Lo scorso anno la maestra di mio figlio mi fermò all’uscita di scuola per raccontarmi che cosa era accaduto in classe. Avevano chiesto ai bambini di parlare del lavoro dei propri papà e, cosa piuttosto diffusa qui a Londra, la classe era popolata da figli di broker, avvocati, ingegneri… Mio figlio alzò la mano e disse: «Mio padre è un filosofo! Ma non di quelli noiosi, che quando parlano non si capisce niente, lui fa cose divertenti e le persone lo ascoltano perché trova sempre giocattoli nuovi per dire quello che pensa».
Spesso sottovalutiamo la capacità di sintesi dei bambini e la genialità con cui riescono a descrivere quello che sperimentano nella vita di ogni giorno. Per anni mi sono chiesto come far capire il mio lavoro, un lavoro vecchio di 2.600 anni e che affonda le radici in quel ricco bacino del Mediterraneo che a volte dimentichiamo. Lo dimentichiamo perché nel clima di esterofilia diffusa tendiamo a volgere il nostro sguardo all’estremo occidente, verso quell’America che spesso innova riproponendoci (o rivendendoci?) porzioni rivisitate della nostra stessa storia.
Per la Silicon Valley informatica e ingegneria non bastano
Quando recentemente Google ha creato una nuova posizione, quella del cpo (chief philosophy officer), il mio telefono ha cominciato a squillare, con miei clienti storici che mi dicevano «Quella cosa lì sei tu! Ma non l’ha inventata Google, ti abbiamo assunto prima noi di loro!». La verità è che né il sottoscritto né tantomeno il gotha della Silicon Valley ha inventato “quella cosa lì”. Il mio lavoro è quanto di più simile a quello che faceva Aristotele con Alessandro Magno o Giordano Bruno con i potenti del Rinascimento. Le multinazionali sono imperi contemporanei e i ceo di oggi fanno ciò che facevano i regnanti di ieri: circondarsi di pensatori che aiutano a comprendere il presente e formare il futuro, elaborando le strategie di comunicazione più efficaci per diffondere un’idea.
Identikit del filosofo esecutivo
Ma che cosa fa, in pratica, il filosofo esecutivo nelle imprese? Il filosofo esecutivo affianca professionisti, manager e imprenditori che vogliono fare “innovazione”, termine che deriva dal latino in nova agere, che significa “mettere in azione idee nuove”. Due sono i presupposti per fare innovazione in un settore: saper riconoscere i corsi e i ricorsi storici, anticipando le tendenze del mercato; possedere una profonda conoscenza della neurologia umana e di come il linguaggio sia in grado di influenzare il pensiero determinando il comportamento dei singoli individui e delle masse.
La complessità di queste competenze, oltre che la solo recentissima diffusione nel mercato del tech, fa sì che non esista (ancora) un percorso unico per diventare filosofo esecutivo. Senza dubbio chiunque voglia affermarsi in questa professione necessita di una cultura classica (meglio una laurea in filosofia), consolidata esperienza nel mondo dell’impresa e competenze in materia di psicologia cognitiva e manipolazione mediatica. Ai miei tempi i laureandi in economia e legge si prendevano gioco di noi studenti di filosofia. Ricordo un amico che definiva le discipline umanistiche “scienze delle merendine”, per sottolinearne l’inutilità.
Un neo-umanesimo digitale
Oggi non è più così, ammesso che lo sia mai stato. Pensiamo alle recenti dichiarazioni di Mark Cuban, milionario americano, nonché proprietario in Nba dei Dallas Mavericks: “Farò una previsione” – ha detto nel corso di un’intervista rilasciata alla tv ABC – «tra dieci anni la laurea in filosofia varrà molto di più di una laurea in informatica». In tempi in cui le intelligenze artificiali e la nascente era robotica rischiano di relegare l’essere umano alla periferia del mondo (si pensa che il 50% dei lavori non esisteranno più nel 2028), i manager della Silicon Valley hanno compreso l’importanza di mettere al centro dello sviluppo di un’impresa gli individui, perché solo così possiamo creare un neo-umanesimo di tipo digitale in cui le tecnologie sono al servizio dell’essere umano e non viceversa.
Oggi il mondo del lavoro ha bisogno di filosofi esecutivi perché essi permettono la diffusione del bene più raro e prezioso del nostro tempo, il pensiero. Ecco dunque che la filosofia, per molto tempo considerata un passatempo per intellettuali, ci viene riconsegnata quale strumento vitale per il successo delle imprese. Voglio cogliere l’occasione per ricordare il compianto Sergio Marchionne, che ha sempre riconosciuto pubblicamente nella filosofia un elemento chiave del suo successo: «La filosofia mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente».
La cassetta degli attrezzi
Spesso il filosofo esecutivo viene definito come un esperto di comunicazione, un professionista costantemente alla ricerca di nuovi media per materializzare le idee (e gli ideali) dei propri clienti. Direi che in un certo senso mi trova d’accordo, perlomeno credo che questa sia l’idea di mio figlio con quel “Trova sempre giocattoli nuovi per dire quello che pensa”. Che cosa intende? Quali sono i giocatoli di cui parla? Talvolta mi vede lavorare con visori per la formazione mediante realtà virtuale, altre volte mi sorprende mentre sto parlando con un ologramma, di recente ha scoperto in ufficio una scatola piena di microfoni… Giocattoli costosi, ma pur sempre giocattoli agli occhi di un bambino. Oggi i social hanno moltiplicato i nostri canali di diffusione (vale a dire i media) e moltiplicato le interazioni, ma di pari passo non è cresciuta la qualità della nostra vita, costantemente esposta a quella quotidiana guerra per l’attenzione.
La ricerca di nuovi media: il ritorno dell’oralità
Coloro che hanno un pensiero e le stesse imprese che hanno degli ideali da comunicare al mercato, come possono pensare di essere ascoltati in questo rumoroso e distorto scenario che è la comunicazione nel ventunesimo secolo? Ecco la continua ricerca di nuovi media che caratterizza parte del lavoro di un filosofo esecutivo. Personalmente prevedo a breve un drammatico crollo dei social network per come noi li conosciamo, i segnali in tal senso non mancano, e l’avvento di una nuova stagione della comunicazione che mette al centro le idee e la loro narrazione. Il futuro della comunicazione non sarà visivo, bensì uditivo, come peraltro lo era la narrazione nell’epica antica, e per questo il podcast sarà lo strumento primario per formare, comunicare, persuadere, manipolare. La crescita del movimento voice-first, il lancio di Amazon Echo, Google Home e Apple HomePod non fanno che testimoniare l’immediato futuro che ci attende: la voce è l’anfiteatro del nostro tempo e coloro che domineranno l’arena del mercato saranno manager armati di pensiero.