In un’epoca in cui “tutti comunicano”, le competenze reali non sempre sono garantite. È tempo di porre fine all’improvvisazione e di riconoscere e valorizzare i comunicatori professionisti e il loro contributo determinante nella comunicazione delle organizzazioni, in un contesto in cui disintermediazione, disinformazione e intelligenza artificiale stanno ridefinendo processi e responsabilità.
Sulla base di queste premesse, Manageritalia Executive Professional e la sua Area Comunicatori hanno organizzato l’evento “Governance della comunicazione professionale: competenze certificate e responsabilità”, un appuntamento durante il quale si è presentato un innovativo modello pilota per la certificazione delle competenze dei comunicatori professionali, che vede la collaborazione di Manageritalia e SAA – School of Management dell’Università di Torino, organizzazione universitaria riconosciuta da Accredia come Organismo di Certificazione in conformità alla norma UNI 11483:2021.
Il modello di certificazione prevede tre livelli – Junior, Expert e Senior – che rispecchiano il grado di esperienza e specializzazione del professionista.
Le certificazioni interesseranno i principali ambiti della comunicazione, dalla comunicazione d’impresa alla comunicazione pubblica e istituzionale, dalla comunicazione politica a quella sociale dedicata al terzo settore.
La validità del certificato sarà di sei anni, con una verifica intermedia prevista dopo tre anni, e potrà essere rinnovata attraverso un percorso di aggiornamento professionale continuo che richiede sessanta ore di formazione triennale.
Nella tavola rotonda “La certificazione come leva strategica per le professioni non ordinistiche nell’era dell’AI”, in cui hanno preso parte manager, professionisti e rappresentanti delle istituzioni, è intervenuto Gianluca Comin, presidente di Comin&Partners Comin.
Riportiamo qui di seguito il suo intervento, “Il valore della comunicazione istituzionale per la gestione della reputazione nell’era dei social e dell’AI”, utile per ribadire alcuni punti fermi tracciando lo scenario di riferimento per i comunicatori professionisti.
“Grazie a Manageritalia Executive Professional per l’invito a questo evento, che mette al centro una professione che oggi attraversa una fase di profonda trasformazione: il comunicatore.
Oggi il nostro lavoro si confronta con tre forze che ne stanno ridisegnando il perimetro: la disintermediazione, la disinformazione e l’intelligenza artificiale. Questi elementi non incidono solo sul modo in cui comunichiamo, ma ridefiniscono il ruolo stesso del comunicatore.
Oggi a questa figura è richiesto di presidiare la qualità dell’informazione attraverso un monitoraggio continuo dei contenuti che circolano, intercettando segnali deboli che possono anticipare crisi o opportunità.
Serve la capacità di distinguere con rigore tra vero e falso, mantenendo la credibilità di ogni scelta comunicativa in un contesto dove la fiducia è fragile.
Al comunicatore è chiesto anche di saper ampliare la propria audience, raggiungendo pubblici diversi e più estesi, e di guidare l’organizzazione dentro un ecosistema informativo complesso, segnato da velocità e interdipendenze crescenti.
Disintermediazione e iper-esposizione: quando tutti sono media
Viviamo in un ecosistema in cui chiunque può prendere la parola. Ogni persona ha in mano, ogni giorno, uno strumento capace di raggiungere pubblici vasti senza alcuna mediazione.
La comunicazione è passata dal modello one-to-many, tipico della logica top-down, a un ambiente many-to-many in cui le informazioni circolano in modo orizzontale, continuo e non filtrato.
In questo scenario, la distanza tra fonte e pubblico si è azzerata: nessuna organizzazione detiene più il controllo esclusivo della narrazione.
Un esempio chiaro arriva dalla politica, che spesso anticipa i cambiamenti nei linguaggi e nei modelli comunicativi.
Negli ultimi anni molti leader hanno iniziato a parlare direttamente ai cittadini con video brevi, aggiornamenti quotidiani e rubriche personali pubblicate sui social.
Il messaggio non passa più attraverso il telegiornale, le redazioni o i talk show: il percorso tradizionale viene saltato e si crea un canale diretto tra il leader e il proprio pubblico.
Questo modello ha tre caratteristiche.
1. elimina il filtro dell’intermediazione giornalistica, accorciando la distanza tra chi comunica e chi ascolta.
2. trasforma ogni aggiornamento in un contenuto immediato, personale, percepito come autentico.
3. ridefinisce l’agenda, perché ciò che diventa rilevante non è più ciò che scelgono i media, ma ciò che un singolo attore decide di comunicare, quando lo decide e con la modalità che preferisce.
È un caso che mostra bene il passaggio da un modello top-down a un sistema many-to-many. Non è un fenomeno politico in sé, è un paradigma che oggi riguarda tutti: imprese, istituzioni, dirigenti, organizzazioni.
Se un leader può parlare direttamente al paese, un’azienda può parlare direttamente ai suoi clienti, ai suoi dipendenti e ai suoi stakeholder, con la stessa immediatezza.
In questo scenario, ogni profilo, piattaforma o contenuto può trasformarsi in una fonte. Un singolo post, anche impreciso, è in grado di produrre effetti immediati, amplificati e spesso difficili da contenere.
È il tratto distintivo della comunicazione disintermediata: una moltiplicazione di voci che aumenta la complessità e richiede nuove forme di presidio.
Dentro questa dinamica l’unico perimetro davvero controllabile è la propria identità comunicativa. Coerenza tra ciò che si è, ciò che si fa e ciò che si comunica diventa una barriera protettiva.
Alastair Campbell lo sintetizza così: “Non puoi controllare gli altri. Puoi controllare solo te stesso: chi sei, cosa dici, come lo dici”.
La parola chiave, in questo contesto, è accountability: rendere visibili le proprie scelte, spiegare il perché delle decisioni, mostrare come vengono prese, mantenere coerenza nel tempo, dialogare con tutti gli stakeholder in modo trasparente e comprensibile.
L’accountability è alimentata da tre elementi: coerenza tra identità e messaggi, trasparenza nei processi decisionali, chiarezza nella comunicazione dei fatti e delle motivazioni.
È ciò che rende un’organizzazione affidabile agli occhi del pubblico e la mette nelle condizioni di essere ascoltata.
Raccontarsi non è estetica. È protezione della propria identità. Significa costruire fiducia e sostenere la reputazione nel tempo. In un ecosistema frammentato, veloce e disintermediato, la comunicazione integrata torna centrale: la sfida non è produrre più contenuti, ma garantire coerenza interna ed esterna su ogni touchpoint.
Il contesto: un nuovo ecosistema informativo
Volumi informativi senza precedenti, canali che si moltiplicano, tecnologie che riscrivono i processi e una disinformazione che ormai filtra ovunque. È dentro questo scenario che oggi si muovono imprese, istituzioni e politica.
Ogni giorno circola un flusso enorme di contenuti. Secondo A Minute on the Internet 2025, in 60 secondi vengono pubblicati: oltre 450 milioni di messaggi su WhatsApp; più di 600.000 ore di video su YouTube; 300.000 foto su Instagram; circa 500.000 post su X.
Un minuto è diventato una “giungla informativa”. Non basta partecipare: bisogna riuscire a distinguersi.
In questo flusso, la disinformazione è parte strutturale dell’ecosistema. Da un lato, oggi chiunque può parlare, esprimere la propria opinione: le fonti si sono moltiplicate e il disordine informativo rende difficile distinguere fonti autorevoli e voci improvvisate.
Dall’altro lato, le organizzazioni hanno perso parte del loro monopolio narrativo: governare la propria comunicazione è diventato più complesso, e chi non presidia i processi rischia di subire – o addirittura alimentare – la disinformazione.
Qui entra in gioco la responsabilità dei comunicatori: presidiare l’accuratezza dei contenuti, proteggere la qualità dell’informazione, sviluppare competenze aggiornate.
Oggi la comunicazione è funzione di garanzia oltre che di strategia, in un contesto in cui le fake news sono percepite come una delle principali minacce alla democrazia (Ipsos, nov 2025) e dove l’uso dell’intelligenza artificiale ha contribuito a raddoppiarne la diffusione negli ultimi anni (NewsGuard, 2025).
L’impatto dell’intelligenza artificiale: un salto di scala
A questa complessità si aggiunge l’impatto delle tecnologie emergenti, in particolare dell’intelligenza artificiale.
L’AI sta trasformando tutte le funzioni aziendali, e tra queste la comunicazione è tra le più profondamente interessate: dalle relazioni istituzionali a quelle con i media, dalla comunicazione digitale al crisis management.
La velocità dell’AI modifica il modo in cui si raccolgono dati, si producono contenuti, si monitorano conversazioni e si valutano rischi reputazionali. Oggi più che mai servono competenze aggiornate, riconosciute e verificabili.
Il punto non è solo la rapidità, ma anche le ricadute dirette sui processi decisionali e reputazionali. Con l’AI generativa, la presenza online delle organizzazioni evolve a ritmi senza precedenti: i cittadini non cercano più le fonti, non leggono comunicati né visitano i siti aziendali; leggono la sintesi prodotta dagli algoritmi, con un impatto centrale sulla capacità delle aziende, delle istituzioni e delle organizzazioni di presidiare la propria narrazione.
Le ricerche online non si costruiscono più incrociando fonti e valutandone l’attendibilità, ma accettando un quadro già confezionato. I dati di Bain & Company stimano che il carico legato all’interazione conversazionale con i chatbot di Intelligenza Artificiale sia cresciuto oltre il 90% in un anno.
A questo si aggiunge un fenomeno emergente e delicato: la produzione di contenuti audiovisivi generati dall’AI, tra cui immagini e video deepfake, che rendono ancora più complesso distinguere informazioni autentiche da manipolate, amplificando il rischio reputazionale per chi comunica.
Strumenti di questo tipo hanno già trovato applicazione in contesti di “guerra ibrida”: ad esempio, video manipolati possono mostrare leader politici in situazioni compromettenti o dichiarazioni false, influenzando l’opinione pubblica e creando instabilità senza alcun conflitto diretto.
Questo dimostra quanto la narrazione digitale sia diventata uno spazio strategico e quanto il presidio della comunicazione sia oggi cruciale per imprese, istituzioni e governi.
A questo si aggiunge la necessità del presidio umano delle informazioni generate artificialmente: il monitoraggio di NewsGuard ha documentato oltre 2mila siti web che diffondono informazioni generate da AI con minima o nessuna supervisione editoriale.
Allo stesso tempo, circa un terzo delle risposte dei chatbot AI su temi di attualità contiene errori o informazioni false, con un tasso di “fallimento informativo” in deciso aumento nel corso dell’ultimo anno.
La competenza come fattore competitivo: il ruolo di Manageritalia
Ed è in questo quadro che si inserisce l’iniziativa promossa da Manageritalia insieme alla School of Management (SAA) dell’Università di Torino. L’avvio di un percorso di formazione finalizzato alla certificazione delle competenze per i Comunicatori Professionisti è un passo concreto e necessario.
In un ambiente informativo che perde i suoi punti fermi, dove la tecnologia amplifica tutto, il comunicatore è sempre più una figura manageriale, vicina ai vertici e responsabile di decisioni che impattano direttamente il business.
Serve dunque un percorso che certifichi le competenze, che distingua i professionisti da chi improvvisa e che garantisca standard elevati in un mercato dove le conseguenze reputazionali sono immediate.
La comunicazione istituzionale e integrata
In questo caos informativo e comunicativo, la comunicazione istituzionale integrata è lo strumento attraverso cui un’organizzazione costruisce fiducia e reputazione.
Non si limita a diffondere messaggi: definisce come l’organizzazione viene percepita dai suoi stakeholder e come questi interagiscono con essa.
Include la gestione dei rapporti con i media, la comunicazione interna, le relazioni con istituzioni, partner e comunità, e la strategia di engagement dei cittadini, dei dipendenti o dei clienti. E funziona, perché si basa su coerenza, trasparenza e credibilità: ogni contenuto riflette missione, valori e priorità dell’organizzazione.
La comunicazione integrata rende concreta questa funzione. Significa: 1. presidiare tutti i touchpoint – social, siti web, newsletter, eventi, conferenze e comunicati stampa – per garantire coerenza e riconoscibilità; 2. declinare i messaggi in base al canale e al pubblico, senza mai perdere l’unità della narrazione; 3. integrare comunicazione interna ed esterna, affinché dipendenti e partner siano allineati e diventino moltiplicatori della strategia; 4. monitorare costantemente percezione e impatto dei messaggi, correggendo eventuali incoerenze o informazioni errate;
La comunicazione istituzionale integrata è il meccanismo attraverso cui un’organizzazione presidia la propria narrativa, costruisce credibilità e trasforma la reputazione in un asset strategico concreto.
Human in the loop: la posta in gioco
Nella nuova stagione dell’AI, resta imprescindibile una cosa: la presenza dell’uomo nel processo decisionale. La reputazione non può essere delegata a un algoritmo. La tecnologia accelera, facilita, potenzia, ma non sostituisce il giudizio.
Chi comunica per un’impresa o per un’istituzione resta il responsabile finale della qualità e dell’impatto di ciò che viene diffuso.
Gli assistenti AI stanno evolvendo verso un ruolo quotidiano e continuo, in cui ricerca, comparazione e decisione si fondono in un unico flusso conversazionale.
Una recente ricerca di Bain & Company parla di una crescita del 46% per le tecnologie basate sull’interazione conversazionale e di un aumento del 280% per le esperienze di acquisto guidate dall’AI in un anno.
Questo impatto si riflette anche sul lavoro: un terzo degli intervistati dichiara un impatto significativo dell’IA sul proprio lavoro, percentuale che sale al 43% tra i 18-34enni. Quasi un nativo digitale su due vede l’AI come una forza decisiva per il proprio futuro professionale.
La posta in gioco è tutta qui: usare l’IA per potenziare le persone, non per sostituirle.
Conclusione
Ogni fase di transizione porta rischi e occasioni. L’AI non fa eccezione. Per i comunicatori le domande chiave sono due: quali minacce dobbiamo prevenire? quali opportunità possiamo cogliere?
Capire dove e come inserire l’AI nei processi non è solo un tema di efficienza: è un tema di responsabilità verso le organizzazioni e verso le persone.
Se sapremo governare questa tecnologia, e non subirla, la comunicazione continuerà a essere uno dei fattori più determinanti del successo reputazionale”.