Il ruolo del manager esterno nelle imprese familiari italiane è un tema centrale per la competitività delle pmi. Un manager esterno non è un “semplice” cambiamento organizzativo, ma l’incontro tra due mondi culturali diversi: quello dell’imprenditore familiare con quello del professionista manageriale.
Se ne è parlato il 4 dicembre nel corso del webinar dal titolo “Il manager che non ti aspetti: perché può cambiare il destino della tua impresa”, organizzato da Confartigianato Imprese.
Moderati da Sara Bartolini (Head of communication and external relations Confartigianato Varese), hanno partecipato Antonio Belloni (Responsabile Centro studi imprese e territori Artser, saggista), Luca Viviani (Managing director Tessitura Attilio Imperiali) e il Segretario generale di Manageritalia Massimo Fiaschi.
Sono stati molti i punti affrontati, dal perché oggi anche le piccole e medie imprese stanno aprendo ai manager esterni a cosa cercano e temono i manager in queste realtà, dai problemi culturali che impediscono alle imprese di fare questo passo alle competenze necessarie per lavorare in aziende piccole.
Lo scenario su cui si sono puntati i riflettori vede la figura del manager spesso percepita come “astratta” o “non necessaria”.
Nelle pmi familiari prevale la logica del “si è sempre fatto così” e l’apertura verso un manager avviene spesso solo in situazione di emergenza (crisi, calo fatturato, nessun erede). I dati, del resto, parlano chiaro: in Italia, solo il 28% delle imprese familiari ha manager esterni (in Europa il 70%).
Il manager sceglie una pmi per incidere concretamente, contribuire alla crescita del Paese attraverso la competitività dei territori, avere autonomia decisionale e un rapporto diretto con l’imprenditore, nonché la possibilità di essere protagonista della crescita dell’azienda (anche con sistemi premianti o quote).
Allo stesso tempo, le pmi dovrebbero garantire fiducia e delega reale, non solo formale, avere una visione di crescita chiara, accettare un confronto su processi, organizzazione, pricing, fornitori e creare un ambiente che valorizza competenze e cambiamento.
La managerializzazione delle pmi italiane appare oggi come un fattore critico di sopravvivenza.
Per Antonio Belloni “La figura del manager nelle pmi non è più “astratta”, oggi esistono manager con competenze internazionali che operano stabilmente anche in imprese da 50 dipendenti.
Quarant’anni fa molti manager uscivano dalle grandi aziende fordiste e diventavano imprenditori. Oggi avviene il contrario: sono gli imprenditori delle pmi a cercare manager. Ma il vero problema è superare logiche familiari e verticalizzate.
L’ingresso del manager avviene spesso solo quando c’è uno stato di necessità (crisi, calo ricavi, mancanza di eredi). Molte imprese non galleggiano più: se non cambiano, chiudono. È dunque un momento ideale per introdurre competenze manageriali.”
Secondo Massimo Fiaschi, “un manager può essere attratto dalle pmi perché può incidere direttamente, avere maggiore autonomia e un rapporto diretto con l’imprenditore.
All’estero, il 70% delle imprese familiari ha manager esterni; in Italia solo il 28%, è una forte anomalia culturale.
Il calo demografico ridurrà la forza lavoro e serviranno sempre più competenze nuove e consolidate, come quelle dei manager. Il momento giusto per inserire un manager non è la crisi, ma quando l’azienda vuole crescere, cambiare, cercare nuovi mercati.
Il fattore decisivo è la fiducia: se il manager non ha delega reale, non può essere efficace. È ora di cambiare cultura e mentalità, la frase “si è sempre fatto così” è il vero nemico del cambiamento.
Il nuovo ccnl dirigenti terziario, appena rinnovato in anticipo sulla scadenza, prevede formule con costi agevolati per incentivare l’ingresso del manager nelle pmi.
Luca Viviani, ingegnere nucleare, dottorato in scienza dei materiali, esperienze come manager sia interno che consulente in multinazionali e aziende familiari, ha ripercorso il suo ingresso in Attilio Imperiali come consulente operations, in un momento di crisi, osservando una forte discrepanza tra l’altissima reputazione dell’azienda sul mercato e i risultati economici negativi.
In quel caso, la crisi ha favorito la delega: l’azienda aveva bisogno urgente di recuperare marginalità e ne è scaturita maggiore libertà di intervento.
In pochi mesi l’azienda è tornata in utile con interventi su: riorganizzazione processi, pricing, razionalizzazione fornitori, modifiche strategiche operative.
Oggi c’è una relazione di fiducia totale: la proprietà non si sente minacciata e lui non teme la rigidità familiare.
