Secondo il Global gender gap index, pubblicato annualmente nel Gender gap report del World Economic Forum, l’Italia si colloca 63esima su 146 paesi analizzati, con il 72% di gap colmato. Un confronto con i dati internazionali sembra posizionare il nostro Paese tra quelli più virtuosi in termini di parità di genere, ma un’analisi più approfondita evidenzia come l’Italia sia, tra quelli più virtuosi, al fondo della classifica. A conferma di ciò, nell’indice elaborato da Eige (European institute for gender equality), che monitora la parità di genere tra i paesi europei, l’Italia ottiene un punteggio di 65 su 100, inferiore di quasi 4 punti alla media europea. Tra i macro-indici analizzati, quello del lavoro presenta il gap maggiore, con 8,4 punti di differenza rispetto alla media europea.
L’impatto della pandemia
I dati ci mostrano uno spaccato della situazione occupazionale e retributiva delle donne in Italia. Prima della pandemia, il tasso di occupazione femminile era cresciuto progressivamente fino a toccare il 50%, contro il 68% di quella maschile, mentre la disoccupazione raggiungeva l’11% per le donne e il 9% per gli uomini. I dati del 2021 rivelano come, seppure l’intero mercato del lavoro abbia risentito degli effetti della pandemia, le donne siano state colpite in misura maggiore dalla recessione (da qui anche il termine “she-cession”): l’occupazione femminile è diminuita di più di un punto percentuale rispetto ai valori pre-pandemici, a differenza della riduzione dell’occupazione degli uomini, che è stata minima.
Il gender gap tra uomini e donne non si rileva solo nell’occupazione, ma anche nelle retribuzioni. Dalle rilevazioni dell’Osservatorio JobPricing, nel 2021 il pay gap, calcolato sulla Ral annuale, era dell’11,2%. Ci sono però alcune notizie positive: secondo le prime stime dell’ultimo semestre 2022, si è ridotto all’8,7%, che arriva al 9,6% considerando la Rga (Retribuzione globale annua, comprensiva cioè della parte variabile).
Il nuovo ruolo del lavoro
Per dare una misura di cosa significhi il differenziale rilevato, è come se le lavoratrici italiane iniziassero a percepire uno stipendio il 2 febbraio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio. A livello monetario, quindi, si registra una differenza retributiva di circa 2.700 euro sulla Ral e circa 3.100 sulla Rga. Le motivazioni alla base di questo miglioramento vanno probabilmente ricercate in altri fenomeni che vedono coinvolte in maggioranza le donne. Infatti, numerose ricerche hanno evidenziato come la pandemia abbia di fatto cambiato il modo in cui molte persone percepiscono il ruolo del lavoro nella propria vita: sempre più spesso si preferisce non lavorare affatto anziché accettare un ambiente di lavoro poco inclusivo e stimolante, tempi di conciliazione inadeguati e retribuzioni non eque: nel post pandemia molte aziende si sono ritrovate a dover rivedere la propria offerta retributiva. La diminuzione del pay gap nell’ultimo anno è quindi riconducibile a un aumento delle retribuzioni medie per le donne in misura maggiore rispetto agli uomini, con un trend di variazione delle retribuzioni del 5,1%, rispetto al 2,2% degli uomini.
Composizione occupazionale nel settore privato
Analizzando la composizione occupazionale nel settore privato, le lavoratrici costituiscono la maggioranza tra le impiegate, rappresentando invece la minoranza tra le operaie e tra i ruoli manageriali, anche se negli ultimi anni si è rilevata una grande crescita della presenza femminile. La composizione occupazionale pare avere impatto anche dal punto di vista retributivo. Il pay gap, infatti, risulta più alto dove c’è maggiore concentrazione femminile (10,5% nella classe impiegatizia e 9,2% in quella operaia) e più basso dove le donne sono meno presenti (5,2% tra i ruoli dirigenziali e 4,9% tra i quadri). Non si rilevano particolari differenze di genere rispetto alla quota variabile della retribuzione: se il numero di donne che percepiscono una retribuzione variabile è inferiore rispetto a quello degli uomini, ad eccezione dei ruoli dirigenziali, la differenza di variabile percepito, calcolato in percentuale sulla Ral, è trascurabile. Da questi dati sembrerebbe quindi che il fenomeno del divario retributivo sia mitigato nei ruoli manageriali. Quello che però permane è un problema di accesso delle donne ai ruoli apicali: dalle ultime rilevazioni di Manageritalia sui dati Inps, sebbene in grande miglioramento, le donne rappresentano ancora il 31,6% delle figure quadro e solo il 20,5% delle figure dirigenziali.
Il gap nelle aziende quotate
Se spostiamo l’analisi al mercato più ristretto di aziende quotate, il gap assume dimensioni ben più elevate. Nonostante l’introduzione della legge Golfo-Mosca abbia contribuito a un maggior numero di quote rosa nei cda (41,2% nel 2021), solo il 22% delle donne ha un ruolo esecutivo: la maggioranza ricopre il ruolo di consigliere non esecutivo (45% del totale). Salendo ai vertici, le amministratrici delegate rappresentano solo il 5% del totale. La scarsa presenza di donne nei cda è aggravata da un differenziale retributivo di portata maggiore rispetto a quello presente nel settore privato. Il pay gap raggiunge il 94,5% per la presidenza del cda, il 27% per il ruolo di amministratore delegato e il 17,1% per i ruoli non esecutivi.
Un problema che influenza la competitività
Tutto questo, oltre ad essere un problema evidente di equità, si traduce in mancanza di competitività delle imprese: sono diversi gli studi degli ultimi 30 anni che dimostrano che le organizzazioni inclusive, con donne nei ruoli di leadership, ottengono migliori performance in termini di miglioramento della reputazione e della responsabilità dell’impresa. Inoltre, la presenza delle donne nei board è associata a una minore presenza di frodi finanziarie, crescita dell’innovazione e delle performance di gruppo (le imprese inclusive hanno il 59% di probabilità in più di aumentare l’innovazione e la creatività) e il miglioramento delle performance finanziarie (la presenza femminile nei board è associata a una relazione positiva con indicatori finanziari quali, tra i tanti, ROE, ROa, ROS, Tobin’s Q, performance di vendita).