Covid: l’impatto umano visto dai CEO

Come stanno vivendo i top manager italiani quest’emergenza a livello personale ed emotivo e come questo impatterà sulla vita economica e sociale. Ce lo raccontano senza remore alcuni associati ad AICEO

Iniziamo oggi una collaborazione con AICEO, l’associazione italiana dei CEO, dove ci sono anche tanti manager associati a Manageritalia. Lo spunto è il secondo appuntamento in streaming di AICEO Incontri ai tempi del Covid-19 sul tema dell’impatto umano di quanto in atto si è svolto il 16 aprile a due settimane di distanza dal primo e a più di quaranta giorni dal lockdown del Paese. Tra l’uno e l’altro sono successe tante cose, per lo più di segno negativo, tra cui ventiquattromila decessi in Italia, 150mila nel mondo (dati al 16 di aprile) e una previsione di calo del Pil italiano di circa 9 punti percentuali per il 2020.


Una crisi senza precedenti che ci insegna prima di tutto che non c’è distinzione tra dimensione economica, sociale, istituzionale, ambientale. Si tratta infatti di una crisi sistemica in cui ogni aspetto è strettamente correlato agli altri. “Le nostre abitudini sono state completamente sovvertite”, dice Elena David, Presidente AICEO. Costretti in casa come siamo, vediamo sovrapporsi la dimensione professionale a quella personale, i confini tra le due si fanno sempre più labili. Ecco perché, in questo secondo incontro, abbiamo voluto condividere con i soci le emozioni più personali, domandando a ciascuno come questa esperienza stia impattando la sfera più privata ed emotiva”.


Ne sono emersi molti spunti interessanti: paura, desideri, incertezza economica, ansie per il futuro del business, timore sulla salute e sul rischio di contagio, costrizione fisica, solidarietà vs egoismi… riflessioni che ci accompagneranno certamente nei mesi a venire. Perché nulla è, né sarà più, come prima.


IL NUOVO SGUARDO CHE TRASFORMA OGNI COSA


Uno sguardo nuovo sul mondo è il fil rouge che unisce le diverse testimonianze. Ciò che fino a ieri credevamo di conoscere oggi appare, sotto una nuova luce, insidioso ed enigmatico. L’incertezza di cosa ci attende nei prossimi mesi sfuma i confini di ogni progettualità, dal viaggio organizzato da mesi che non si sa più quando potremo fare, fino all’organizzazione familiare che ormai sembra poggiarsi su un terreno instabile, traballante. “Da luglio dell’anno scorso vivo a Philadelphia – racconta Francesca Contardi, Founder e CEO di Easy Hunter – La distanza dall’Italia, dalla famiglia e dai colleghi in questo periodo rende le cose ancora più difficili facendomi sentire emotivamente più vulnerabile”.


Il virus è anche un detonatore di situazioni critiche pregresse, le enfatizza rendendole ancora più faticose da affrontare. “Quello che più mi pesa in questo momento – confida Illo Quintavalle, presidente e amministratore delegato di Quanta Group – è la solitudine decisionale. A causa della situazione sono stato costretto ad avviare, per la prima volta, la cassa integrazione. Una scelta difficile resa ancora più penosa perché ho dovuto prenderla senza il confronto e l’appoggio di mio padre, mancato lo scorso agosto. Il momento chiave in cui ho realizzato la voragine emotiva lasciata da questa perdita è coinciso proprio con questi giorni di Covid che hanno fatto emergere tutto il dolore e il disorientamento in cui ci si può trovare quando si perdono riferimenti forti”.


Come abbiamo visto, la crisi modifica la percezione del presente, la visione del futuro ma, incredibilmente, mina anche il passato, colorandolo di nuove tinte come racconta Marco Icardi, Presidente Europa di MetricStream multinazionale di software: “Questa crisi coincide, per me, con una nuova esperienza lavorativa. Dopo anni da amministratore delegato di SAS Institute ora mi trovo a gestire una sorta di startup, il braccio europeo di una multinazionale con sede a Paolo Alto. Il momento attuale mi ha fatto capire molte cose: per esempio che, quando ci sentiamo forti, facciamo delle scelte un po’ azzardate, forse troppo? Fuori dalle grandi aziende, per esempio, ci si trova a fare i conti con situazioni di precarietà e ipotesi di riduzione del personale molto dure da affrontare”.


UOMO, ANIMALE SOCIALE


Essere relegati nelle nostre case, vedere i colleghi solo via chat, passare ore in estenuanti dirette streaming davanti allo schermo del pc… anche lo smart working inizia a mostrare il suo lato oscuro pur riconoscendone i molteplici pregi. La mancanza di contatti sociali costituisce, per molti, un sacrificio necessario ma oneroso. D’altra parte, lo diceva già Aristotele 2.300 anni fa, “l’uomo è un animale sociale” e per stare bene ha bisogno del rapporto con l’altro. “Lavorare da remoto è un passaggio che oggi ha una sua logica – riconosce William Griffini, CEO e Partner di Carter & Benson – ma sul medio lungo periodo, lo smart working è da integrare, non può sostituire la contaminazione relazionale che genera qualità, scambi, crescita culturale. Sì alla tecnologia dunque ma se è di supporto e non in sostituzione”.

E c’è chi, soprattutto tra le CEO donna, patisce la lontananza dai figli, la mancanza di quella cerchia di parenti allargata che anima le tavolate della domenica… sognando il momento in cui si potrà tornare a organizzare una cena tra amici. Elena David a questo proposito sottolinea come sia nella vita personale che in quella delle aziende curarsi del benessere di chi ti circonda, siano essi appunto la famiglia o il team, è presupposto per i migliori risultati.


LA SALUTE, BENE PRIMARIO


La pandemia ci ha reso tutti vulnerabili. Il nostro senso di onnipotenza è stato spazzato via in un soffio. “Ogni mattina quando saluto mio marito che è medico provo un brivido di paura” racconta Paola Corna Pellegrini, CEO di Allianz Partners. Stiamo capendo ora quanto in realtà siamo fragili, quanto lo è il nostro sistema sanitario che per anni ha subito tagli nelle strutture e nel personale sanitario a causa di scelte sciagurate i cui frutti vengono a galla ora, nell’emergenza Covid.


I CEO hanno reagito fin da fine febbraio premurandosi di mettere in sicurezza i propri dipendenti attraverso kit usa e getta, mascherine, guanti e poi optando per quanto possibile per lo smart working. La riapertura delle attività produttive e commerciali si rende necessaria ma il timore di una nuova recrudescenza del contagio preoccupa i governi del mondo intero.


Anche qui il tema generale è l’incognita del futuro: come si comporterà il virus? la comunità scientifica scoprirà il vaccino? e se sì quando? L’incertezza genera paura, che a sua volta scatena stati d’ansia, apripista per la depressione. E così alla preoccupazione per la salute fisica si aggiunge quella per la salute mentale.


RESILIENZA E OTTIMISMO


Reagire diventa allora fondamentale. In azienda come in famiglia. Bisogna saper far fronte all’apatia che a volte inevitabilmente ci coglie quando siamo dominati da un senso di impotenza tanto profondo. “Dalle guerre, dai grandi cambiamenti sociali, dalle rivoluzioni – dice Mauro Bonati direttore generale Yakult Italia – sono sempre nate delle opportunità. L’importante è saper trasformare ogni criticità in occasioni di rinascita”.


Proprio perché, come si diceva all’inizio, la crisi cui stiamo assistendo è “sistemica” e avrà ricadute su ogni ambito non possiamo sottrarci al difficile compito di immaginare un “dopo” che presumibilmente sarà molto diverso dal “prima”. “Per questo motivo – racconta Nazareno Ventola, CEO Aeroporto di Bologna – ho avviato un esercizio di immaginazione per provare a dare delle visioni. Come viaggeremo in futuro? Come riposizionarci? Un discorso che vale per tutti. Dare una motivazione, mostrare una luce in fondo al tunnel, ingaggiare le persone su una visione sul lungo termine è indispensabile per guardare in modo diverso il momento attuale”.

Per molti CEO e imprenditori dare speranza è quasi una missione etica. “Mi sono ripromesso di scrivere settimanalmente una lettera alla community interna del mio gruppo per fornire aggiornamenti, infondere fiducia, trasmettere ottimismo” dice ancora Illo Quintavalle. Un compito non facile, come sottolinea Pietro Nardella di Ocra Group, quando non si hanno risposte chiare sulla ripartenza e la mitica Fase 2. “Come si fa ad essere del tutto trasparenti?” si chiede.


“Mi sforzo di leggere questa crisi come una seconda chance. – vede il bicchiere mezzo pieno Salvatore Paparelli, Vicepresidente di Sony Europa – Un’occasione da non lasciarsi scappare anche a livello personale: ora, con più tempo a disposizione, ognuno può provare a far emergere il talento che ha tenuto nascosto nella frenesia del day by day”.


ALTRUISMI VS EGOISMI


Alcuni economisti e politologi mondiali preannunciano un’evoluzione di chiusura generale negli anni a venire. Per il decennio 2020-2030 immaginano un dualismo del tipo “APERTO e CHIUSO”. Si chiedono: il mondo andrà nella direzione di una maggiore chiusura? La globalizzazione così come la abbiamo conosciuta fino a ieri è destinata a tramontare? I nazionalismi avranno la meglio? Le difficoltà di spostamento delle persone e il rallentamento degli scambi commerciali saranno i presupposti per derive autarchiche dei singoli stati?


Speriamo di no, ma perché ciò non accada sono necessarie scelte politiche altruistiche e condivise, interventi economici forti a livello sovranazionale.

“L’Unione Europea deve mostrarsi solidale – dice ancora Salvatore Paparelli –. Usciremo da questa crisi solo se i governi capiranno che si tratta di una guerra, e quando si va in guerra si mette a disposizione della causa l’intero capitale, tanto quello disponibile quanto quello non disponibile. Solo così si può vincere”.


Solidarietà, messa in discussione dei valori che ci hanno governato fin qui, unirsi per essere più forti… molti si stanno chiedendo se questa pandemia, che ci costringe a rivedere tutte le nostre priorità, ci farà aprire gli occhi obbligandoci a cambiare oppure se, una volta passata la buriana, torneremo ad essere quelli di prima. “Ognuno sarà responsabile com’è ovvio delle proprie scelte – interviene Lucia Fracassi di Melegatti – ma temo che la polarità tra altruismi ed egoismi si accentuerà ancora di più. Chi sarà stato umile, chi avrà avuto il coraggio di cambiare la propria prospettiva lo sarà ancora di più, chi invece sarà stato colpito pesantemente nel portafoglio, e non avrà capito che c’è un’alternativa, si arroccherà in personalismi ancora più accentuati”.


Crede profondamente nella collaborazione, nel senso di responsabilità e solidarietà William Griffini. “Sono convinto che chi ha deve dare, perché se non restituisce al sistema non può sperare neanche di mantenere le proprie posizioni. La distribuzione è fondamentale per il futuro. Anche in termini manageriali ho sempre condiviso le mie imprese. Lavoro sempre in team. Non ho mai voluto essere solo, non mi piace, e oggi ho la riprova di essere nel giusto perché anche le paure si mitigano se le condividi”.


OCCORRE PLASMARE UN MONDO NUOVO 


Al di là di paure e frustrazioni, ottimismo e resilienza oggi dobbiamo soprattutto iniziare a plasmare il mondo nuovo. O almeno provare a immaginarlo. Non è facile ma può essere un’occasione di rigenerazione. E proprio sull’immaginare il futuro si concentrerà il prossimo appuntamento di AICEO in cui ciascuno dei soci illustrerà e proporrà le sue idee sul “dopo”.

Ci attende una nuova narrazione. Chissà che non ne escano storie entusiasmanti.

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