Il change management nasce nel 1947 grazie a Kurt Lewin e ne parliamo da anni, così come del cambiamento necessario. Perché oggi cambiare è ancor più vitale?
«Oggi viviamo in una sorta di paradosso per cui il mutamento è una costante. Le dimensioni della nostra vita cambiano dal punto di vista sociale ed economico. Abbiamo vissuto una pandemia epocale, seguita dal rischio di una guerra globale, viviamo con ansia la prospettiva del cambiamento climatico, ma la nostra quotidianità lavorativa e familiare era già stata stravolta dalle tecnologie. Il vortice in cui viviamo ci costringe ad avere un livello di attenzione sempre alto, che deve accompagnarsi a consapevolezza e strumenti».
Volendo sintetizzare, quando parliamo di change management a cosa ci riferiamo applicandolo al mondo del lavoro?
«Mettersi in azione all’interno di un gruppo di riferimento, che sia familiare o lavorativo, implica che abbiamo chiari i nostri obiettivi personali e come li vogliamo raggiungere. Oggi change management nelle imprese significa la volontà di gestire i rischi per diventare efficienti, sostenibili e resistenti. E questa nostra volontà deve confrontarsi costantemente con quella dei gruppi/comunità a cui apparteniamo».
Per fare change management il primo che deve cambiare è il manager? E in questo caso, come deve cambiare?
«Il manager funge da anello di congiunzione tra la mission, vision e obiettivi aziendali (il top management) e il resto della popolazione e degli employee. Ha un ruolo chiave in un momento storico in cui le persone hanno bisogno di senso, di coerenza, di trasparenza, di fiducia, di rispetto, di benessere. E il suo ruolo è tanto più complicato in una fase nella quale le aziende non sono in grado di dotarsi così velocemente di strumenti efficaci di people management. Il manager è l’interprete, un traduttore, uno storyteller, uno skipper, è la bussola a cui guardare nei momenti di incertezza. Servono leadership e carisma, ma, soprattutto, fiducia e autenticità. Una rivoluzione per chi era abituato al vecchio metodo del controllo e comando».
Un cambiamento che deve partire dall’organizzazione o dalle persone?
«Il lessico e gli strumenti del cambiamento devono permeare le organizzazioni attraverso i singoli ruoli delle persone. Ciascuno deve sentirne la responsabilità personale, nel comportamento organizzativo contribuendo a definire nuovi processi e routine aziendali. La dinamica del cambiamento, che altro non è se non una buona condotta gestionale, deve diventare la priorità per ciascuna persona nell’organizzazione. Tutti dobbiamo chiederci cosa stiamo facendo, perché e come. E assumerci la responsabilità di proporre soluzioni migliorative».
In particolare, quali sono gli ingredienti determinanti per permettere alle organizzazioni di cambiare il modello di business e organizzativo…?
«Consapevolezza, curiosità, lungimiranza, fiducia. Consapevolezza: servono strumenti aggiornati e puntuali in grado di dirci come stiamo, come lavoriamo, che risultati raggiungiamo e quali sono i nostri limiti e i nostri talenti (kpi, big data, fdbk) – Be aware. Curiosità: è importante coltivare il desiderio di trovare soluzioni sempre migliori, innovative e aggiornate. Alimentare le nostre organizzazioni con scenari, prospettive, destini auspicabili. Viaggiare ed esplorare – Be Curious. Lungimiranza: dobbiamo essere capaci di intercettare i trend, i fenomeni emergenti e di vedere il futuro che arriva a velocità sostenuta. Non possiamo farci travolgere. Anzi, dobbiamo metterci nelle condizioni di scrivere noi la pagina della nostra vita organizzativa. Fiducia: attivare la competenza della fiducia significa legittimare il nostro interlocutore, accreditare il contesto che ci circonda considerandolo degno di essere migliorato. La fiducia genera ottimismo ed è la premessa del cambiamento condiviso».
FRIDAY’S MANAGER- CHANGE MANAGEMENT: CAMBIARE LE ORGANIZZAZIONI A PARTIRE DAL PROPRIO RUOLO
Venerdì 20 gennaio 2023, dalle 12 alle 13.
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