Il non profit ha un problema con la comunicazione?

Molte piccole e medie società, fondazioni e associazioni del terzo settore non comunicano perché prive di competenza tecnica, ritengono di non avere né tempo né continuità. Ma è un grave, imperdonabile, errore...

Quando si parla di comunicazione in Italia si ha spesso di fronte un pubblico di utenti che pensano che comunicare sia facile. In base a questa convinzione, specie se l’azienda è piccola o siamo davanti al professionista singolo, la comunicazione è data in mano alla segretaria, all’assistente, all’amico “che ci penso io”, allo smanettone di turno che si occupano: di inviare un’email interna a tutto il personale, magari dando chiarimenti sul nuovo corso aziendale, della scelta del regalo natalizio ai grandi clienti (un dono che comunica l’animo dell’azienda), dell’organizzazione dell’evento di fine anno o dell’ideazione del sito web. Gli errori madornali sono all’ordine del giorno. Mi chiedo ancora chi c’era dietro alla comunicazione di Melegatti o alle dichiarazioni di Barilla, esempi chiari di cosa non fare MAI.

Sottovalutare la comunicazione è errore diffuso nelle grandi compagnie e quotidiano nelle Pmi, che sono l’ossatura dell’economia italiana. Nelle associazioni, in molte fondazioni e nelle aziende non-profit molto spesso non esiste. Le grandi multinazionali del non profit non hanno problemi: hanno i soldi per campagne milionarie, usano le grandi agenzie di comunicazione e hanno contatti istituzionali ovunque, ma parliamo di aziende che muovono patrimoni ingenti e spesso hanno la sede madre a Londra, New York o Ginevra.


Le piccole e medie società non profit molto spesso non fanno comunicazione. Perché? Perché la comunicazione richiede non solo competenza tecnica, ma anche tempo e continuità. Prima di tutto bisogna sapere chi si è e non tutte le associazioni e fondazioni lo sanno o hanno un messaggio univoco da trasmettere all’esterno. Nelle piccole non profit, come in molte associazioni e fondazioni, ci sono tante voci a parlare, la direzione non è chiara, il messaggio non è univoco e invece di cercare un buon comunicatore, che sappia filtrare le anime diverse e farle uscire come un coro, distinto e armonioso, si preferisce litigare all’interno e tacere all’esterno. Oltre a questo, occorre avere una risorsa dedicata, soprattutto se si decide di andare sui social e avviare rapporti con la stampa. La “faccia” con i giornalisti deve essere sempre la stessa e i social richiedono una sorveglianza continua e attenta. E sui social bisogna esserci. Ormai anche i professionisti usano Facebook e Instagram, a seconda della professione, così come i politici, gli scrittori e i creativi. La resistenza di alcune associazioni, fondazioni e non profit è data solo dal convincimento che non servano, mentre ormai si nota chi non c’è. O meglio, chi non c’è non lo si trova e, quindi, raccoglie meno donazioni o attrae meno soci. Associazioni, fondazioni e non profit spesso vivono di membership e donazioni, di 5×1000, di rinnovi di adesioni e chi non parla non lo sente nessuno. Se alcune associazioni scrivono, molte fondazioni twittano e le grandi onlus sono in tv.

Chi tace non acconsente, ma rischia di sparire. Come sempre il problema di fondo è dato dalla poca fantasia di queste piccole imprese, che non pensano di poter prendere un professionista che dedichi loro una parte del suo tempo, in maniera continuata, invece che assumere un factotum che si dedichi alla contabilità, al recupero crediti, alla gestione dei fornitori, alla comunicazione e magari anche alle pulizie di Pasqua. La comunicazione è una necessità di tutti, addirittura del singolo. Meglio spendere una piccola somma e curarla che perdere molte possibilità facendo finta che non esista.

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