Ultimamente due temi sono centro di molti dibattiti tra gli esperti di management: la resilienza e il concetto di eudemonia. Con quest’ultimo termine, tipico dell’antica filosofia greca, s’indica la condizione di ricerca della felicità considerata come fondamento dell’etica e come fine ultimo dell’esperienza umana.
Per resilienza, la capacità degli esseri umani, e di alcuni di essi in particolar modo, di saper trasformare un evento critico potenzialmente destabilizzante in un motore di ricerca personale che consenta di riorganizzare positivamente l’esistenza. Vale per i singoli individui, per i gruppi o per intere popolazioni. Un esempio è quello della comunità del Polesine che, a seguito della grande alluvione del Po del 1951, non riuscì a risollevarsi dal danno subito e subì una vera propria diaspora, disperdendosi nell’ambito di un grande processo migratorio che si spinse, tra l’altro, fino in Australia. La città di Firenze, al contrario, pur avendo subito oltre sessanta alluvioni dell’Arno nell’ultimo millennio, molte delle quali d’intensità assolutamente eccezionale, ha conservato una straordinaria continuità nel tessuto economico, artistico e architettonico.
I fattori identitari, la coesione sociale, la comunità d’intenti e di valori costituiscono il fondamento essenziale della «comunità resiliente». Il dibattito manageriale sulla resilienza delle organizzazioni sembra sottovalutare che i fattori che contraddistinguono le organizzazioni resilienti sono gli stessi che caratterizzano le strutture che più di altre mostrano di essere in grado di perseguire un ideale eudemonico.
Si superano meglio le crisi se non si è soli, ma si hanno legami, sostegni di familiari, amici, rapporti sociali. L’isolamento e la solitudine indeboliscono, il «capitale sociale» rafforza. Bisogna crescere restando capaci di progredire: quest’osservazione riguarda anche certi imprenditori che, al contrario, a un certo punto della loro avventura imprenditoriale si fermano, vivono di rendita, convinti di aver raggiunto il massimo.
Costoro avranno sviluppato uno stile di vita non eudemonico e delle organizzazioni non resilienti. Reagiscono meglio, infatti, quanti sono appassionati alle cose che fanno, mantengono curiosità, entusiasmo, «sense of humour», voglia di studiare e imparare, fanno esercizio fisico e hanno fede. Soprattutto, guardano avanti cercando la soluzione dei problemi senza attardarsi a cercare cause e attribuire colpe: sguardo rivolto al futuro e non al passato. Una ricerca americana condotta su un campione di manager usa mostra che gli «ottimisti» (chiamiamoli così per brevità) hanno soltanto il 20% di probabilità di sviluppare gravi malattie, mentre in coloro che non hanno un senso di «auto-efficacia» (propendono cioè a credere di non potercela fare e aspettano che altri risolvano i loro problemi) questa probabilità sale all’85%. La letteratura segnala sette caratteristiche delle organizzazioni e delle persone resilienti, e che sono nel frattempo le stesse delle strutture e delle persone tese al raggiungimento del loro benessere.
- «Insight» o introspezione: la capacità di esaminare se stesso, farsi le domande difficili e rispondersi con sincerità.
- Indipendenza: la capacità di mantenersi a una certa distanza, fisica ed emozionale, dai problemi, ma senza isolarsi.
- Interazione: la capacità per stabilire rapporti intimi e soddisfacenti con altre persone.
- Iniziativa: la capacità di affrontare i problemi, capirli e riuscire a controllarli.
- Creatività: la capacità per creare ordine, bellezza e obiettivi partendo dal caos e dal disordine.
- Allegria: ci permette di relativizzare gli avvenimenti che ci colpiscono, evidenziandone gli aspetti positivi.
- Moralità: ci si riferisce a tutti i valori accettati da una società in un’epoca determinata e che ogni persona interiorizza nel corso della sua vita.
A queste noi aggiungeremmo la possibilità del «sogno ad occhi aperti», inteso come ideale cui tendere, pur di rimanere in armonia con se stessi e perseguire così la felicità, come evidenziato magistralmente da Calvino nella favola proposta.
Tratto da L’alfabeto del leader – Compedio semiserio per manager colti (Guerini Next).