorén (Guerini)

L’approccio Agile punta su innovare e facilitare la trasformazione all’interno delle organizzazioni attraverso una strategia specifica sulle persone: quali sono i risultati concreti in termini di job retention, produttività ecc.?
Abbiamo notato soprattutto un miglioramento nella qualità delle relazioni e della comunicazione, che ha ovviamente facilitato il lavoro in termini più pragmatici. Un altro elemento importante risiede nel cambiamento di paradigma nei sistemi di valutazione con i KPI individuali sostituiti da OKR – Objectives and Key Results di gruppo. Questo ha determinato, sul piano individuale, la necessaria di implementare di feedback, o meglio feedforward di qualità.

Il mondo delle risorse umane è alla continua ricerca di nuove strategie per l’employee empowerment: cosa vi convince dell’approccio Agile e perché, in definitiva, può funzionare anche da noi?
Le persone oggi hanno bisogno di trovare senso, semplicità e velocità. Hanno la necessità di creare un modo di collaborare più snello, diretto, veloce e contemporaneo. Per questo l’approccio Agile ci convince, perché è vicino alla realtà, ai bisogni delle persone e dei clienti. Mette nella condizione di provare e imparare dagli errori, li include nei processi come fonte di apprendimento, aiutando a contrastare la cultura dell’alibi e della colpa. Sono tutte necessità che sentiamo e vediamo nella maggior parte delle aziende italiane con cui lavoriamo.

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Qual è il ruolo del manager nell’agile e che manager servono?
Il ruolo del manager nell’agile è di servizio; si parla infatti di servant leadership. Ha la responsabilità di creare le condizioni affinché il processo possa compiersi, è quindi un manager aperto, che mette in campo una leadership partecipativa. Non è più colui che conosce la strada, ma crea le condizioni affinché il suo gruppo la trovi. È al servizio della crescita individuale delle persone che, intesa come apertura e cambio di mindset, abilita il processo creativo e quindi l’innovazione. È anche un manager consapevole del fatto che prima di fare serve riflettere. È importante infatti che Agile si inserisca all’interno di un processo di trasformazione più ampio, che per noi in Peoplerise ad esempio è rappresentato dalla Teoria U di Otto Scharmer. Agile governa in modo semplice il fare, ed essendo lo spazio fisico in cui le persone cercano il senso, va quindi a coprire un pezzo importante di fatica. Abbiamo notato infatti che se Agile è assunto come mero esercizio metodologico non funziona, perché è fondamentale da un lato capire le necessità, dall’altro avere ben chiaro che è determinante “attivare” l’energia di ogni singolo individuo. Agile è infatti, principalmente un percorso inside out.


Il management italiano è pronto per l’Agile? Quali consigli dareste a un manager per farlo diventare sempre più coach?
Il management italiano è consapevole del fatto che è importante trasformare il modo di lavorare delle persone e sicuramente sente la necessità di trovare un approccio più contemporaneo. Sono le stesse nuove generazioni che ci chiedono con forza questa trasformazione. C’è un cammino di leadership che quindi oggi ogni manager può fare ed è fatto di diversi passi: lasciare andare e lasciare arrivare, abbandonando alcuni pregiudizi e convinzioni che hanno creato successi nel passato e che oggi invece potrebbero essere un ostacolo; prendere in questo percorso uno spazio di osservazione che consenta di aumentare la consapevolezza e gestire i processi in modo più vicino ai bisogni delle persone e dei clienti; facilitare la cultura della trasparenza e dell’errore come fonte di apprendimento, alimentando in azienda la possibilità delle persone di sbagliare.

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