Simone Pianigiani (foto in alto) è stato un allenatore di basket di successo del panorama italiano. Ha vissuto stagioni d’oro con la Montepaschi Siena e la Nazionale italiana. Oggi è un formatore, speaker e motivatore. Mette la sua esperienza a disposizione di manager e imprenditori. Sempre più spesso gli allievi dei suoi corsi e gli spettatori dei suoi speech gli chiedevano consigli e strategie. Da qui l’idea di mettere nero su bianco la sua esperienza nel libro Essere coach.
Qual è oggi l’identikit del vero leader?
«La leadership non dovrebbe derivare dal ruolo assegnato, ma dal modo in cui si lavora. Il vero leader mette la sua visione al servizio del raggiungimento dell’obiettivo assegnato. E questo vale nella vita, nello sport e nel lavoro.
La leadership si conquista sul campo, soprattutto grazie all’empatia e all’ascolto. Le competenze tecniche sono necessarie, certo, ma a fare la differenza è la capacità di trasmettere valori. Il coach deve saper gestire lo spogliatoio e aiutare tutti i membri della squadra a performare meglio».
Quindi le soft skill hanno un ruolo centrale?
«Certo. Le qualità da affinare maggiormente sono la capacità di ascolto e quella di motivare. Il peggior errore che può fare un leader è quello di non ascoltare, non comprendere esigenze e desideri della propria squadra, imporre il proprio volere con la forza».
In un mondo in costante cambiamento, qual è la qualità più richiesta?
«La flessibilità. Ormai l’unica certezza è che non ci sono certezze. Perciò servono un piano B e uno C. Ma anche saper gestire l’imprevisto, quando si presenta. Occorre sempre avere un programma di massima, ma anche saperlo adattare in base alle circostanze che via via si presentano».
Come motivare il gruppo quando le cose vanno male e le vittorie non arrivano?
«Il segreto è restare impermeabili, non farsi condizionare dall’emotività. Bisogna concentrarsi sul proprio compito, restare focalizzati, svolgere ogni attività al meglio, ricordarsi i successi passati. Continuare a vedere il bicchiere mezzo pieno».
Napoleone Bonaparte sosteneva che il più grande pericolo si corre nel momento della vittoria. Come non lasciarsi tra volgere dall’euforia quando tutto sembra andare per il verso giusto?
«Quella è la fase in cui l’allenatore deve pungolare di più la sua squadra. Perché il nemico più pericoloso non è mai esterno, non è l’avversario o il concorrente, ma è sempre interno.
Il peggior nemico della squadra è la squadra stessa. Dopo una stagione di grandi vittorie si ricevono attestati e complimenti, si vive in una zona di comfort ed euforia.
E, inevitabilmente, la soglia di attenzione si abbassa. Come dico sempre: vincere è difficile, ma vincere di nuovo è ancora più difficile. La strategia corretta da seguire è quella di non adagiarsi né fermarsi. Ma, anzi, adoperarsi in vista di un miglioramento continuo.
Alzare l’asticella, diventare un punto di riferimento del proprio settore. Tutti avanzano, chi si ferma è perduto».
Qual è il peso della fortuna?
«La buona o cattiva sorte può condizionare un match, ma nel medio termine non esiste. In una partita di basket in equilibrio, vince chi mette a segno l’ultimo punto. Ma non bisogna affidarsi a quell’ultimo punto.
Bisogna curare ogni dettaglio, in modo da far sì che ogni membro del team performi al suo massimo in funzione dell’obiettivo da raggiungere insieme.
Poi bisogna accettare anche il fatto che ci siano fasi in cui, all’apparenza, sembra andare tutto male o tutto bene. Ci sono variabili che sfuggono al nostro controllo, ecco perché dobbiamo lavorare al massimo su quegli aspetti che, con i nostri comportamenti, possiamo influenzare».
L’allenatore, come il manager, è a capo di una squadra. Quanto conta il team?
«È fondamentale. Specie con l’avvento delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale, aumenta il numero di “aiuti” a disposizione dei manager e dei coach.
Pensiamo alla mole di dati disponibili sulle performance. Poi, però, visto che non si può sapere tutto di ogni branca, è necessario circondarsi di validi collaboratori, in grado di seguire ogni aspetto. Il manager deve avere competenze di massima, saper supervisionare ogni aspetto e fare una sintesi. Solo così può avere la giusta credibilità».
E se in squadra arriva un membro talentuoso, ma difficile da gestire?
«La sfida è raggiungere un compromesso tra le esigenze individuali di ognuno e gli obiettivi della squadra. Servono, di nuovo, capacità di ascolto; ma anche di mediazione.
Bisogna far capire che chi pensa e agisce fuori dal coro corre, e fa correre alla squadra, dei rischi. Bisogna raggiungere un accordo con tutti. Magari faremo solo un tratto di strada insieme, ma dobbiamo farlo bene.
Nessuno dice che è necessario diventare amici o andare in vacanza insieme. Il leader deve portare tutti a fare bene insieme».
Quali sono i tre “superpoteri” del leader moderno?
«Capacità di ascolto, coerenza fra indicazioni date e comportamenti tenuti ed empatia, intesa come l’attitudine a creare relazioni sane e durature».

Simone Pianigiani è stato un allenatore di pallacanestro, per molti anni a Siena. Ha allenato anche la Nazionale italiana e diverse squadre straniere. In carriera ha vinto più di venti titoli in quattro nazioni e non ha mai trascorso un’intera stagione in panchina senza alzare almeno un trofeo. Oggi è analista televisivo. Tiene anche corsi di formazione e speech per aziende e multinazionali sui temi del team building e della leadership.