Da oggi fa il suo debutto su Manageritalia.it un abbecedario per manager colti, con tanti episodi divertenti e aneddoti che veicolano un approccio critico a comportamenti diffusi nel vissuto quotidiano delle nostre organizzazioni. È una realtà paradossale, perché gran parte dei problemi che stiamo vivendo derivano a ben vedere proprio dai successi passati: «ogni soluzione genera nuovi problemi».
Il percorso segnato dalle lettere dell’alfabeto ci porta così a riflettere anche sul nostro potenziale, su come sia importante recuperare un atteggiamento mentale più fresco e disponibile per valorizzare le risorse di cui ciascuno di noi dispone nel costruire un futuro che valga la pena vivere non solo nella vita privata ma anche nel mondo vitale delle organizzazioni.
A come AAA (classe dirigente cercasi)
Achille Campanile in una delle sue «Tragedie in due battute» ci ruba un sorriso (“Il capufficio manda a chiamare l’impiegato pieno di delicatezza e lo apostrofa con severità: Signor Patellini, come mai spesso non venite in ufficio? L’impiegato – con delicatezza – Commendatore, le dirò, temo sempre di non disturbare”): in quell’impiegato riconosciamo il disagio che noi tutti talvolta abbiamo provato nelle organizzazioni che ci hanno «ospitato».
Talvolta avremmo voluto dirlo, non necessariamente con la forza dello scontro sindacale, ma con la gentilezza che si deve al padrone di casa. E nella «tragedia», riconosciamo l’alterità dal lavoro e dall’ambiente in cui questo è inserito, l’essere «altro» che l’impiegato «delicato» esprime proprio nella sua apparente gentilezza.
Si sente riecheggiare lo scrivano Bartleby di Herman Melville. Bartleby a un certo punto del suo percorso professionale nello studio del notaio inizia a rispondere a tutti i compiti che, appunto, il notaio gli chiede di svolgere, dicendo «Preferirei di no». E accanto a Melville viene alla mente Fernando Pessoa con il suo Libro dell’inquietudine.
Pessoa scrive il suo libro tra il 1913 e il 1935, eppure sembra scritto oggi. Descrive il nostro paese, attonito, smarrito, pieno di rabbia e di rancori ma senza un progetto, una voglia di sovvertire
la tendenza all’immobilismo. Viviamo in una società che ha smesso di credere nella crescita, che ha subito un capovolgimento di attese ed è come rattrappita: l’attendismo è ormai diventato stallo.
L’era del welfare capace di dare tutto a tutti. Sa che si sta entrando in un’epoca di grande selettività. Reagisce con un misto di depressione e di rabbia, ma una rabbia che non produce un propulsivo conflitto sociale. Invece di sbocchi costruttivi, abbiamo così un malessere diffuso, condito di mugugni e velleitarismi. In un momento così delicato la situazione è ulteriormente complicata dalla crisi del meccanismo di formazione delle élite dirigenti e da una sorta di dissociazione tra la testa della società, che appare come impotente, e il corpo sociale, che reagisce con freddezza e crescente distacco.
Una base sociale «fredda», disorientata, impaurita, statica, deve essere guidata da una classe dirigente «calda», animata cioè da un grande progetto, da un anelito forte, etico, politico, economico. Così è stato nel nostro dopoguerra e negli anni del boom economico, così purtroppo non è oggi. La crisi accorcia e schiaccia l’orizzonte delle strategie personali. Oggi, a differenza del passato, si è perduta l’idea del futuro.
D’altronde, è il futuro stesso, come idea, a essere passato di moda, reso inattuale da un presente infinito. Dalla tendenza irresistibile a guardare indietro, a discutere di un passato che non passa mai. Dobbiamo al contrario recuperare la voglia di guardare avanti. Occorre una classe dirigente, anche nelle nostre imprese, che si prenda la responsabilità del futuro. In un recente libro di largo successo, Il complesso di Telemaco, un noto psicanalista, Massimo Recalcati, discute sulla funzione dei padri oggi.
L’autore evoca «la figura omerica di Telemaco come il rovescio di quella di Edipo». Edipo viveva il proprio padre come un rivale, come un ostacolo sulla propria strada,
I figli non cercano, cioè, più «modelli ideali» né tanto meno si aspettano che il padre imponga dogmi, e sia un’autorità repressiva, ma cercano padri, forse più fragili ma capaci di gesti, di scelte, «di passioni capaci di testimoniare, appunto, come si possa stare in questo mondo con desiderio e, al tempo stesso, con responsabilità». I giovani hanno bisogno di adulti che camminino al loro fianco senza «pretese di proprietà e con la fede nei confronti dell’avvenire, la fede verso la capacità di progettare il futuro». Telemaco attende che «la nave di suo padre – che non ha mai conosciuto – ritorni per riportareFuor di metafora, è lo stesso sentimento che si respira nelle nostre imprese. Cercasi classe dirigente disperatamente. Padri autorevoli che si assumano la responsabilità del futuro. L’imprenditoria italiana sta massacrando la fascia dei dirigenti sempre meno numerosi e sempre più intimoriti.
Non sempre però questa si sostituisce con la capacità di esercitarne le medesime funzioni. Stiamo assistendo, tra gli altri fenomeni, anche a una profonda crisi di managerialità.
Questa rafforza il senso di estraniamento che si respira tra i lavoratori. Manca il senso del futuro, del progetto, e di una classe dirigente che lo possa prima sognare e poi realizzare. la Legge nella sua isola dominata dai Proci che gli hanno occupato la casa e che godono impunemente e senza ritegno delle sue proprietà».
Tratto da L’alfabeto del leader – Compedio semiserio per manager colti (Guerini Next).