Quali sono dal suo punto di vista le priorità per rimettere in moto il settore dell’hospitality in Italia, in un periodo difficilissimo come quello che stiamo ancora vivendo?
In Italia purtroppo continuiamo ad affrontare il turismo a livello nazionale senza una visione strategica, e temo anche senza una regia. In questi mesi abbiamo avuto l’impressione che il turismo fosse abbandonato a se stesso. Il clima di incertezza che si è aggiunto alla crisi economica è stato devastante per le piccole imprese del turismo, cioè per il 95% delle imprese turistiche italiane. A mio parere questa sarebbe l’occasione per un ripensamento dell’intero sistema, che fino ad oggi ha funzionato a compartimenti stagni, con da un lato chi fa promozione istituzionale e dall’altro tutti quelli che si occupano di prodotto e servizi. Dobbiamo uscire da questo tipo di organizzazione nata un secolo fa e decisamente inadeguata. E soprattutto dobbiamo dotarci di una visione condivisa.
L’albergo diffuso può rappresentare una proposta alternativa interessante per la fase turistica post-emergenza?
L’Albergo Diffuso più che una proposta alternativa è una proposta in più, che arricchisce il panorama delle offerte e che in particolare attira turismo nei borghi. In questa fase nella quale i turisti cercano più natura, più sicurezza e più spazio, sembra essere la proposta che può aiutare l’intero sistema a ripartire.
L’associazione che ha fondato permette di fare sinergia, network e marketing territoriale strategico: è questa la chiave per una vera ripresa?
Certo, condivido, l’incapacità di fare rete è uno dei punti di debolezza storici del turismo italiano. Ma come dicevo, oggi il nostro turismo deve essere ripensato, rivoluzionato, altrimenti rimarremo nel campo delle buone intenzioni e vedremo riproporre stancamente le cose di sempre. Mi limito a rimarcare che gran parte delle attenzioni e degli investimenti nel nostro campo finiscono in comunicazione, che certo è importantissima, ma si dimentica che la componente più importante della comunicazione è il prodotto, la proposta.
Gli alberghi diffusi possono creare nuova occupazione? Quali nuove professioni potrebbero essere associate a questa forma di ospitalità?
Fino ad oggi il fenomeno degli Alberghi Diffusi ha generato piccoli numeri rispetto al potenziale. Noi siamo stati frenati dalla burocrazia e dalle norme a volte impossibili delle regioni. Potremmo essere almeno 500 strutture e invece siamo poco più di 100. Se lo scenario cambierà il contributo degli AD anche in termini di occupazione potrebbe diventare rilevante, e potrebbe anche sviluppare, se non nuove professioni, certamente nuove competenze di carattere relazionale e managerale, perché le strutture diffuse non possono essere gestite come quelle verticali.
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