Formazione, la nuova frontiera della sussidiarietà

Il problema della carenza di profili adatti a rispondere alla domanda delle imprese italiane. Gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti a nostra disposizione

Prosegue il nostro approfondimento sul tema generale della sussidiarietà, con particolare riferimento, in questo articolo, alla formazione. Anche in questo ambito coesistono vari livelli di protezione: alcuni prestati direttamente dallo Stato (ad esempio, l’istruzione scolastica e universitaria), altri attribuiti a organismi di origine contrattuale (tra cui i fondi bilaterali per la formazione continua, la formazione professionale) e altri ancora posti a carico dei singoli (percorsi culturali personali). Riteniamo esista la possibilità di rendere il sistema maggiormente conveniente e sostenibile per tutti i livelli.

Formazione: maggiore utilizzo dei fondi paritetici
Perché ci sia occupazione sono necessarie alcune premesse di fondo: la prima tra queste è che funzioni il mercato del lavoro. Un mercato non può funzionare se le imprese non trovano le figure professionali più adatte e se non continuano a formare i lavoratori per adattarsi al cambiamento, rispondere ai mutamenti della domanda ed evolversi. Le difficoltà del lavoro non dipendono quindi esclusivamente dalla carenza della domanda di occupati, derivante da una crisi congiunturale o di mercato, ma sempre di più dalla carenza dell’offerta, formativa e professionale. È questo il cambio di paradigma che si deve conoscere, governare e gestire. Il rapporto previsionale Unioncamere Excelsior 2021-2024 segnala come il buon funzionamento del mercato del lavoro italiano nei prossimi anni dipenda molto dalla capacità di affrontare il problema della skill shortage, la carenza di profili formati adatti a rispondere alla domanda delle imprese italiane.
Sempre secondo l’ultimo rapporto Excelsior, anche nella crisi più nera, circa un terzo delle domande di lavoro rimane senza risposte (grafico 1). Il bisogno di nuove competenze cambia rapidamente e le aziende faticano a trovare i profili professionali adeguati alle nuove esigenze. Il possesso delle competenze chiave richieste dal mercato, la capacità di continuare a svilupparle in coerenza con le evoluzioni dei modelli produttivi, organizzativi e di consumi, saranno sempre di più il requisito imprescindibile per l’accesso al lavoro. Il valore primario di un’impresa risiede oggi nel capitale umano e il problema del mercato si rintraccia nell’incongruenza tra domanda e offerta, oscillando tra la carenza formativa e il disallineamento professionale. Le aziende dovrebbero puntare su figure competenti e investire sulla loro formazione, per rendersi resilienti e competitive nel sistema economico.

Uno strumento per fronteggiare la crisi
A conferma della necessità di investire sulla formazione e sulle specializzazioni tecniche, nei prossimi anni continuerà a crescere la domanda di competenze medio-alte, che arriveranno al 45% sul totale. Mai come in questi mesi ci si è resi conto di quanto sia importante la formazione in un mondo che cambia rapidamente. Lo sviluppo individuale delle conoscenze deve trovare un forte aggancio con le competenze richieste dalle aziende, arricchendo continuamente la qualità del lavoro. La sfida è avviare un percorso di formazione e crescita culturale continue. Una società realmente basata sulla conoscenza richiede di abbattere i confini concettuali che separano ancora scuola, università, formazione professionale, percorsi culturali personali. Il timore è che una volta tolto del tutto l’argine del divieto di licenziare ci sia un’esplosione di crisi aziendali che porti a numeri altissimi di posti cancellati: la rete protettiva non può durare a lungo. L’uscita dalla fase epidemica porterà a cambiamenti importanti in alcuni ambiti dell’economia e nello stesso modo di lavorare. Anche in questo periodo di grave crisi esistono opportunità che i lavoratori di aziende in difficoltà possono cogliere al meglio se informati e formati.

Fondo nuove competenze: ponte tra politiche attive e passive
La priorità, in questa lunga fase, è stata quella di dare a imprese e lavoratori la tranquillità e la flessibilità necessarie per portare avanti un riavvio estremamente difficile dopo la lunga emergenza Covid-19. L’inefficienza dei servizi al mercato del lavoro è purtroppo un prezzo altissimo da pagare e appare ovvio che ora occorre passare dall’emergenza a una riforma di sistema, al fine di superare quanto prima gli interventi tampone. Va riconosciuto, in questo senso, lo sforzo del governo negli ultimi mesi di adottare strumenti innovativi per dare risposte certe e durature nel tempo a lavoratori e a imprese. Una di queste è stata la creazione dello strumento “Fondo nuove competenze”, una sorta di ponte tra politiche attive e passive che va nella giusta direzione di integrazione tra i due sistemi, rappresentando uno strumento del tutto innovativo e una valida alternativa sia ai licenziamenti sia alla collocazione dei lavoratori in cassa integrazione.

Come accedere alle risorse disponibili
Il termine di scadenza per la presentazione degli accordi aziendali per accedere alle risorse stanziate era fissato al 31 dicembre 2020. Come anche Manageritalia aveva chiesto, un decreto del 22 gennaio, firmato dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, dispone la possibilità di sottoscrivere accordi collettivi per l’accesso al Fondo nuove competente entro il 30 giugno 2021.
In Parlamento, prima della pausa estiva, sono state presentate proposte emendative di proroga al 31 dicembre 2021 ma non sono state accolteLe risorse assegnate al Fondo nuove competenze risultano totalmente impegnate alla data del 13 maggio e le istanze pervenute successivamente continuano comunque a essere esaminate in ordine cronologico per accedere a un eventuale finanziamento a fronte di eventuali risparmi derivanti da rinunce o da rendicontazioni di importo inferiore rispetto a quanto riconosciuto in fase di ammissione. È comunque previsto il rifinanziamento del Fondo a valere sulle risorse del Programma React-Eu, con 47,5 miliardi di euro di dotazione, di cui 13,5 miliardi assegnati all’Italia. Siamo convinti che il Fnc vada valorizzato e rilanciato, perché finalmente va nella direzione sempre auspicata, ovvero la messa a disposizione di risorse per la riqualificazione delle competenze dei lavoratori tramite la formazione, con la presa in carico da parte dello Stato dei costi del lavoro delle ore di formazione. Dovrebbe valere sempre, ma soprattutto in tempo di pandemia, il principio per cui sia necessario accompagnare il lavoratore lungo un percorso di riqualificazione professionale, difendendo la sua persona invece del suo posto di lavoro.

Reskilling e upskilling
Un grandissimo numero di persone, anche tra attuali occupati, ha bisogno del reskilling. In Italia gli adulti con necessità di upskilling sono tra i 17,5 e i 19,5 milioni, tra il 53% e il 59% della popolazione adulta (25-64 anni). I lavoratori con competenze di livello inferiore sono maggiormente a rischio. Ma anche le persone troppo qualificate sperimentano un maggior grado di obsolescenza se non utilizzano le loro competenze; se non hanno possibilità di aggiornarle e se non hanno possibilità di apprenderne di nuove.
Gli asset principali che devono guidare questo cambiamento possono essere riassunti in: individuare le competenze chiave richieste dal mercato e supportare il processo di learnability delle persone. La sfida è molto difficile e riguarda tutti: le imprese, che devono insistere sulla riqualificazione dell’attuale forza lavoro; i lavoratori, che devono continuamente aggiornare le proprie competenze in maniera trasversale; il sistema educativo, che deve adeguarsi con piani formativi coerenti con le evoluzioni del mondo produttivo; infine, i governi, che devono creare un ambiente adeguato a questi cambiamenti con politiche efficaci.

L’obiettivo è far crescere l’occupabilità
Le azioni formative dovrebbero essere indirizzate in misura più incisiva verso i lavoratori appartenenti alle classi di età più avanzate, al fine di accrescerne l’occupabilità e di contrastarne il ritiro anticipato dal lavoro. La difficoltà a migliorare le prospettive occupazionali per i lavoratori più anziani sembra oggi essere in gran parte una conseguenza della riorganizzazione dei sistemi produttivi, indotta dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Queste tecnologie, infatti, accentuando le caratteristiche di segmentazione del mercato del lavoro, tendono a determinare un progressivo progressivo distacco dall’area centrale e più stabile della struttura occupazionale dei lavoratori più anziani con minori competenze professionali. Si tratta di quella fascia di lavoratori più esposti al rischio di automazione delle attività e di digitalizzazione dell’economia. Un rapido esame dei dati di fonte Eurostat mostra a tale proposito come, nonostante gli sforzi compiuti nel periodo più recente per ampliare la partecipazione al mercato del lavoro, in Italia il tasso di occupazione delle persone con un’età compresa tra i 55 e il 64 anni si attesta ancora su un valore (54,3%) inferiore alla media europea (61,5%) e molto distante da quello della Germania (72,7%).

Gli elementi di debolezza del sistema formativo italiano
Le difficoltà che incontra il nostro Paese a innalzare il tasso di occupazione nelle classi di età più avanzate sono forse la dimostrazione più evidente che il ritiro dal lavoro non rappresenta solo un aspetto problematico per la normativa previdenziale, ma è anche un momento di difficile mediazione tra gli obiettivi di finanza pubblica e i bisogni sociali. Inoltre, non bisogna dimenticare altri due elementi di debolezza del nostro sistema formativo: in Italia, secondo un recente studio dell’Oecd sulle politiche attive del lavoro (Strengthening active labour market policies in Italy – 2019), un quarto delle donne in età lavorativa non trova uno sbocco occupazionale per la carenza di istruzione e formazione e finisce così per ampliare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro; i Neet (Not in education, employment, or training), cioè i giovani senza occupazione non inseriti in percorsi di formazione, rappresentano il 22,2% del totale, contro il 14,9% della Spagna, il 13% della Francia e il 7,6% della Germania grafico 2).

La strada da percorrere
Anche nel campo della formazione le organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori possono fare molto per migliorare l’occupabilità e i fabbisogni formativi di questi ultimi, anche attraverso i fondi bilaterali o quelli interprofessionali. La strada tracciata dalla misura del Fondo nuove competenze è quella giusta da percorrere, ma bisogna spingersi oltre. Per le micro e piccole imprese essere sollevate dal costo del lavoro è importante, ma non è sufficiente, occorre sollevare le aziende anche dai costi della formazione.
Lo Stato deve facilitare e agevolare la partecipazione degli enti bilaterali e dei Fondi paritetici interprofessionali e alla misura del Fnc (che oggi possono intervenire solo in linea teorica) in maniera tale che la formazione sia erogata da questi ultimi senza costi aggiuntivi per le aziende. D’altra parte, aziende e lavoratori già pagano la contribuzione dello 0,30% ai fondi per la formazione interprofessionale. È giusto quindi che questi possano effettivamente intervenire per erogare le azioni formative necessarie.

Contrattazione e incentivi
Sul piano della formazione ampi spazi potrebbero essere assegnati alla contrattazione collettiva e all’autonomia delle parti sociali. È proprio dal rafforzamento degli elementi di complementarità e sussidiarietà che dovrà scaturire in futuro il nuovo sistema di welfare. Perché, per tutelare meglio i rischi sociali e rispondere ai bisogni emergenti, occorrerà prevedere forme più stringenti di collaborazione e cooperazione tra soggetti pubblici e privati e una piena valorizzazione delle potenzialità del volontariato. Infine, riguardo alla formazione, più in generale occorre prevedere una forma di incentivo fiscale per i lavoratori che investono le proprie risorse economiche nel rafforzamento delle competenze sia in ottica di aggiornamento che di formazione continua, o anche di formazione specialistica in chiave 4.0. Come vengono giustamente incentivati i contributi verso le forme integrative previdenziali e sanitarie, allo stesso modo dovrebbero essere trattate sul piano fiscale le spese sostenute dai lavoratori per lo sviluppo delle competenze e la crescita professionale.






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