Come gestire e guidare un team da remoto

Il coordinamento di gruppi di lavoro da remoto: cosa cambia per chi guida i team in questo modo? Ne parliamo con Kevin Eikenberry, fondatore del Remote Leadership Institute e autore del libro The Long-Distance Leader

Proviamo a dare una definizione di leadership da remoto?

«Prima di parlare di leadership bisogna partire dai team in remoto, tipicamente costituiti da persone che lavorano insieme pur trovandosi in differenti luoghi fisici. Pensi ad esempio a un gruppo di lavoratori nel settore vendite. La realtà attuale richiede però una definizione differente. Dunque direi che un “remote team” è ogni team in cui anche solo un membro o più membri non lavorano nello stesso luogo, a volte, spesso o tutto il tempo. Che cosa significa questo per un leader? Significa che deve costruire delle nuove skill se deve gestire in questo modo un solo collaboratore, un intero gruppo o un team “ibrido”, in cui ci sono delle persone che si incontrano ogni giorno e altre non così spesso. In sostanza, occorre innanzitutto ripensare se stessi e il proprio lavoro di manager in modo nuovo». 

Ma quali caratteristiche dovrebbe avere un manager che voglia essere leader in questa nuova organizzazione del lavoro?

«Ho speso molto tempo a riflettere su questa domanda, non solo per scrivere un libro dedicato al tema e per lavorare con i miei clienti, ma perché io stesso mi considero un “remote leader”, con un team composto da persone che si trovano in varie parti degli Stati Uniti. Per farla breve, le competenze richieste per gestire e guidare le persone non sono cambiate molto nella storia. Ci sono infatti dei principi senza tempo che dobbiamo ancora applicare, anche quando i nostri team sono “sparpagliati”. Ciò che è mutato in alcuni casi è come applichiamo quelle competenze, astuzie e sfumature che dobbiamo mettere in campo». 

Facciamo un esempio.

«Per non essere troppo astratto, posso dirle che le skill richieste per comunicare un messaggio in maniera efficace e con successo non sono di certo mutate, ma la comunicazione è più complicata quando non guardiamo in faccia il nostro interlocutore e facciamo affidamento su uno strumento tecnologico per consegnare il nostro messaggio. Ecco allora che dobbiamo sviluppare abilità specifiche e diverse. I leader che si trovano a grandi distanze devono essere più consapevoli e misurare ogni loro singola azione e parola, anziché rispondere o reagire senza riflettere, magari di impulso. Con meno tracce visive e meno contatti in generale ogni aspetto della gestione delle persone è diventato più difficoltoso nel nostro mondo». 

The Long-Distance Leader approfondisce un’indagine condotta dal Remote leadership institute, di cui lei è cofondatore, su oltre 225 manager che coordinano persone che lavorano da remoto. Quali sono gli aspetti più interessanti emersi dalla ricerca?

«Abbiamo fatto un’indagine iniziale e stiamo continuando a raccogliere dati su questi aspetti. A tal proposito, saremmo molto interessati ad avere il punto di vista anche di voi manager italiani: potete partecipare alla nostra survey. Nel libro abbiamo riportato alcuni dati. Tra tutti, ne voglio citare tre: 1) i team da remoto sono piuttosto grandi, il 54% dei rispondenti ha dichiarato di gestire un team di 11 o più persone; 2) non tutti lavorano da remoto, il 70% ha dichiarato di gestire team ibridi, anziché team con tutti i membri che lavorano da remoto; 3) ci sono preoccupazioni comuni e la più diffusa (58%) è se si possa essere efficaci nel gestire le persone da remoto come quando si trovano nello stesso luogo fisico: naturalmente noi ne siamo certi e il saggio è stato concepito per aiutare i manager a fare esattamente questo». 

Quali sono i reali vantaggi e svantaggi nel lavorare con talenti in differenti parti del mondo?  

«Il vantaggio più grande e ovvio di un remote team è racchiuso nella sua domanda: se i suoi membri possono lavorare da ovunque, il mondo intero diventa allora il nostro grande mercato del talento. Lavorare con più fusi orari, e soprattutto con culture diverse, non è sempre semplice quando assumi o ingaggi per singoli progetti persone in altre parti del pianeta, ma questi problemi sono senz’altro gestibili. Il rischio più grande è in realtà che può essere più facile attirare gli smart worker in un’altra organizzazione: se lavori da casa e cambi azienda ma continui a lavorare dalla tua abitazione, molte barriere del cambiamento svaniscono e la tua routine non verrà intaccata. Poiché il motivo principale per cui le persone danno le dimissioni è il fatto di avere problemi col proprio manager, ecco che diventa cruciale avere una leadership efficace quando si gestiscono persone all’interno di team in remoto». 

Nel suo libro lei si sofferma sulla differenza tra team remoti e team virtuali. Questa differenza conta davvero? In che modo?  

«Nei team in remoto il luogo di lavoro varia, ma la struttura rimane generalmente la stessa: le persone sanno a chi devono rispondere. Col concetto di “team virtuale” io intendo qualcosa di più. In un team virtuale puoi essere separato dalla distanza e utilizzare la tecnologia per comunicare, ma la struttura a cui fare riferimento può essere confusa o quanto meno complicata. Se guidi un progetto dove il team è costituito da persone di differenti aree aziendali, puoi avere tutta la responsabilità di leader senza avere un’effettiva autorità. Dato che l’autorità è rimossa dall’equazione, la nostra abilità di influenzare e facilitare i risultati del lavoro diviene persino più importante e sfidante se si è separati da una distanza fisica». 

Una domanda provocatoria: secondo lei è davvero possibile lavorare esclusivamente da remoto e in modo virtuale senza incontrarsi mai di persona? Ci sono in sostanza dei problemi?

«Non solo è possibile, ma sta succedendo ogni giorno in tutto il mondo. Conosco persone che hanno lavorato insieme per anni senza essersi mai incontrate fisicamente. Darei alcuni consigli. Se funziona continua a lavorare così. Se possibile, trova un modo per incontrare i tuoi collaboratori prima o poi: l’esperienza di un incontro fisico può avere un impatto molto positivo. Cerca poi di trascorrere più tempo con mezzi dalla comunicazione più ricca come il telefono, anziché l’email o i messaggi. Infine, se non puoi incontrare o non hai incontrato per anni, installa una webcam. Non è esattamente come essere nella stessa stanza ma è uno strumento semplice e straordinario allo stesso tempo che sta trasformando la comunicazione rendendola più chiara e reale». 

C’è sempre uno schermo davanti però. In una relazione professionale a lunga distanza ci sono dei momenti di empatia? Pensa che siano importanti?

«In ogni relazione, personale o professionale, l’empatia può essere un modo potente per costruire la relazione e la fiducia. Non c’è bisogno di diventare amici stretti con un collega o con la persona che coordiniamo per far sì che il lavoro abbia un livello di qualità alto: quando c’è una forte relazione professionale e un’alta fiducia la produttività crescerà, le frustrazioni si riducono e il lavoro sarà più semplice. Per questi motivi raccomando di essere sempre empatici. Se ti vedo nel corridoio il tuo linguaggio corporeo può suggerirmi di farti una domanda, di fermarmi a parlare un attimo con te, un pretesto per essere appunto empatico. Quando non ci vediamo regolarmente o per niente dobbiamo essere più consapevoli e ritagliarci del tempo per delle conversazioni informali anziché passarci solo informazioni di lavoro, tutto ciò ci offre l’opportunità di apprendere cosa sta accadendo agli altri e interessarci a loro: questo per me vuol dire essere empatico». 

Parliamo di tecnologia. Qual è il suo ruolo nella remote leadership e cosa pensa succederà nei prossimi anni?

«Quando ho aperto la mia azienda ho comprato un fax e avevo una connessione internet con modem e linea telefonica. La tecnologia è cambiata? Certamente. E senza dubbio continuerà a cambiare. Chissà cosa la realtà virtuale e gli ologrammi potranno fare nei prossimi anni per i remote team! Non sono un futurologo, ma so per certo che dobbiamo utilizzare meglio la tecnologia che abbiamo a nostra disposizione. L’80% degli utilizzatori sfrutta appena il 20% della capacità dei prodotti software, inclusi quelli associati al lavoro di team e alla comunicazione. Ma mentre dobbiamo guardare avanti, utilizziamo quello che abbiamo già ora senza porci dei limiti e approfondendo le potenzialità di ogni singolo strumento». 

Qual è l’impatto del lavoro da remoto sulla carriera del manager?

«Vedo un impatto prevalentemente positivo se il manager è proattivo e desideroso di imparare. La visibilità nei confronti dei senior o dei datori di lavoro se sei lontano può essere un punto debole, ma questo può essere superato se sei un forte comunicatore e stai ottenendo veramente grandi risultati. Se invece sei un dipendente o collaboratore da remoto la visibilità verso il tuo manager è una sfida: consiglio di focalizzarsi sulla qualità del proprio lavoro e sui risultati misurabili, così come definito dal tuo coordinatore, in questo modo le probabilità che tu sia riconosciuto e premiato sono molto elevate». 

Ritiene che lo smart working in un paese come l’Italia possa far crescere la produttività e creare nuove opportunità per imprenditori, manager e dipendenti?

«Sono convinto che le opportunità offerte alle organizzazioni dal lavoro da remoto e dai remote team siano molte, anche per l’Italia. Prima di tutto, si può assumere senza confini e mettere insieme un team all’insegna del talento e della diversity per raggiungere e superare le sfide che ti poni. Secondariamente, tutti gli studi mostrano che le persone che lavorano da remoto sono spesso molto più produttive e con meno interruzioni rispetto a coloro che si recano in ufficio ogni giorno. Questi aspetti sono un beneficio per gli imprenditori, ma anche per i manager che costruiscono e gestiscono i team. Per gli individui la prospettiva di fare il lavoro che si ama con un impatto molto più positivo è straordinaria». 

Lei sembra essere un fan senza riserve del lavoro “agile”.

«Aveva dubbi? Il lavoro da remoto è una delle migliori opzioni oggi disponibili».

Il blog di Kevin Eikenberry

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