Dietro le quinte del Cirque du Soleil

Con 4.000 dipendenti che lavorano contemporaneamente su una ventina di spettacoli in giro per il mondo, il presidente e ceo Daniel Lamarre custodisce la ricetta per mantenere il focus su innovazione e fantasia

“Ogni volta che devono parlare di finanza, possono recarsi nel mio ufficio senza esitazione», disse Daniel Lamarre, nella sua prima riunione con i nuovi azionisti maggioritari della compagnia. «Non voglio che si avvicinino ai dipartimenti di produzione o creativi, perché distruggerebbero lo spirito di questa compagnia. Ma i dirigenti erano abbastanza intelligenti per capire che non dovevano interferire con la nostra creatività».
Durante l’intervista nei suoi uffici di Montreal, Lamarre spiega cosa rende il Cirque un’organizzazione unica al mondo.


Come entrò a far parte del Cirque du Soleil?
«Tutto iniziò nel 1996, quando feci una consulenza per Guy Laliberté. Fu l’inizio di una grande amicizia. Quando divenni ceo di Tva, la rete televisiva più importante del Quebec, collaborammo per la produzione di alcuni programmi insieme al Cirque du Soleil. Lavorai in Tva per cinque anni, finché nel 2001 Guy mi chiamò per propormi di condurre la sua compagnia».

Qual è stata la sua prima sfida?
«Quando entrai a far parte del Cirque du Soleil, la compagnia aveva bisogno di diversificare le entrate e creare nuove business unit. A tre mesi dal mio arrivo mi resi conto del grande potenziale della nostra attività principale. Per questo cominciai a riportare la compagnia verso il suo business originale ed è proprio ciò che stiamo continuando a fare: sviluppare spettacoli in tutti il mondo».

Come definisce il suo ruolo all’interno dell’azienda?
«Credo che la mia più grande sfida sia quella di creare le migliori condizioni possibili affinché i nostri artisti e creatori possano dar vita a quanti spettacoli possibili. Dedico la maggior parte del mio tempo a questo: trovare nuovi soci e sviluppare nuovi mercati che ci permettano di realizzare show in giro per il mondo. Questo è ciò che per me è importante».

Quali sono oggi i mercati più importanti per il Cirque du Soleil?
«In questo momento le mie priorità sono Cina, New York e Londra. Sono tre mercati nei quali l’industria dell’intrattenimento dal vivo sta vivendo una grande crescita e nei quali ancora non abbiamo sviluppato al massimo il nostro business. Negli ultimi anni ci siamo focalizzati sul mercato di Las Vegas a discapito di altri mercati come Cina e New York».

Cosa serve per stimolare la creatività all’interno di un’organizzazione?
«Prima di tutto, bisogna dare vita a un ambiente nel quale le persone si sentano stimolate. Questa è la cosa più importante di tutte: creare una sensazione che porti le persone a domandarsi ogni giorno quale sfida impossibile possono portare a termine oggi. Voglio che le persone superino costantemente i limiti della propria creatività e l’unico modo è sviluppare un clima interno che le motivi a farlo».

Qual è oggi il ruolo di Guy Laliberté, fondatore del Cirque du Soleil, all’interno della compagnia?
«Guy Laliberté possiede il 10% delle azioni ed è costantemente coinvolto nel processo creativo e nello sviluppo del contenuto di un nuovo spettacolo. Allo stesso tempo possiamo contare su un nuovo guru creativo, Jean-François Bouchard, una calamita per i giovani talenti che vogliono lavorare con lui. Inoltre, grazie alla sua formazione nel campo dell’ingegneria, è interessato a tecnologie che ci permettono di essere sempre all’avanguardia nello sviluppo dei nostri show».

Secondo lei, cosa definisce il Cirque du Soleil?
«Mi diverte molto osservare quando una persona che è venuta a vedere un nostro spettacolo cerca di spiegare l’esperienza a qualcuno che non vi ha mai partecipato. “Beh, non è uno spettacolo di circo, né un recital o un’opera di teatro, non è né uno né l’altro”, dicono. In questi casi mi piacerebbe interromperli e dire loro: “Questo è il Cirque du Soleil”. Abbiamo sviluppato una nuova categoria di spettacolo che ci rende unici in termini di contenuto artistico. Ora, se analizziamo il nostro modello di business, siamo semplicemente un’organizzazione che produce spettacoli dal vivo. La nostra funzione principale è quella di vendere biglietti: dobbiamo attrarre le persone affinché vengano ai nostri show e paghino il giusto prezzo. Siamo un brand di lusso, per cui dobbiamo convincere la gente a spendere i propri soldi per vedere un solo spettacolo unico e ben fatto anziché tre o quattro spettacoli mediocri».

Quale importanza hanno le tecnologie nei suoi spettacoli?
«Già alle origini del Cirque du Soleil, la tecnologia era incorporata negli show. Col passare degli anni si è evoluta e oggi abbiamo un drone nel nostro show di Broadway e degli ologrammi in “One”, il nostro tributo a Michael Jackson. Ci spingiamo sempre oltre i nostri limiti e lavoriamo per creare un nuovo mix di performance umane e nuove tecnologie. La nostra sfida è creare nuove sorprese per stupire in particolare il pubblico giovane, abituato agli effetti speciali dei film».

Secondo lei, a cosa deve il successo il Cirque du Soleil?

«Se una persona entra nella caffetteria del Cirque, avrà la sensazione di essere nell’edificio dell’Onu. Qui sono presenti 49 nazionalità differenti ed è proprio questa la base del nostro successo. Riusciamo a essere eccezionali in ciascun luogo del mondo in cui andiamo, grazie al fatto che ciascun contenuto artistico viene sviluppato in collaborazione con non meno di 20 paesi differenti. Questo è senza dubbio uno dei punti di forza del Cirque du Soleil».

Come si gestisce un’organizzazione così variopinta?

«Nel Cirque bisogna convincere le persone, infatti il mio ruolo di leader non è quello di comandare, bensì di persuadere. Questo implica che le cose richiedono più tempo e che bisogna ascoltare di più, ma alla fine della giornata, dopo aver consultato e lavorato con le persone, non ho dubbi che la decisione presa sarà la migliore».

Quali sono le principali sfide da affrontare nel futuro?

«Penso che la principale sfida, di oggi e di domani, sia restare eccezionali nel nostro settore. Questo significa evolversi e comprendere che il contenuto dei nostri spettacoli deve migliorare costantemente. È per questo che stiamo investendo molto per essere al passo con i tempi sia nel settore degli spettacoli dal vivo sia in quelli della moda, della tecnologia e dell’architettura. Dobbiamo essere capaci di identificare le nuove tendenze nel mondo artistico e essere più innovativi rispetto ai concorrenti».

Qual è l’aspetto più duro del suo lavoro?
«Il nostro lavoro è tanto difficile oggi come agli inizi della compagnia; nessuno vuole essere ricordato a livello mondiale per aver prodotto il primo spettacolo mal riuscito del Cirque du Soleil. Credo che il giorno in cui ci sentiremo invincibili avremo grandi problemi. Per questo dobbiamo lottare costantemente ed essere sicuri che ogni nuovo spettacolo sarà migliore del precedente. Tutto ciò genera molta pressione e richiede grande responsabilità, ma è quello che dobbiamo fare».

Cos’è quello che più la diverte?

«Lavorare con artisti, indubbiamente. Non credo che un imprenditore tradizionale possa fare il mio lavoro, perché è assolutamente necessario essere empatici con loro e con il loro incredibile lavoro. Il mio sogno è diventare un grande leader come lo sono loro sul palco. Quello che fanno è perfetto, assolutamente geniale. Lavorano tutto il giorno per assicurarsi che la loro performance di ogni sera, che durerà cinque minuti, sia perfetta. Potrei stare ore a vedere quello che fanno e, dopo 15 anni, continuo a sorprendermi del livello delle loro performance».

In cosa il Cirque du Soleil l’ha cambiato?

«Probabilmente mi ha reso più umile e modesto. Oggi comprendo che se una persona vuole produrre qualcosa di unico e all’avanguardia ha bisogno del lavoro di molte altre persone. Nella nostra compagnia se qualcosa è geniale è perché ci hanno lavorato dietro duecento persone, dal team incaricato di disegnare le scarpe degli artisti fino agli addetti alle luci, passando per gli scenografi e i vestiaristi. Non c’è una stella nel Cirque du Soleil: la stella è lo spettacolo stesso».

Come questo si combina con l’obiettivo di business della compagnia?

«La mia filosofia è semplice: nel termine “show business”, la parola “show” viene prima. Se abbiamo un grande spettacolo, abbiamo un grande business. Non può esistere un buono show se non c’è un business dietro, quindi il focus deve rimanere sul produrre i migliori spettacoli al mondo. In termini di business, il nostro compito è far conoscere alle persone questo incredibile contenuto artistico che produciamo; in altre parole, la nostra responsabilità è sviluppare il brand Cirque du Soleil in giro per il mondo. Quando entrai a farne parte, la compagnia realizzava tournée solo in 70 città, oggi invece in 450. Questa è una nostra responsabilità e il nostro lavoro risiede proprio nel fare marketing e sviluppare il brand».

Negli ultimi anni l’approccio della compagnia al marketing è cambiato?

«Sì, indubbiamente. Il marketing è cambiato drammaticamente: i millennial non guardano la televisione né leggono i giornali, così se vogliamo parlare con loro dobbiamo farlo sui social network ed essere molto attivi in questo ambiente. Questo è quello che cerchiamo di fare oggi. L’altro aspetto ha a che vedere con i valori molto forti del nostro brand che dobbiamo proteggere. È per questo motivo che non possiamo fare qualsiasi cosa. È importante per noi ascoltare i nostri clienti, per comprendere cosa si aspettano dal brand del Cirque du Soleil».

Crede che il pubblico del Cirque du Soleil stia cambiando oggi?

«Siamo stati “viziati” dai nostri fan che ci seguono da sempre, ci accompagnano, ci appoggiano e questo ci rende molto fortunati. Ciò che abbiamo scoperto, grazie alle ricerche di mercato più recenti, è che siamo ancora molto attrattivi anche per i millennial. Fino a poco tempo fa però non parlavamo direttamente con loro perché tutta la nostra comunicazione era veicolata attraverso i mezzi tradizionali. Oggi invece cerchiamo un dialogo diretto per attrarre una maggiore percentuale di questo segmento di pubblico».

Quanti spettacoli produce il Cirque du Soleil in un anno?

«Oggi stiamo vivendo un momento di crescita. Abbiamo prodotto tre nuovi show negli ultimi mesi. Abbiamo sviluppato “Avatar”, un’avventura creativa incredibile, insieme a James Cameron. Abbiamo lanciato “Luzia” e andiamo verso Broadway. Il ritmo normale per il Cirque du Soleil sarebbe di due prime all’anno, più i molti progetti che abbiamo. Stiamo raggiungendo un livello perfetto di creazione e sviluppo di prodotti».

Quanto è cambiato il Cirque du Soleil con la vendita di parte del capitale a investitori stranieri?

«Credo che ci abbia permesso di avere il meglio di entrambi i mondi. Ho ancora il privilegio di poter contare su Guy Laliberté come guida creativa, ma allo stesso tempo abbiamo anche due incredibili centri di sviluppo. Abbiamo la TPG a San Francisco che ci ha permesso di arrivare ai laboratori di tutte le compagnie tecnologiche della Silicon Valley, e la Fosun in Cina, che ci apre le porte che chiunque vorrebbe aprire in questo paese. Questi due motori ci permettono di accelerare la crescita di questa compagnia e mettono alla prova i nostri artisti con sfide creative ogni volta più grandi».

Qual è la sua principale fonte di motivazione nel lavoro?

«Senza dubbi quello che faccio giorno per giorno. Il mio compito è offrire lavoro a creatori e artisti in un mondo nel quale non è sempre facile ottenere un impiego stabile. Questo è ciò che il Cirque du Soleil fornisce loro e per me è una benedizione. È ciò che mi motiva: creare un trampolino artistico che permetta di trasformare in realtà gli spettacoli più strani che si possa immaginare».


E cosa la spaventa di più?
«Guardare le notizie in televisione ogni sera, probabilmente. Se succede qualcosa in qualsiasi posto nel mondo, è possibile che questo impatti sulla nostra attività. Se c’è uno tsunami in Giappone e noi siamo lì in tournée, questo è un problema. Quando ci furono gli attentati a Parigi in dicembre, noi avevamo in programma uno spettacolo proprio lì. Tutti questi eventi possono impattare sul nostro lavoro e non è possibile rilassarsi: ci sono in scena spettacoli del Cirque in tutto il mondo, Natale incluso. Questo è un lavoro di 24 ore al giorno, sette giorni a settimana, e temiamo sempre una catastrofe in qualche parte del mondo che possa impattare negativamente su uno dei nostri show».
Quale crede sia il segreto del Cirque du Soleil?
«È questa idea di sfidare costantemente i limiti della creatività. Ogni volta che sviluppiamo un nuovo spettacolo dobbiamo assicurarci che sia differente e migliore del precedente. Questa preoccupazione e questa pressione che abbiamo addosso è, secondo me, l’ingrediente fondamentale per il successo della nostra organizzazione».

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