Professor Davis, iniziamo a definire
cosa distingue nel concreto un’azienda familiare dal concetto di partecipazione azionaria dei dipendenti.
«Una società ad azionariato diffuso
intende offrire ai dipendenti azionisti un interesse nel lungo termine sulla sua performance e sulla sua crescita. I dipendenti sono molto spesso proprietari parziali della società e raramente proprietari
assoluti. Nel primo caso, una famiglia o un altro gruppo controlla la società e potrebbe controllare i voti del gruppo dei dipendenti-azionisti.
Una società ad azionariato diffuso
presenta alcune similitudini con l’azienda familiare, così come delle differenze. I dipendenti e i membri della famiglia proprietari sono interessati alla successione dell’impresa, ma potrebbero definire
differentemente l’idea di successo, nonché il loro modello organizzativo e strategico».
In che modo?
«Tipicamente, i dipendenti-azionisti vogliono che l’azienda cresca di dimensioni e offra migliori opportunità lavorative e compensi ai lavoratori. Anche le famiglie sono in genere interessate alla crescita e al welfare dei loro lavoratori e vogliono che le loro società crescano garantendo un buon ambiente di lavoro. In questo senso, i due modelli sono piuttosto simili. I proprietari di famiglia tendono ad essere più orientati sul lungo termine e ad esprimere i loro valori attraverso l’azienda in modo più consistente, poiché la famiglia è un gruppo più coeso e allineato, con un sistema valoriale condiviso, a differenza di quello di un gruppo di dipendenti. I dipendenti raramente vogliono che l’azienda sia venduta, mentre i proprietari di famiglia sono tipicamente riluttanti a farlo, ma potrebbero considerare l’opzione se l’offerta fosse particolarmente interessante».
E per quanto riguarda gli obiettivi
comuni?
«Le famiglie che hanno inglobato dipendenti proprietari sono molto allineate negli obiettivi, ma riferiscono spesso che i dipendenti azionisti potrebbero non adottare il loro punto di vista e resistere a quei cambiamenti nell’ambiente di lavoro finalizzati al miglioramento della produttività, che rappresentano però una minaccia per alcuni ruoli».
Veniamo alla domanda chiave:
un’azienda familiare può fare a meno di manager esterni alla famiglia?
«Non a lungo. Alcune aziende
danno il via alla loro avventura con solo componenti interni, ma per crescere oltre la dimensione di un’organizzazione piccola e semplice hanno bisogno di manager esterni. Non è realistico pensare che una famiglia possa
generare internamente tutto il talento di cui ha bisogno per restare competitiva nel tempo. Quando coinvolge manager esterni questi devono essere allineati nell’ambito dei valori e degli
obiettivi. Non tutti i manager esterni possono andare bene per ogni family business, dunque le famiglie devono selezionarli con
estrema attenzione».
Solo il 27% delle imprese familiari italiane hanno manager esterni alla famiglia, contro l’80% del resto d’Europa. È un vantaggio o uno svantaggio?
«Questa differenza è un riflesso della dimensione più piccola delle aziende in Italia, ma anche dell’attitudine delle aziende del Belpaese verso la crescita. Da voi si producono generalmente prodotti e servizi molto buoni, la loro qualità è ben nota, ma i proprietari sembrano riluttanti verso il rischio quando si parla di crescita. I guadagni potrebbero essere reinvestiti nella loro impresa, oppure si potrebbe fare, ad esempio, un in vestimento immobiliare. Far crescere
una società presuppone dei rischi e questo richiede un talento che la famiglia non ha o magari non è interessata ad acquisire».
Che consiglio darebbe a un manager
per essere assunto in un’azienda di famiglia e lavorare per questa a lungo?
«Il mio consiglio è quello di indagare
sul desiderio di crescita del family business. Alcune domande potrebbero essere: la famiglia desidera puntare su clienti internazionali?
in che modo i manager contribuiscono alle decisioni chiave? esiste un consiglio di amministrazione? da chi è composto? i senior manager hanno la possibilità di presentarsi al cda e parlare con i suoi componenti di questioni importanti che incidono sulla crescita e sulle prestazioni dell’azienda? quali sono i compensi nel caso in cui l’azienda crescesse? Il manager dovrebbe anche avere bene in mente quali siano i valori della famiglia che guidano le decisioni strategiche».
Ma fare il manager in un’azienda
familiare è diverso?
«Per essere chiari, le aziende familiari rappresentano lo standard, soprattutto in Italia.Tuttavia, ci sono differenze nell’essere un manager in un’azienda familiare rispetto a un altro contesto. Se il manager si sente predisposto verso il miglioramento della qualità gestionale e della performance, ma allo stesso tempo è disposto ad accettare che la famiglia prenda alcune decisioni senza coinvolgerlo, guidando di fatto l’azienda, allora il family business è probabilmente una buona scelta di carriera».
Il ricambio generazionale come
impatta sulle aziende familiari e come andrebbe gestito?
«Questo argomento è stato al centro
di centinaia di articoli e approfondimenti. In definitiva, il successo di una transizione generazionale è fondamentale per quello della generazione successiva».
Le imprese familiari hanno lo
stesso potenziale di sviluppo delle altre?
«È chiaro che i family business
rappresentano il settore più grande in tutte le economie e quello più vivace. Dalle nostre ricerche sappiamo che le aziende familiari superano quelle non familiari e che vantano la maggior parte dei leader del settore. Inoltre, sono le più innovative e danno lavoro a più persone. Se ne parla in continuazione: è evidente che i family business sono un gioiello per qualsiasi economia e i singoli paesi dovrebbero cercare di sostenerli in tutti i modi».
Non ritiene che troppi imprenditori
considerano la loro impresa una commodity al loro servizio più che una community al servizio della società?
«No, si tratta di una visione distorta,
un luogo comune alimentato dai media. La maggior parte degli imprenditori vogliono avviare nuovi business per creare e aggiungere valore in qualche modo».
Noi in Italia abbiamo avuto
nell’Olivetti un esempio di impresa familiare virtuosa, costruita su un concetto di sostenibilità e attenzione a tutti i suoi stakeholder. Un esempio da seguire?
«Sì. Non tutte le aziende familiari sono un modello per la società. Alcune sono in mano a famiglie che non hanno alcun interesse ad essere responsabili, ma solo a fare profitto. Un proverbio recita: “Cattiva famiglia, cattivi affari”. Eppure, la maggior parte delle aziende familiari incarna i valori di cui la società ha bisogno. In definitiva, nel mondo di oggi dovremmo incoraggiare i family business poiché sono esattamente il tipo di imprese di cui abbiamo più bisogno».
John A. Davis è considerato uno dei massimi esperti mondiali
nella gestione delle imprese di famiglia, in quanto ricercatore, autore, consulente e padre delle strutture concettuali più importanti in questo ambito. Dirige i programmi di family business alla MIT Sloan School of Management dove insegna le strategie per raggiungere il successo e la longevità delle imprese di famiglia. Parteciperà come speaker al WOBI on Family Business del 13 ottobre presso l’Hotel Meliá di Milano.