Comunicare per cambiare

L’emergere della “comunicazione d’impresa” può essere spiegata attraverso una consapevolezza, sociale e manageriale della necessità di rispondere insieme alle sfide più gravi che l’umanità abbia incontrato fino ad ora: sfide economiche, morali, personali: quale significato dare alla propria vita? Come conciliare obiettivi individuali e obiettivi collettivi? Creatività e comunicazione sono le due facce della stessa medaglia. Cominciamo con una definizione: “Comunicare è l’atto di mobilizzare l’energia umana e di orientarla verso obiettivi comuni di successo”.

Dal telegrafo all’orchestra
Fino a qualche anno fa il modello prevalente della comunicazione era quello ideato da Shannon, discepolo del fondatore della cibernetica Norbert Wiener. L’emittente E usa un codice per esprimere il suo messaggio. Lo manda attraverso un canale ad un ricevente R che lo decodifica. Per validare la comprensione del suo messaggio E deve avere un ritorno da parte di R: il famoso feedback. Questo schema, che riproduce con esattezza il modello del “Telegrafo”, non è sbagliato, ma è troppo limitativo. Nelle occasioni più frequenti della vita, le cose non si svolgono così. Non esiste, da una parte, il ruolo dell’Emittente, interamente concentrato sul contenuto del messaggio da mandare a un Ricevente, attento a decodificarlo con cura. In realtà, siamo tutti contemporaneamente Emittenti e Riceventi: mentre leggete quest’articolo, non siete passivi; emettete – magari verbalmente – opinioni, assensi e critiche. Inoltre, queste righe non si rivolgono ad una “tabula rasa”‘: sull’argomento avete già le vostre idee e, a seconda che vi trovi consenzienti o dissenzienti, la vostra emotività sarà coinvolta in positivo o in negativo.
Anche il contesto in cui leggete in questo momento ha la sua influenza: che vi troviate in ufficio, a casa o in aereo, la vostra lettura sarà diversa.
Infine, il fatto che l’autore vi sia o non conosciuto e a seconda  dell’immagine che ne avete a priori, vi predispone ad un certo atteggiamento verso le sue affermazioni: una banalità detta da Umberto Eco attira l’attenzione più di una genialità enunciata da Pinco Pallino.
Queste considerazioni portano a un altro modello, quello dell’”Orchestra”, nel quale ognuno suona il proprio strumento, con parti già scritte e parti lasciate all’improvvisazione; alla ricerca di un ideale armonia.
Da questo modello si possono dedurre le 3 leggi della Comunicazione:

  1. non si può non comunicare;
  2. tutto è comunicazione;
  3. quello che noi abbiamo comunicato è quello che l’altro ha capito.

Non si può non comunicare
Appena nasce (e qualche volta anche prima) un essere vivente comunica. Dunque l’azienda comunica anche quando al suo interno non esiste né una direzione né una persona che abbia appositamente questa funzione. Comunica anche quando non c’è un house organ, quando non ci sono mai riunioni d’informazione. Comunica, ma comunica male, perché il suo messaggio è così indefinito – per essenza – che le interpretazioni che ne faranno i riceventi saranno generalmente negative.

Tutto è comunicazione
Anche il silenzio comunica: comunica incertezza, ansia, spesso disprezzo. Tutto comunica: il nome dell’ Azienda, chiamarsi France Telecom è del tutto diverso dal chiamarsi, com’era prima, Direction Générale des Telécommunications, Ministère des P. et T.
Tutto comunica: il palazzo della Mondadori diversamente dalla caserma della Guardia di Finanza, l’ingresso, il colore dei muri, la presenza di moquette in certi piani, il permesso di appendere posters o cartoline, di avere, piantine negli uffici, di ascoltare musica (!). La mensa comunica: generalmente tristezza costrizione, comunica – anche negli intervalli – che si lavora per dovere e non per piacere. Queste osservazioni illustrano il concetto che comunicare è un atto di management, il quale a sua volta sviluppa la filosofia aziendale con molta più forza che attraverso discorsi e pubblicazioni, anche lussuose e ben distribuite. Mettono anche in risalto l’importanza da dare all’emisfero destro del cervello, quella parte che è sensibile al contesto, al tono, alle immagini, al ritmo, alle sensazioni che influenzano in modo straordinario la comprensione del contenuto del messaggio (il quale contenuto si rivolge all’emisfero sinistro).

Quello che abbiamo comunicato è quello che l’altro ha capito
Questa terza legge è la più terribile per l’Emittente: a lui dà la responsabilità degli effetti, anche imprevisti, che avrà il suo messaggio, forma e contenuto compresi.
In pratica questo significa che, prima di esprimersi, uno deve tacere. E ascoltare, cioè praticare l’ascolto non solo attivo ma creativo che gli consentirà di individuare le “mappe mentali” che preesistono nei Riceventi.
La parola “cambiamento” ha generalmente una mappa mentale diversa, se non opposta, per la direzione generale (per la quale evoca innovazione, progresso, conquista di mercati…) e per gli impiegati e operai, che vi associano immediatamente disagio, disordine, inquietudine, ingiustizia… e possibilità di perdita di competenza, se non del posto di lavoro.

Qui la massima importanza deve essere data al modo di comunicare. Questa legge ha numerose conseguenze cruciali sulla comunicazione aziendale (che merita proprio qui l’aggettivo “organizzativa”):

  1. è assurdo stabilire una frontiera fra comunicazione interna e comunicazione esterna. La pubblicità destinata ai clienti influenza il personale; il modo in cui questo – non solo parla – ma si comporta è un messaggio verso il pubblico;
  2. la comunicazione non può essere riservata ai titolari della funzione. Certo questi hanno un ruolo essenziale da tecnici, per elaborare piani e realizzare certe azioni eccezionali. Ma hanno soprattutto un ruolo di animatori. Preferisco questo termine a quello di consulente, visto come l’esperto che di fronte ai problemi del cliente propone risposte adeguate, prese nel suo “magazzino di soluzioni”. L’animatore invece ha il ruolo di mettere la sua esperienza al servizio del proprio cliente per inventare insieme soluzioni inedite;
  3. ogni azione di comunicazione deve prevedere almeno un terzo del budget per la raccolta del feed-back
  4. ogni azione deve tenere conto del contesto sia grazie all’elaborazione di un piano annuo che preveda l’orchestrazione delle varie iniziative, sia grazie a un’analisi creativa, da attuare con un gruppo progetto che includa idealmente Emittenti, Riceventi e Animatori;
  5. si deve in ogni caso ricercare l’eleganza della soluzione, nel senso matematico della parola. Più la “ratio” Effetto ottenuto/Spesa sarà alta, più la comunicazione sarà soddisfacente. Questo richiede, ovviamente, creatività. Non quella del “creativo pubblicitario”, che ricerca soprattutto l’effetto-shock, ma la creatività profonda, che fa emergere attraverso un processo interattivo soluzioni che nessuna parte avrebbe potuto immaginare da sola. Lo stesso processo è già un atto di comunicazione. Per fare l’esempio di una convention, questa avrà ottenuto il successo quando più partecipanti saranno veri partecipanti, e ancora meglio se questa partecipazione avrà avuto luogo prima del giorno del raduno e proseguirà anche dopo;
  6. la comunicazione è – per eccellenza – una delle funzioni del manager, che si tratti del capo squadra, del dirigente o del direttore generale. Se comunicare è animare, nessun responsabile può eludere questa missione, mettendosi in gioco di persona.

Conclusione provvisoria
Non può essere che provvisoria, visto il carattere della disciplina. La vecchia cultura, non solo aziendale ma sociale, non ci ha insegnato a comunicare con efficacia. (Bastava prendere le decisioni giuste, esprimere le istruzioni con precisione e chiarezza…). La nuova cultura è tutta da creare. Per essere vissuta da tutti non può essere elaborata da esperti ancorché geniali. Siamo entrati nella civiltà “cofigurativa” annunciata da Margaret Mead, nella quale si tratta di inventare insieme soluzioni che non troviamo nell’eredità del passato. Questa invenzione in comune richiede creatività e comunicazione, che sono – come abbiamo visto nell’introduzione di questo articolo – due facce della stessa medaglia. Questa è la sfida. La buona notizia è che a creare e a comunicare si impara. Anche con piacere.

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca