Abbiamo ancora pazienza?

L'ipervelocità che abbiamo sul lavoro oggi ci condiziona il resto della vita. Il premio più bello è un riconoscimento guadagnato lentamente e atteso

Pochi giorni fa, per l’esattezza a Tutti i Santi, ci sediamo con la famiglia in una trattoria piemontese per il rito del pranzo delle feste. Il pranzo delle feste in Piemonte, per chi non lo sapesse, è un rito laico che va affrontato con calma e devozione. Ci si affida al ristoratore che sciorina i 5 antipasti, i due primi, il secondo, di solito un arrosto e poi il bis o tris di dolci. Non si sa cosa arriverà. 

La sorpresa e l’attesa fanno parte del gioco. Il conto lieve pareggia le eventuali portate non gradite, anche se dopo 15 anni devo ancora trovare un menù dove non mi piaccia praticamente tutto. Si chiede il vino, e spesso quello della casa va benissimo, che tanto in Piemonte cadi sempre in piedi, e poi via, si mangia, con calma, si parla, ci si rilassa. 

Quindi stavolta la padrona mi ha chiesto due volte di scusarmi se non portava le pietanze con maggiore velocità, ma il locale era pieno. Ora, io dico, è festa, siamo qui per mangiare e rilassarci, perché correre? “Eh,” mi ha risposto, “molta gente non ha pazienza di attendere”. Pazienza. La gente non ha pazienza. Vuole tutto e subito. Pretende. 

Eppure quale piacere maggiore esiste che quello del pregustare un piatto, o un fatto? Cosa è più bello, attendere pazientemente di avere i soldi per comprare proprio quel cappotto o comprarlo? 

Quale premio è più bello di un riconoscimento guadagnato lentamente e atteso, e poi giunto?

Cosa è successo alla patria de “Il sabato del villaggio”? Perché non sappiamo più attendere?

Certo la tecnologia ha la sua parte, la TV on demand, la spesa istantanea o la cena portata a casa fanno parte del quotidiano, almeno nelle città. Ma cosa stiamo perdendo?

La calma, e la pazienza, sono virtù che venivano impartite ai più piccoli dai nonni, assieme al rispetto dei grandi, al parlare dopo i più anziani, all’ascoltare, ragionare e poi, se c’era qualche cosa di interessante, dare fiato alle trombe, altrimenti meglio star zitti. “Chi troppo troppo parla, niente combina”, ci dicevano, ma anche e sopratutto “La fretta fa i figli ciechi” e “Chi va piano va sano e lontano”.  

La pazienza è anche studiare per avere un lavoro adeguato, cercare lavoro con calma (e tanta tanta pazienza in Italia), saper combattere per i propri diritti o fare una dieta per ritornare in forma: ci vogliono perseveranza e pazienza. Ci vuole pazienza e fiducia nei propri mezzi per vedere maturare i frutti di una vita, ci vuole pazienza, a volte, per conquistare l’uomo o la donna della proprio destino. Sicuramente occorrono montagne di pazienza per tenere insieme un matrimonio e per crescere dei figli, per ascoltare gli amici e per non tapparsi le orecchie alle chiacchiere di alcuni politici. 

Se la pazienza è così necessaria perché non la si insegna più? Qui prodest una nazione di gatte presciolose? Ma soprattutto perché correre? In fondo come diceva Vecchioni: 

E il più grande conquistò nazione dopo nazione, 
e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione 
perché più in là non si poteva conquistare niente: 
e tanta strada per vedere un sole disperato, 
e sempre uguale e sempre come quando era partito.

Meglio godersi il sole che si ha con calma e Santa Pazienza. 

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