La notizia ha fatto il giro del mondo e ha provocato un acceso dibattito sul web: il finanziere Bill Miller ha recentemente donato l’esorbitante cifra di 75 milioni di dollari alla facoltà di filosofia della Johns Hopkins University. Lui stesso, del resto, ha studiato Platone e Aristotele all’università, riuscendo a costruire un impero miliardario. Un caso, qualcuno obietterà. Non proprio, imprenditori e investitori come George Soros o Carl Icahn si sono laureati in filosofia.
Tutta questa rinnovata e inedita attenzione verso le discipline umanistiche negli atenei americani è giustificata dal fatto che la scienza e la tecnica, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, stanno ponendo le basi per la distruzione di molti lavori, che saranno presto svolti da robot. La preoccupazione è evidente e si corre ai ripari puntando sorprendentemente su ciò che un robot difficilmente potrà acquisire: la capacità di astrazione, la creatività, l’aspirazione verso la bellezza e l’assoluto, alla base degli studi umanistici.
La tradizionale dicotomia tra discipline scientifiche e umanistiche oggi sembra non avere più senso. Una fusione di saperi diversi e complementari appare fondamentale per renderci unici e insostituibili dalle macchine, allenando il nostro cervello con romanzi, poesie, ragionamenti astratti, arte e musica.