3 superstizioni manageriali che rallentano la rivoluzione digitale

I manager spesso nono sono consapevoli che uomo e macchina, pur somigliandosi sempre di più, restano guidati da una profonda difformità di passo

Di rivoluzione digitale si parla molto. L’hi-tech è luccicante e
sorprendente, ci lascia facilmente a bocca aperta e le innovazioni
tecnologiche risultano irresistibili per molte imprese. Ma di per sé
l’hi-tech non rivoluziona proprio niente. Un secolo fa l’inventore della
cerniera lampo andò in rovina cercando di convincere il mercato che la
sua invenzione doveva essere posizionata sulle scarpe. Solo quando si è
finalmente capito che la lampo poteva essere sfruttata meglio
applicandola ai vestiti, la rivoluzione del comfort ha potuto avviarsi.
Come la zip, anche l’information technology non è che un fattore
abilitante: un veicolo che promette di aiutarci ad andare molto lontano,
a condizione di sapere come servirsene.
Affascinati dalla potenza del digitale, i manager trascurano la consapevolezza che uomo e macchina, pur somigliandosi sempre di più, restano guidati da una profonda difformità di passo.

Le risorse umane e quelle tecnologiche obbediscono a temporalità intrinseche non omogenee. La cultura umana si evolve lentamente ed è impossibile promuoverne un’accelerazione arbitraria; al contrario, è sufficiente investire più denaro in ricerca e sviluppo per ottenere rapidissimi avanzamenti tecnologici. Il manager che intende avvantaggiarsi appieno delle potenzialità offerte dalle macchine digitali, non può limitarsi a istruire i propri collaboratori al corretto uso delle tecnologie disponibili, perché gli umani, anche quelli più smart, risultano inevitabilmente troppo lenti. E più rapidamente le macchine si evolvono, più le persone sembrano rallentare.

Si tratta quindi di andare alla ricerca di quella delicata sincronia che consente alla combinazione uomo-macchina di “registrare il passo”. La ricerca di questa consonanza appare del tutto prioritaria, perché è da essa che scaturisce il valore e si genera il profitto.
Gli ostacoli che le imprese incontrano in questo fondamentale percorso di
sincronizzazione uomo-macchina sono molti; quelli che paiono più
ingombranti si radicano in tre diffuse superstizioni manageriali.

1 – Meglio soli che male accompagnati. Senza una cultura organizzativa predisposta alla collaborazione, le
potenzialità del digitale restano inespresse. Il sistema manageriale delterziario è tutt’oggi ancorato al modello organizzativo dell’industriapesante: rigorosa separazione del lavoro e distribuzione verticale dei compiti. Viceversa, poiché irretisce discipline differenti e a prima
vista incompatibili, la rivoluzione digitale pretende l’integrazione di
molte competenze diverse e, per questa ragione, consente di ottenere
risultati unicamente grazie alla collaborazione di una molteplicità di
esperti. Senza una corretta disposizione collaborativa, anche la migliore
infrastruttura tecnologica serve a poco.

2 – Chi sbaglia paga. Information technology significa, per lo più, procedure calate dall’alto che non ammettono indecisioni o variazioni. I nuovi processi imposti dall’IT richiedono ordinata subordinazione ai dettami della compliance. Ma è raro che l’innovazione provenga da una completa adesione alle istruzioni, perché solo un certo scostamento dalla norma può generare un significativo miglioramento della regola. Aprirsi alla cultura digitale significa accettare il rischio dell’errore e orientare i colleghi all’avventura della sperimentazione. Nel grande campo della rivoluzione digitale siamo tutti inesperti: più che tollerare gli errori dei collaboratori dovremmo spingerli a sbagliare e aiutarli a capire come non farlo più, ricordando che non esiste un modo migliore per apprendere.

3 – Divertirsi sul lavoro è inaccettabile. Quando ci divertiamo impariamo meglio. Se invece c’impongono routine operative che ci costringono a una noiosa ripetitività, smettiamo rapidamente d’impegnarci. In alcuni casi, arriviamo a sabotare il sistema. La rivoluzione digitale spinge le imprese a contaminare i saperi consolidati per riconoscere connessioni impreviste e fertili. Se ci si accosta a questa esplorazione con lo spirito austero del rigoroso burocrate, diventa più difficile scoprire il valore degli imprevisti – ricordarsi che diversità e divertimento appartengono alla medesima radice linguistica.
Non esiste una ricetta universale per neutralizzare queste superstizioni. Ogni impresa fa caso a sé e lo stesso può dirsi di ogni dirigente. Esiste però una inclinazione manageriale, che amiamo definire zainocratica, la quale favorisce il riconoscimento dell’infondatezza di questi luoghi comuni. Si tratta di un approccio che facilita la collaborazione, favorisce la condivisione, non teme il divertimento, interpreta la leadership come servizio, riconosce nelle persone un asset prioritario. Questa attitudine favorisce la circolazione dell’ingegnosità collettiva di cui l’azienda dispone e permette di trasformare la ricchissima cassetta degli attrezzi digitali nell’apriscatole del profitto. Prima di investire copiose somme nel rinnovamento tecnologico, è bene tenere presente che posizionare una zip nel posto sbagliato comporta molti costi e pochi benefici.

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