Digitalizzazione, automazione,
programmazione. Di questo trio nessuno
può fare a meno, neanche l’albergo più
piccolo. Le competenze tecnologiche sono
sì un must per ogni operatore ma non
fanno la vera differenza. Anche per le skills
vale quanto detto per il resto del libro.
Tutto ruota attorno alla relazione.
Quali sono allora gli obiettivi formativi
e le competenze che tutto, o quasi, lo staff
deve possedere? Ecco un piccolo elenco.
1) Intelligenza sociale
Abilità di connettersi con gli altri in modo
diretto e profondo. L’empatia è di massima
importanza per instaurare relazioni durature.
Chi non riesce a mettersi nei panni degli
altri e a percepire i reali bisogni in continuo
divenire gira a vuoto e resta isolato.
2) Gestione ambiguità
La gestione dell’ambiguità e ambivalenza
va ben oltre la capacità di sopportare i
cambiamenti di umore degli ospiti. Oggi i
comportamenti sono sempre più ambigui
e imprevedibili. Di fatto rispondono ai
diversi e molteplici stili di vita di chi viaggia.
Niente che si possa standardizzare ma solo
maneggiare con piglio camaleontico.
3) Apertura mentale
Chi crede di sapere tutto dei clienti non
potrà mai imparare qualcosa dai clienti. Dunque umiltà (mettersi in discussione), ma non solo. Curiosità, entusiasmo e coraggio di aprirsi sono parte integrante della nuova ospitalità. Un albergo non è un “negozio chiuso” ma un luogo always open alle relazioni.
4) Future mindset
Ovvero: avere una buona relazione
con il futuro (assai complesso). Con la lungimiranza si danza. Il direttore che prevede gli avvenimenti vi provvede in tempo. O detto diversamente: chi guarda avanti e pianifica il futuro è più vicino al futuro (quando arriva). Forza visionaria, trendscouting e scenaristica sono oggi qualità obbligatorie per ogni albergo.
5) Adattabilità
I tempi sono cambiati e spesso durano solo
un istante. Non fai tempo ad abituartici che già di nuovo tutto cambia. Sapersi adattare velocemente ai nuovi stili di vita diventa competenza fondamentale per il futuro.
6) Commutazione
La capacità di passare velocemente da una
cosa all’altra. Non si può sempre lavorare nella stessa modalità. Sfide qualitativamente diverse richiedono approcci e modalità diverse: a volte bisogna essere rapidi a volte lenti, a volte focalizzati (sono qui per soddisfare) e volte concentrati (sono qui per progettare). Molto di più del classico multitasking.
7) Lavoro di squadra
Il turismo non è uno sport individuale ma
di squadra. Lo sanno tutti ma non tutti si comportando di conseguenza lavorando su un vero team building collaborativo che rigetta le vecchie pratiche gerarchiche ormai obsolete.
8) Capacità riflessiva
L’albergo è soprattutto azione ma a volte
bisogna fare un passo indietro per fare tre passi in più. Ogni albergo deve prendersi
il dovuto tempo per periodiche riunioni creative per innovare servizi e gestire future criticità.
9) Leader(friend)ship
Lo sviluppo dell’autoefficacia e autostima
dei collaboratori è fondamentale per una buona gestione. I collaboratori che possono e vogliono essere coinvolti devono anche essere in grado di percepire il proprio valore e utilità in un clima disteso. L’amicizia deve invadere lo spazio professionale dell’albergo. Friends, fans, followers. Da collega di lavoro
ad amico di lavoro. Non solo. Mi fido dunque non ti controllo. Mi fido dunque ti seguo. Trust-based performance management o
anche followership. Tu segui me, io seguo te in un continuo scambio che fertilizza le decisioni.
10) Diversity hospitality
L’inclusione non è solo innovazione sociale
ma anche ospitale. Il potere della diversità significa soprattutto l’accettazione della diversità di ogni ordine e grado. La civiltà digitale e artificiale con la sua estetica e socializzazione fluida è gender neutral nell’essenza. Dunque ambienti alberghieri gender neutral che esaltano le differenze in un clima disteso ma anche accessibile, per esempio ai disabili, alle persone anziane, alle mamme con il passeggino, ai ciechi e così via.
11) Local hero
Ebbene sì: negli alberghi che vogliono
sfruttare e amplificare il proprio contesto urbano c’è bisogno di eroi locali, che non solo sanno il fatto loro ma anche quello del territorio che calpestano. La receptionist non vende camere ma destinazioni; il portiere d’albergo non consegna le chiavi della stanza ma le chiavi della città; il cameriere non è un portatore di piatti, ma un narratore di piatti, che conosce ogni ingrediente della cucina locale e ogni luogo dove comprarlo; il barista non serve semplici cocktail ma dritte verso cantine rare da visitare e più in generale l’albergo è la porta d’acceso a eroiche esperienze locali.
Testo tratto da Il mio futuro è Sostenibile (e maledettamente complesso. Posso chiamarvi se non lo capisco?) a cura di Thomas Bialas, CFMT-Federalberghi