Il segreto del talento: fuoriclasse si nasce o si diventa?

In occasione dell'uscita del libro di Sandro Catani "Il segreto del talento", l'autore e altri esperti del tema si sono confrontati durante una tavola rotonda organizzata da Manpower Group a Milano.

COME SI DIVENTA ECCELLENTI, NUMERI UNO NEL PROPRIO LAVORO E BUSINESS? Come coltivare le proprie passioni e doti personali investendo tempoil segreto del talento sandro catani ed energie superando gli eventuali fallimenti? Quando si affronta il tema del talento, occorre sgomberare il campo dai falsi miti e capire quali siano le condizioni migliori affinché questo possa sbocciare. Ne parliamo con il consulente e saggista Sandro Catani, autore del libro Il segreto del talento (Garzanti).

Ciascuno ha un suo talento, come è possibile riconoscerlo fin da giovani e indirizzarlo verso un progetto di vita e professionale soddisfacente?
Se Mozart non avesse cominciato a studiare musica sin dai 4 anni sotto lo sguardo vigile del padre, lui pure musicista, non sarebbe stato un grande. E così Giotto, scoperto da Cimabue mentre pascolava le pecore a disegnare sui sassi. Inclinazione, passione, curiosità personale favorite da una famiglia supportiva ed esigente sono gli ingredienti di base.

Qual è il ruolo del manager nella valorizzazione del talento in azienda e come dovrebbero essere gestite le risorse umane per fare in modo che i frutti del talento possano essere condivisi e messi al servizio degli obiettivi dell’organizzazione?
I manager competenti utilizzano il  modello della “panchina lunga” e assumono che tutti i loro collaboratori sono bravi. È un problema di mindset e poi di capacità di cogliere le competenze personali di base. E più difficile addestrare un tacchino a salire sull’albero che abituarlo a razzolare bene nel cortile.

Il talento può “fare paura” in certi contesti organizzativi e rappresentare addirittura una minaccia, a differenza di una più rassicurante mediocrità?
Il talento è mobile, un nomade che gira alla ricerca del suo sogno e tra questi ha anche quello di vivere in luogo dove lo apprezzano e dove si può ingaggiare rispetto ad altri bravi come lei o lui. In Apple sono tutti dotati di competenze superiori.

Nel libro sono raccolte più storie e si parla in molti casi di insuccessi: per tirare fuori il meglio di noi può essere necessario trovarsi di fronte a un bivio o attraversare una fase complicata?

Sì, nel nostro paese il fallimento, dal latino fallere, cadere, sembra irreparabile e non ci allenano a perdere. Al contrario, non vincere una gara, non passare a un esame o, peggio, perdere il posto di lavoro sembra letale. In realtà i ciclisti professionisti sanno che perderanno una parte delle corse a cui si iscrivono e si preparano a rialzarsi con l’aiuto di un coach. Come peraltro un buon venditore non si accascia perché ha perduto un cliente, sia pure importante. È il momento in cui pensa a come trovarne altri con nuovi mezzi.

Per tornare a crescere l’Italia deve investire sul talento: in che modo e quali modelli occorrono oggi per contenere la fuga dei cervelli verso paesi più meritocratici del nostro?
Bisognerà guardare al mondo globale con occhi nuovi. Il termine “fuga dei cervelli” è un paradosso. Ripeto, il talento è mobile. Nel mio libro cito una coppia di ricercatori che ha scelto di passare da un centro di ricerca a New York a uno a Berlino. Il contesto è un motivo di attrazione. Consapevole di questa psicologia del talento, il nostro paese potrebbe certo fare molto sviluppando l’attenzione alla competenza. E pagando meglio, a partire dai laureati.

Sarà pur vero che tutti abbiamo un talento, ma non pensa che spesso tanti, troppi sono almeno nel posto, inteso come lavoro, business ecc., sbagliato per il talento che hanno e quindi diventano dei “distalenti” e producono disvalore per loro e per gli altri? Forse il meglio starebbe nel convincerli per il loro bene a cambiare vita professionale?
Condivido. Il termine “talento” viene greco talanton, l’inclinazione della bilancia, ha assommato il significato di passione. Perciò se uno fa un lavoro per cui non ha competenza e motivazione farebbe bene ad abbandonarlo. Esistono migliaia di lavori. Magari il gestore di un’isola australiana (job ben remunerato), il custode della splendida biblioteca di Coimbra in Portogallo, o un imprenditore della sharing economy.

Per chiudere e per andare tutti verso maggior talento, il talento è innato o oltre che scoperto va coltivato e magari anche costruito ex novo?

No, il talento non è innato. Gonzalo Higuaín o Flavia Pennetta alla nascita non sapevano fare gol o servire una palla potente. Ci vuole certo l’inclinazione, ma sono fondamentali la passione dedicata a un sogno, una competenza di saper fare qualcosa a un livello superiore e l’aiuto degli altri. Il mio consiglio numero uno è di procurarci un coach, un maestro che ci aiuti con l’esempio a superare le difficoltà e a crescere.

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